Dai bombardamenti in Libano alle panchine di Parigi, dal lavoro clandestino nei cantieri alla doppia stella Michelin, passando per un cambio all’anagrafe e una falsificazione del curriculum: l’incredibile storia di Alan Geaam illumina il potenziale di talenti che si nasconde fra i clandestini.
La storia
Che bella la storia di Alan Geaam, primo chef libanese stellato, arrivato al successo contro la forza del destino. “Qui si possono realizzare dei sogni”, dice della Francia che lo ha accolto. “Se oggi ho due ristoranti stellati, Alan Geaam e l’Auberge Nicolas Flamel, diversi bistrot, un panificio e 80 dipendenti, è perché più di vent’anni fa qualcuno mi ha teso la mano e mi ha proposto il primo contratto, che mi ha permesso di avere una carta di soggiorno. Sì, sono autodidatta. Sì, sono entrato in Francia con un trafficante. Ma ho il diritto di essere uno chef stellato”.Oggi ha 48 anni, quando è arrivato ne aveva una ventina di meno e fuggiva da un Libano dilaniato dalla guerra. Cresciuto sotto le bombe di Tripoli, ricorda con un brivido la sua infanzia, quando la morte era una presenza costante, che falciava compagni di scuola e vicini di casa. “Se mangiavamo uova e pane raffermo, era la festa”. Poi il viaggio con un trafficante, le notti a dormire sulle panchine, il lavoro da clandestino nei cantieri, dove i mediatori trattenevano l’80% del salario. Eppure, c’era ancora da saldarlo, il debito con i trafficanti, che si sarebbe trascinato per anni.
Il contratto che l’ha salvato è stato quello da lavapiatti in un locale, dove negli anni diventa commis, chef de partie, demi-chef, sous-chef e infine chef. Nel frattempo, lui nel suo monolocale si esercita a preparare pesto e maionese da ricette scopiazzate in biblioteca. E falsifica il curriculum millantando esperienze pregresse, per forzare le porte dei ristoranti che sogna. Cambia persino il suo nome, Azzam Abdallah Al Geaam, per ammorbidire i pregiudizi. Ottenuta la cittadinanza francese, compra lo storico Auberge Nicolas Flamel a Parigi, poi apre due bistrot, una pizzeria e una drogheria e diventa consulente dell’hotel di lusso Le K2 Altitude a Courchevel. Sulla divisa oggi ha due bandiere, la francese e la libanese; in carta arcobaleni come il falafel nero con bisque di astice.
“Fra i giovani clandestini ci sono dei talenti. Occorre insegnare loro il francese e formarli in modo che abbiano un mestiere, aiuterà la nostra economia”, perora sostenendo la proposta governativa di istituire un titolo di soggiorno apposito per i “mestieri in tensione”, dove la manodopera scarseggia, come la ristorazione. Ma c’è ancora molto da fare, se è vero che uno dei lavapiatti, che impiega ormai da dieci anni, non riesce a ottenere la carta di soggiorno, nonostante il lavoro regolare e le buste paga. “È bloccato, non sappiamo perché”. A lui mamma Ilham l’ha insegnato, ad amare le persone. “Perché per cucinare, occorre sapere amare”.
Fonte: La Croix
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Foto di copertina: @Affyrm Studios