La cuvée di tecniche francesi, ingredienti trentini e stupore barocco è alla base della cucina di Edoardo Fumagalli, astro nascente impalmato dai Lunelli a Trento.
La Storia
Meritava una grande maison, Edoardo Fumagalli, a dispetto della sua giovane età. Trentun anni e un’ambizione da vendere, lievitata nel calore della passione. L’ha trovata a Trento, presso Locanda Margon, ristorante lanciato nell’empireo da Alfio Ghezzi, che ha poi scelto di battere altre strade in solitario. I Lunelli non hanno perso tempo: qualche colloquio qua e là ed è bastata una sola prova di cucina per convincerli che sì, l’uomo giusto era lui.Originario della Brianza, Fumagalli aveva iniziato a interessarsi di cucina in casa, per necessità, visto che i genitori lavoravano durante le ore dei pasti e c’erano da sfamare un fratello e una sorella. Da qui i primi movimenti ai fornelli intorno ai 12 anni, l’emozione di fare qualcosa per qualcuno, la scintilla. Dopo l’alberghiero le prime esperienze sono vicino a casa, poi nei grandi alberghi come Villa d’Este a Cernobbio, il Danieli a Venezia, un cinque stelle a Edimburgo. “Ma la curiosità mi ha spinto sempre più verso il fine dining. Sentivo l’esigenza di un’attenzione e un’atmosfera diversa, così a 21 anni sono entrato al Marchesino, dove era chef Daniel Canzian. È seguito un passaggio nella macelleria di Sergio Motta, full immersion nell’ingrediente carne; poi in occasione di un banchetto presso l’ambasciata italiana a Parigi Gualtiero Marchesi mi ha suggerito: ‘Perché non vieni qui a studiare la scuola francese e poi la applichi al prodotto italiano?’”
Venti giorni dopo il colloquio al Taillevent di Alain Solivérès, Fumagalli era già in quella brigata, da cui è uscito junior sous-chef. “Ed è stata un’esperienza difficile, perché mi sono affacciato alla cucina classica senza conoscere il francese, le gerarchie erano di ferro, ma ho imparato i fondamentali. Avevo poi un altro sogno: quello di andare a New York. Da Daniel Boulud, allora un tre stelle, mi sono fermato quasi due anni. L’impostazione era completamente diversa: facevamo 220 coperti, le materie prime americane erano diverse dalle nostre, ma di altissima qualità, in brigata eravamo 40 di 27 nazionalità diverse e vigeva un grande spirito di collaborazione nel momento creativo, c’era il coreano per il kimchi, poi c’ero io per la pasta e il riso”. Più brevi passaggi a Lasarte con Berasategui, Piazza Duomo con Enrico Crippa, Les Crayères di Philippe Mille.
“Dopo 6 anni all’estero però avevo voglia di tornare in Italia: aspettavo una chiamata da Bottura, invece all’altro capo della cornetta ho trovato la Locanda del Notaio, dove sono stato chef per la prima volta. Il concorso San Pellegrino Young Chef mi ha dato una mano a farmi conoscere, poi a luglio 2019 è arrivata un’altra bellissima opportunità grazie ai Lunelli. A Trento ho portato il mio secondo Federico Sarzi Amade e il pasticciere Damiano Bonomi, con me già da Marchesi. E se non sono il più vecchio, poco ci manca: l’età media è di 26 anni”.
“La famiglia Lunelli ha le idee molto chiare: Locanda Margon vuole essere un luogo di accoglienza e di eccellenza per il territorio trentino, ma di rilevanza nazionale, dove si concretizzi il percorso del bello e del buono di un’azienda, che ha il suo sbocco principale nella ristorazione. Ogni giorno passano colleghi in visita ed è uno stimolo in più”. Gli ambienti ereditati da Ghezzi non sono cambiati, come il personale di sala. A guidarlo è Alexander Valentinov, che in epoca covid racchiude ogni pietanza sotto la cloche, senza rinunciare all’affabilità. “Si tratta ogni volta di azzerarsi, per trattare il cliente in modo singolo”.
La carta dei vini oltrepassa i confini del Trentodoc: sono 800 referenze, con ambizioni antologiche sulle bollicine mondiali. Ma Locanda Margon resta anche un laboratorio di abbinamento per i vini Ferrari: a seguirlo è lo chef de cave Ruben Larentis, che gomito a gomito con Fumagalli ha messo a punto il menu Iridescenze & Bollicine, composto di 5 corse cucite su altrettanti spumanti, in cerca del punto di equilibrio fra calice e forchetta (190 euro). Vedi il risotto tostato a secco e sfumato al Perlé, portato a cottura nel brodo vegetale e mantecato con burro, Trentingrana e lingotti ghiacciati di purea di erbe dolci (secondo la stagione portulaca, origano, ruta, perilla, basilico, aneto, finocchietto), più un giro di crema di Ferrari Perlé a base di riso stracotto frullato col latte e le medesime erbe a crudo. Quelle che non sono spontanee vengono raccolte nei due orti della casa; l’appezzamento in villa, in particolare, è dedicato ai fiori. L’abbinamento, neanche a dirlo, è con lo stesso Perlé. Sono invece liberi gli altri menu (Straordinario Trentino e Naturale Cognizione, il più personale, rispettivamente a 95 e 130 euro).
