Dove mangiare in Italia

Il ristorante dedicato a Il Marchese del Grillo e Alberto Sordi: Il Marchese a Roma con la cucina concreta di Daniele Roppo

di:
Massimiliano Bianconcini
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Daniele Roppo 01

Si rivolge a un pubblico che ama mangiare e bere bene, evitando le sperimentazioni dell’alta gastronomia. Il concept è studiato con l’obiettivo di aprire un giorno una sede a New York.

La Storia

Il Marchese si trova all’intersezione tra via di Ripetta e via Borghese. Dai suoi tavolini si può vedere la splendida teca progettata da Mayer che protegge e valorizza l’Ara Pacis, uno dei luoghi simbolo di Roma. Alle spalle del locale c’è il Lungotevere Marzio con il Palazzaccio, ossia la Corte di Cassazione. Insomma, il ristorante aperto nel 2018 da Davide Solari e Lorenzo Renzi è in uno dei luoghi più interessanti di Roma ed è esso stesso un simbolo della romanità. Il nome rimanda al film di Monicelli Il Marchese del Grillo, interpretato da un superbo Alberto Sordi, che i due proprietari hanno scelto per amore della Capitale e perché il locale è strutturato in modo che emergano le anime dei due personaggi interpretati dall’attore romano. «L’idea di partenza tradisce il fatto che noi siamo molto legati a Roma, alla sua cucina tradizionale e al buon bere. Il Marchese del Grillo inoltre rappresenta per i romani una pietra miliare. - rivela Davide Solari - A noi piace anche il suono della parola. Nel film c’è il carbonaro, che nel nostro locale è rappresentato dall’osteria con i tavoli in legno e il pavimento piastrellato, e poi c’è il marchese con i salotti e gli arredi eleganti». Tra cui spiccano le boiserie, le bottiglie scintillanti, gli specchi, gli stucchi e i quadri. È una parte spiccatamente parigina, da bistrot, arricchita da poltroncine in velluto e tavolini bassi, alcuni dei quali rotondi. C’è inoltre un bancone di oltre venti metri, che ingloba anche l’Amaro Bar, con i liquori e le bollicine.


Il Marchese si rivolge a un pubblico romano che ama, come i due proprietari, mangiare e bere bene, evitando le sperimentazioni, le innovazioni e gli impiattamenti osé dell’alta gastronomia. Si rivolge anche ai turisti che vogliono fare esperienza dei piatti romani, con le ricette che conservano ed esaltano la tradizione. Il progetto, nato come detto nel 2018, è ancora in una fase di start-up e, poiché il 2020 sarà classificato come un anno a turismo zero, l’appuntamento con gli avventori d’oltreoceano è solo rimandato. Il concept del locale è stato studiato con l’obiettivo dichiarato di aprire, un giorno non lontano, una sede a New York. Lo rivela Davide Solari, colui che più insegue questo sogno. È stato pensato e ideato tenendo anche a mente la tipologia di locali che insistono, ad esempio, nell’area di Soho, tra Hudson Square e Tribeca.


In effetti, al di là della romanità di partenza, nel suo insieme ha un sapore internazionale, soprattutto se si tengono a mente gli arredi. L’atmosfera non rimanda immediatamente a Roma, piuttosto a un bistrot parigino. Sembra fare l’occhiolino più alla “belle époque” che alla Roma papalina degli inizi dell’Ottocento. L’impressione è quella di un locale con varie anime, ma i colori del bianco e della crema, misti alle luci calde e soffuse, portano fuori dalla Capitale. Lo stesso bancone, ampio e catalizzante, che permette di sorseggiare un aperitivo o anche di mangiare, non rimanda a Roma. Quanti se ne contano nella Capitale? Forse di così lunghi non ce ne sono nemmeno nei Grand Hotel. C’è poi una selezione di 600 amari italiani. «Il 70% della produzione mondiale di amari è italiana. Noi da questo punto di vista siamo un unicum, perché abbiamo la più vasta bottigliera di amari in Europa e una delle poche al mondo. Abbiamo anche referenze internazionali, le migliori in commercio, ma per la maggior parte sono esposti prodotti italiani. Questo è un dettaglio che attira e manda in visibilio i clienti stranieri».


