Le stelle sono tante, ma i piedi restano ben piantati per terra. Anne-Sophie Pic, cuoca più premiata del mondo, racconta la sua sfida quotidiana per armonizzare vita privata e lavoro.
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È la cuoca più stellata di sempre: erede di una dinastia culinaria fra le più blu di Francia, passata per André e Jacques Pic, ha sommato alle 3 stelle della Maison Pic di Valenza altre 2 della Dame de Pic di Londra e del ristorante che porta il suo nome a Losanna, più 1 solitaria della Dame de Pic di Parigi. In tutto fanno 8, 1 in più di Carme Ruscalleda, che arrivò a 7 fra Sant Pau di Sant Pol (oggi chiuso), Moments del Mandarin di Barcellona e Sant Pau di Tokyo. Anne-Sophie Pic è forse la più grande, sicuramente la più premiata cuoca dei nostri tempi, interprete di una cucina francese contemporanea tanto sensibile quanto solida e personale. Un successo inaspettato per una cuoca autodidatta, entrata tardi nella professione, che poco dopo il ritorno a Valenza, dopo anni spesi nel management, si era trovata a dover riconquistare la terza stella, eclissata in stile Michelin dopo la prematura scomparsa del padre, quando aveva appena 23 anni. Ed è tuttora l’unica tristellata francese, in compagnia di ben 28 colleghi maschi.Fa quindi rumore l’intervista concessa a finedininglovers.com, nella quale la cuoca relativizza l’exploit: “È una bella responsabilità nei confronti della mia squadra e dei miei collaboratori, ma penso che occorra una certa spensieratezza. Vincere una stella è divertente, una ricompensa per il duro lavoro. Inevitabilmente porta ad altro, ma per il momento posso solo vedere gli aspetti positivi: la motivazione della squadra si è decuplicata. Tuttavia, non voglio vivere ossessionata dalle stelle, è una cosa che non mi appartiene”. Prosegue: “Sono una persona molto semplice e il mio sogno è sempre quello di restare con i piedi per terra, trovare un equilibrio nella mia vita personale e professionale. Una conquista sempre precaria, per la quale lotto quotidianamente, cercando di far bene e soprattutto divertirmi. Ma in qualche modo è proprio lo squilibrio che mi fa ancora sognare e mi dà l’adrenalina per andare avanti”.
Addestrata brevemente dal padre e dai suoi chef, così descrive il suo percorso e consiglia i giovani che si affacciano sul fourneau: “Come autodidatta ho sempre avuto grande libertà di azione, nella consapevolezza di essere limitata dalla mancanza di esperienza. Al riparo quindi da influenze esterne. Penso che la cosa più importante per i giovani sia restare sé stessi. Vent’anni fa abbiamo visitato i ristoranti in voga, ci siamo fermati e la cucina non poteva che riflettere queste diverse esperienze. Ed è quel che accade tuttora, partiamo da qualcosa di comfort, ma nel tempo ce ne distacchiamo e diventiamo noi stessi. È quasi impossibile sapere chi ci sia in cucina: devi essere aperto e scegliere ciò che vuoi salvaguardare. Devi coltivare le tue intuizioni. Oggi la fortuna dei giovani cuochi è che l’immagine della cucina è molto cambiata negli ultimi anni. Grazie alle competizioni e alla mediatizzazione, talvolta passa dall’artigianato all’arte ed è un’ottima cosa”.