Attualità enogastronomica

Fine dining: ex cuoca smonta il mito. “Prendevo 14€ l’ora per 70 ore settimanali”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina ok lavoro fine dining

“René Redzepi comincia a capire quello che i suoi dipendenti già sapevano: il modello di business che consente ai ristoranti più importanti del mondo di prosperare non è mai stato sostenibile”. Ad affermarlo è una giovane cuoca, che si è allontanata dalle cucine fine dining per una malattia psicosomatica.

La storia

La storia di Geneviève Yam somiglia a quella di tanti ragazzi, sedotti e delusi dalla magia del fine dining. Il racconto in prima persona è sulle pagine di Bon Appetit, dove l’ormai ex cuoca riflette sulle sue esperienze di vita. “In cucina ero spinta da un senso di urgenza a compiere le mansioni diligentemente elencate sulla mia lista delle preparazioni, correndo per finire la linea ogni giorno prima del servizio. E la posta era alta: ogni singolo elemento doveva essere eseguito in modo regolare e alla perfezione, nel timore di servire un macaron poco guarnito o una crema impazzita a un critico gastronomico o a un cliente che pagava centinaia di dollari per il pasto".

Geneviève Yam- foto dal sito web dell'ex chef, oggi scrittrice



"Era inebriante ma anche sfiancante; ogni giorno percorrevo le montagne russe del servizio, sperando di non restare indietro all’arrivo delle comande. Come giovane professionista, pensavo di vivere il mio sogno. La cena costava al cliente 450 dollari e cuochi come me trascorrevano settanta ore a settimana sfogliando erbe, asciugando purè, lasciando ridurre fondi per sprigionare la magia. Ogni giorno avevo la possibilità di imparare qualcosa di nuovo dagli chef che ammiravo e ogni giorno mi sentivo fortunata perché lavoravo in stabilimenti così prestigiosi. Per tutto questo, ero pagata 15 dollari l’ora (l’equivalente di circa 14 euro, ndr)”.


La decisione di voltare pagina è arrivata prima dello choc pandemico, alla fine del 2019, dopo una diagnosi di fibromialgia, patologia dolorosa di matrice psicosomatica. “Per quanto cercassi disperatamente di continuare a lavorare in cucina, stava diventando lampante che semplicemente non era fattibile. Anche per le persone in perfetta salute, i ristoranti top possono essere luoghi di lavoro straordinariamente duri. Le lunghe ore e la pressione elevata erano eccessive per i miei nervi. Il dottore mi ha detto che nessuna medicina avrebbe alleviato il mio dolore, se avessi continuato a vivere in una simile condizione di stress. Ho interpretato le sue parole fra le righe: il mio corpo si stava uccidendo, tutto per minuscoli dettagli, come la finitura di un semifreddo con la giusta quantità di schiuma, che non avevano nessuna importanza”.

@Geneviève Yam



Oggi tuttavia, osserva sollevata Geneviève, quelle fabbriche di sfruttamento, per quanto sbrilluccicanti, stanno andando fuori moda. Come cliente ed ex lavoratrice della ristorazione, non desidero più visitare i ristoranti che tempo fa mettevo così entusiasticamente sul piedistallo. I Noma del mondo stanno chiudendo e questa è una buona cosa. Perché se i ristoranti non possono trovare un modello di business in cui retribuiscono e trattano il personale in modo corretto, semplicemente non devono esistere”.


Foto di copertina a scopo rappresentativo - @Adobe Stock

Fonte: bonappetit.com

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