Quella di Dario Torabi all’Old Friend Bistrot è una cucina senza limiti né confini, geografici o gustativi, che immette i grandi prodotti sardi nel gioco della creatività contemporanea internazionale.
Old Friend Bar & Bistrot
Il ristorante
Cagliari cambia pelle: avambracci abbronzati dal sole, ma arabescati di tatuaggi. Mancava, nel capoluogo sardo, una proposta gastronomica come quella dell’Old Friend Bistrot (per noi, il ristorante-rivelazione del 2022 in città), locale che in pieno centro porta un’aria cosmopolita e internazionale, decisamente underground, senza mai mettere in dubbio la geolocalizzazione sull’isola.
Lo chef Dario Torabi, del resto, è sardo a modo suo, tanto abbarbicato alla sua terra, quanto letteralmente figlio del meticciato. È anche figlio d’arte, per quanto i ricordi del ristorante iraniano condotto in città dal padre Bahram siano vaghi a causa della tenera età. Mamma Eleonora, invece, era piemontese e col marito aveva condiviso anche l’innamoramento per l’isola, decidendo di trasferirsi oltremare.
“La proposta era un mix ante litteram fra ricette tradizionali persiane ed elementi locali. Ricordo la melagrana e il profumo dello zafferano. Anche in casa dipendeva da chi si metteva ai fornelli, ma difficilmente andava in tavola un piatto sardo”. La cucina è tornata fuori, dominante come un gene, dopo il diploma al liceo classico, dapprincipio in qualche ristorante italiano a Monaco.
“Ma io volevo rientrare in Sardegna, è venuta fuori l’occasione di aprire qualcosa di mio e l’ho colta. Da tempo sentivo il bisogno di proporre una cucina creativa e personale”. L’Old Friend Bistrot apre nel 2016, poi nel 2020 si sposta in centro, in un locale su misura, con i murales di Emanuele Boi detto Skan alle pareti. E subito stupisce l’estro dell’autodidatta.
“Amo molto viaggiare, assaggiare gusti e consistenze nuovi. Sono partito dall’idea di interpretare i prodotti sardi in chiave contemporanea e internazionale, senza schemi pregressi, secondo le voglie del momento. A influire sono state le esperienze in Danimarca, a Berlino e a Londra. In particolare il New Nordic è stato un flash, per l’informalità del servizio e un modo di ragionare che sentivo simile al mio. A Copenhagen ci tengono al prodotto, ma trovi anche tante spezie e un’essenzialità che paradossalmente suona quasi giapponese. È una cucina senza limiti né confini, favorita dall’assenza di tradizioni”.
La cucina
Anche all’Old Friend la cucina nasce from scratch: non c’è nessuna ricetta tipica, né sarda né italiana. I piatti prendono forma ragionando sull’abbinamento fra prodotti, che non eguagliano mai le dita delle mani e custodiscono sempre il loro sapore originario, mentre le tecniche giostrano. Cosicché i primi, icona italiana, possono essere presenti, ma non costituiscono un dogma. In carta sono un paio, sempre ispirati dal ragionamento gustativo astratto. È il caso degli spaghetti monograno Felicetti reidratati in acqua fredda e cotti in una salsa ricca di burro e limone, quasi un contorno per i bocconi di mare, veri protagonisti e cellula staminale del piatto. Poco a che spartire, alla fine, con il classico della Costiera.
Oppure del risotto, che non manca praticamente mai come omaggio a mamma Eleonora. Ora è un trionfo di funghi locali (shiitake di Nurri, finferli, cardoncelli, porcini, leccini), mantecato al formaggio erborinato con coulis e polvere di lampone, altre polveri di porcino e prezzemolo, una cascata di nocciole croccanti. Per una sensazione di sottobosco squisitamente invernale.