Normalmente (non ora con le limitazioni Covid imposte dagli ultimi DPCM) il Marchese è aperto dalle 12,30 a mezzanotte nei fine settimana; fino alle 23 nei giorni infrasettimanali. Questo vuol dire che la cucina non chiude mai e consente di pranzare o cenare a qualsiasi ora. In totale può ospitare 100 coperti al suo interno e 40 nel dehors esterno, che resta disponibile anche l’inverno. Il prezzo medio di una cena, bevande escluse, è di 35€; mentre a pranzo siamo sui 25€. «Abbiamo stipulato però delle convenzioni con gli uffici, alcuni dei quali non sono poi nemmeno così vicini, a 12€ - aggiunge Solari». Sono praticamente sempre aperti, l’unico giorno di chiusura è il 24 dicembre. Il menù viene rinnovato due volte l’anno, ma ci sono continui aggiornamenti e ogni due settimane vengono studiati fuori menù per ogni portata. Inoltre, a partire dall’autunno, erano previste iniziative come il mese del tartufo o quello del fungo porcino. Cosa che si dovrà necessariamente rimandare a causa dei lockdown e delle ristrettezze di orari.

Chef

Il cuoco del Marchese è Daniele Roppo, romano da parte di mamma e pugliese da parte di papà. Ha scoperto l’amore per la cucina in modo casuale. Ultimo di tre figli, con i genitori impegnati nel lavoro durante la settimana, dopo la scuola spesso e volentieri «a pranzo si mangiavano cose fredde, tipo pasta, riso, hamburger, perché i miei fratelli non avevano tanta voglia di cucinare. A me invece già da piccolo, seguendo le nonne, mi piaceva trafficare in cucina. Da lì è nata la mia passione». Roppo si è dunque avvicinato alla cucina romana verace e casalinga, di paste fatta in casa, zuppe, coda alla vaccinara, cervello fritto, trippa alla romana. Il rugby praticato a buoni livelli gli ha fatto prendere dimestichezza con la griglia e la brace, soprattutto durante i dopo partita, nel terzo tempo, quando le squadre socializzano. All’università aveva scelto economia aziendale ma poi, spinto dalla famiglia, ha iniziato a lavorare in una bettola - come dice lui - a Torrevecchia, frequentando successivamente una scuola di cucina a Roma. La mattina faceva il corso e la sera lavorava.


La professione l’ha iniziata seriamente in un ristorantino a Campo de’ Fiori, dove faceva anche 100 coperti a pranzo. Lì si è svezzato, affrontando la battaglia quotidiana del servizio. Dopo qualche stage qua e là, nel 2011 è finito al Caffè Propaganda con Arcangelo Dandini e Stéphane Betmon, all’apertura del locale. «Loro mi hanno aperto la strada ad una cucina di livello, la cura del dettaglio, l’attenzione alla tradizione e alla qualità dei prodotti. Mi hanno insegnato a stare all’interno di una brigata vera. Da lì ho iniziato una strada differente e ho cambiato passo». È stato a Stazione di Posta con Marco Martini e si è cimentato in una cucina gourmet che chiedeva abbinamenti con le birre artigianali in un gastro pub, dove ha avuto anche esperienze gestionali. Al Marchese è arrivato nel 2017, quando il locale era solo un progetto sulla carta e non c’era niente. «Abbiamo ragionato su di una cucina della tradizione romana, rivisitata in chiave moderna, per cui da un approccio gourmet sono tornato ad uno più concreto e diretto, focalizzato sui sapori e sulle materie prime. La cura del particolare naturalmente c’è, ma lasciamo da parte le sperimentazioni», sottolinea Daniele Roppo.

I Piatti

La tradizione a cui guardano lo chef e i due titolari è quella che si sta perdendo, quella di famiglia con le paste fatte in casa e le minestre con il brodo di gallina, che era facile trovare due generazioni addietro. Insomma, una cucina di conforto che abbina anche il sapore di una volta con i fondi di cottura che bolliscono per tre giorni. L’invenzione comunque c’è, come la rivisitazione del classico baccalà alla romana, proposto d’estate, con gli stessi ingredienti: uvetta, pinoli, baccalà e origano. Anche la pajata viene preparata come si faceva un tempo, prendendo il budellino, facendo il fiocchetto e mettendolo a cuocere per coagulare il latticello. I clienti mangiano quello che si mangiava un tempo a casa del cuoco. Stessa cosa per la trippa. Però il tutto viene preparato con meno grassi, solo quelli dell’animale senza aggiungerne di nuovi, come burro o olio.