In atto è anche lo studio del terroir, che in Trentino non è solo la montagna (il burro e i formaggi di malga, i pesci di acqua dolce dei laghi dolomitici, le uova della Val di Gresta, il bestiame al pascolo della Val d’Ambiez), ma anche l’enclave “mediterranea” dell’alto Lago di Garda, bordeggiata di agrumeti e uliveti. Prodotti che sul piatto emergono nitidi, nella loro massima naturalezza e riconoscibilità, per essere travolti dal gioco degli accostamenti e dei contrasti. Stupisce, infatti, la perizia di Fumagalli nella costruzione del menu, dote rara per un giovane chef: a tavola non ci si annoia mai, si passa dal caldo al freddo, dall’acido al balsamico, dal croccante al fondente; ma sono anche i registri a variare. Le tecniche (esatte) sono perlopiù classiche, ma il loro utilizzo va ben oltre, suscitando un sentimento di gioco e meraviglia che suona quasi spagnolo. “Ci ho messo tanto per emanciparmi dal francesismo che mi frenava”, confida Fumagalli. “Anche se mi ha lasciato basi da svolgere altrimenti. Sentivo l’esigenza di una cucina creativa, moderna e leggera, attenta anche al benessere. Oggi a tavola bisogna regalare un’esperienza che vada oltre il cibo, fatta di piccoli momenti in cui si prova qualcosa di diverso. L’obiettivo è che l’ospite si chieda ogni volta quale piatto arriverà dopo”.
I Piatti
Gli appetizer sono una passione di Fumagalli, cui offrono l’opportunità di presentare la propria cucina a prescindere dalla scelta del menu. Restano alcuni piatti della Locanda, per quanto in evoluzione: il sigaro di patata, l’uovo di quaglia, i burri di malga composti con clorofilla di prezzemolo, limone e zafferano, succo di rape, subito coloratissimi.
Risalta in particolare il soffice di olive del Garda, che si presenta come un pan di Spagna alle molche con cui cancellare, come su una lavagna, i ramoscelli di ulivo effigiati con crema di arance. Oppure il delizioso polletto degno di un gioco di bambino. Misura appena 15 mm ed è il risultato della collaborazione con Navarini, artigiano che lavora il rame a pochi chilometri dal ristorante, e il laboratorio Muse, con la sua stampante 3 D e l’ingegnere specializzato negli stampi. Di fatto si tratta di una mousse cotta al vapore in uno stampo in silicone e glassata con un fondo al rosmarino, su un letto di micropatate arrosto con maionese leggermente piccante al pomodoro e pelle arrosto sbriciolata. Virtuosismo che strappa il sorriso, ma rappresenta soprattutto un esercizio di concentrazione del gusto. “Tanto che prossimamente potrebbe esserci un menu interamente composto di miniature. Perché tutti sono capaci di fare un piatto bello, poi la sfida è standardizzare”. E ancora il biscotto di arachidi con purea di melanzane arrosto nella forma ricomposta dell’ortaggio.
I calamari del Tirreno sono serviti crudi a brunoise, appena conditi con sale e olio, insieme a biglie di verdure variopinte (diverse varietà di carote, zucchine, rape), scottate nel brodo di pesce di acqua dolce, e una salsa agra al mortaio composta di lime e alghe. Dove il gioco è fra le testure, la fuga e la persistenza; la complementarietà fra pesce di mare e di lago, sapidità e dolcezza.
È quasi una monografia di contrasti la bieta novella appena scottata, marinata al chimichurri con crudo del fusto e gelato di foglie. Ferrosità spazzata via dal primo intermezzo: il club sandwich di anguria e melone in agrodolce con gel di zenzero e sorbetto alla verbena, ricettacolo estivo di ogni possibile freschezza.
Al risotto comfort, dopo la ripartenza, seguono i bottoni di pasta all’uovo al prezzemolo farciti di maionese alla clorofilla di prezzemolo, per un gusto nitido di vegetale erbaceo, sul piatto con ostriche al naturale, crema dolce di ostriche, alette di cappone, scalogno in agrodolce e lenticchie nere soffiate per il contrasto croccante. Un piatto reminiscente di Francia.
Ma Fumagalli vuole di nuovo sparigliare con il suo Gioco del gusto: in tavola arrivano quattro gnocchetti di vari colori in una salamoia leggera. Sta all’ospite indovinarne l’ingrediente principale, elaborato in maionese per una testura fondente che lascia spazio al sapore. Un invito a concentrarsi sui propri sensi e sulla potenza sinestetica del colore, divertissement ma anche metacucina. Questo infatti sono i piatti di Fumagalli: il gusto diretto della natura sublimato in energia anche visiva.
Dopo l’ennesimo stop and go, si riparte dal coregone con sedano rapa fondente cotto in crosta di sale e infusionato dentro un ristretto di seppia, più crema di alga wakame e fiori ripieni agli agrumi. Di nuovo mari e monti, anzi mari e laghi in un matrimonio fra mineralità terragna, sapidità marina e acidità delle bocche di leone, che spezzano l’assaggio per ritrovare la freschezza, feticcio dello chef.
È poi puristica la sella di agnello da latte, servita nature con polvere di ciliegie disidratate e un jus infusionato sempre alle ciliegie; dove la freschezza emana da un bouquet commestibili di erbe e fiori dell’orto, condito con dressing al carpione, da degustare con le pinze per una diversa attenzione.
Chiude l’omaggio al territorio della pietra composta di mousse di latte d’alpeggio, glassata al cioccolato e panata alla polvere leggermente sapida di fiori di sambuco. Giace su un letto di gusti del bosco, frutto del foraging, dai fiori freschi di sambuco al gel di melissa, dalla menta alla polvere di ortica, alla quenelle balsamica di gelato al pino mugo. Per un commiato ancora una volta freschissimo. Ma non è l’ultimo saluto: il biglietto di benvenuto è stampato su una carta seminabile, che promette di far germinare il proprio souvenir in qualche vaso di casa.
Indirizzo
Ristorante Locanda MargonVia Margone di Ravina n 15 – 38123 Trento
Tel. +39 0461 349401
Mail contact@locandamargon.it
Il sito web