Il menu, tuttavia, cambia una volta al mese, sebbene alcuni piatti siano difficili da togliere. Per esempio in estate il cervello con peperoni e liquirizia, dichiarazione d’amore alle frattaglie; oppure il pancake di mare, miscellanea di crostacei e molluschi crudi che vengono innaffiati di pastella alla birra Ipa e whisky per il fumé, poi cotti nel ring, in modo da ottenere una focaccina succosa e iodata, soffice dentro e croccante fuori, servita con una maionese molto acida e una cascata di erbe spontanee.
La scelta è fra una decina di piatti alla carta, senza partizioni, che costano fra 12 e 20 euro, e il menu degustazione da 9 corse a 50 (ma a volte sono due). Le materie sono in gran parte di prossimità: pecore e agnelli del pastore, utilizzati interi se di piccola taglia, formaggi a latte crudo Sa Marchesa, impiegati come tradizione non contempla, ortaggi del mercato rionale di San Benedetto o di Cocchiland, piccola azienda biodinamica che fa anche foraging, pesce del mercato o di una pescheria che si approvvigiona direttamente dalle barche.
Né manca qualche portata vegetariana, talvolta anche vegana, di nuovo non per scelta, ma perché è venuta così. Infine, i vini, selezionati da Matteo Atzori con Matteo Deidda ed Enrico Mascia (che segue anche le birre): un centinaio di etichette che girano veloci, quasi tutte naturali e spesso orange.
Chi si accomoda riceve subito il pane, accompagnato in estate da extravergine sardo e in inverno da burro bretone modellato a forma di teschio. Poi amuse-bouche già fuori dagli schemi, come i “culi di pollo”, bocconi del prete arrostiti, fritti, glassati ai funghi e alle erbe spontanee. Sono pura fragranza i totanetti locali, tenerissimi in stagione, quando l’acqua è fredda. Hanno ispirato la ricetta, senza subire snaturamenti. Incisi e scottati sulla padella incandescente, vengono impiattati su una girandola di salse: la crema di cicoria per l’amaro e l’erbaceo, una bagna cauda alleggerita e addolcita, l’olio alla ‘nduja per il piccante animale, e ancora foglie di cicoria e tanto limone per chiamare a raccolta i gusti primari in contrasto.
Le lumache sono ricondotte nel loro habitat: preparate classicamente al sugo, come in casa, sono servite su una crema terrosa di sedano rapa, sotto un’insalatina di erbe spontanee e un biscotto di pecorino che riproduce la forma del guscio.
Il quinto quarto torna protagonista nella cordula, tradizione sarda che viene portata fuori contesto. La treccia di intestino di agnello arrosto viene servita su un’insalatina tiepida di lenticchie con ostriche e beurre blanc spumoso e setoso, più la polvere di limone nero iraniano quale spia affettiva e vettore di una freschezza senza acidità. Viene preparata in casa e usata come una spezia, ma gli stessi legumi sono brasati con il brodo che se ne ricava.
In alternativa c’è la tartare di manzo servita nel guscio di granciporro e condita con la polpa tipo insalata russa, rucola e briciole di pane fritto che richiamano la sabbia, per un mari e monti sui generis. Ma il pesce diventa un dettaglio nella crema di cavolfiore caramellato, quasi bruciato, con lo stesso ortaggio arrostito e marinato sottaceto, secondo la disponibilità capesante oppure gamberi, le cui teste presentate sui carboni vanno spremute sul piatto, profumato al dragoncello.
Anche i dolci non dolci, a base vegetale e perfino animale, privilegiano il divertimento sul cliché. Vedi la spuma di ricotta con brunoise di zucca caramellata, scorze di yuzu e vetro di zucca oppure la mousse di cioccolato con gel di mandarino, topinambur fritto croccante, cialda di cioccolato bianco e cuore di vitello in polvere per il finale ferroso, che dà la spinta.
Fotografie di Natalia Ghiani
Indirizzo
Old Friend Bar & Bistrot
Via Giuseppe Abba, 51, 09127 Cagliari CA
Tel: 070 464 7988
Sito web