L’impiattamento è essenziale, pulito, senza ricercatezze barocche. «Il Marchese, per fortuna, fa parecchi coperti durante il giorno e quindi bisogna essere pratici e concreti». In carta ci sono 7 antipasti, le paste romane più altri 5 primi, 7 secondi e poi si gioca con la stagione. Il pesce c’è ma non è centrale nel progetto, inoltre si possono trovare alcuni piatti vegetariani. Fuori menù, l’inverno, c’è sempre una zuppa di legumi, come le cicerchie, le lenticchie, i fagioli con le cotiche, broccoli e arzilla. Una prossima entrée sarà la vellutata di zucca con un olio alla liquirizia e il pane croccante al rosmarino.

Cocktail, carbonara e supplì



La crocchetta di bollito è un piatto tipico romano che faceva la nonna dello chef. È un piatto che è in menù fin dall’apertura. Daniele usa una punta di petto, il campanello. Fa bollire la carne con chiodi di garofano, grani in pepe, sedano e carota. Parte da freddo e lo fa andare sul fuoco lento per quattro-cinque ore. Dopo di che si trita il tutto, si insaporisce con sale e pepe tostato. L’acqua di cottura viene messa da parte con tutti i grassi e i profumi, per essere utilizzata in altre composizioni, in modo da dare vita ad una cucina circolare. Fatta la crocchetta, viene panata con uovo e pan grattato misto al panko, un pane bianco giapponese più croccante. Si accompagna con una salsa verde classica romana fatta con alice, prezzemolo, basilico e l’aglio pulito dall’anima. Si forma così la crema, insieme con dei cubetti di ghiaccio che servono per fissare la clorofilla e non perdere il colore. Questa salsa viene tagliata con della maionese fatta in casa, in modo da lasciarla saporita, ma più delicata per essere gradita da tutti.

La Crocchetta di baccalà mantecato su vellutata di ceci è un altro antipasto a cui ama dedicarsi Daniele. I legumi vengono messi in ammollo il giorno prima e poi scaldati con rosmarino, sedano, carota e cipolla a fuoco basso. Una volta che si è raggiunta la cottura del legume si aggiunge dell’olio al rosmarino, si frullano e si filtra la crema di ceci per fare la vellutata. Il baccalà è mantecato, quindi viene sfaldato con panna, burro e poca farina, fino a creare una crocchetta molto cremosa, l’impanatura è sempre con il panko.

Carbonara



L’Agnolotto al nero di seppia ripieno di gamberi è un piatto completamente fatto in casa. Roppo prende i gamberi, li sguscia e li mette in un barattolo con un filo d’olio. Al momento del servizio li scotta in padella. La padella viene messa da parte e servirà per saltare gli agnolotti. Con i carapaci e le teste dei gamberi si fa una bisque classica, leggermente ridotta. Si prende una patata schiacciata e si aromatizza con la bisque e ci si aggiunge qualche pezzo di gambero, per avere consistenze diverse nel ripieno. La pasta degli agnolotti è fatta a mano. Viene aggiunto il nero di seppia che dona altro sapore di pesce. Gli agnolotti vengono saltati in padella, sempre con la bisque di gamberi, e serviti su un letto di stracciatella liquida, frullata con sale pepe e olio in modo da essere molto liscia. Gli agnolotti vengono infine nappati con il fondo di cottura della bisque, un gambero intero scottato che rimane croccante all’esterno e morbido all’interno. In finale viene grattugiato del lime e della bottarga e aggiunte delle gocce di riduzione di bitter.


Il Filetto di vitello come i saltimbocca è un altro piatto che trae ispirazione dalla cucina tradizionale romana. Si prende da una selezione di vitello molto pregiata, il filetto, e lo si taglia in porzioni da 200 gr. Con una noce di burro e una foglia di salvia lo si chiude in pellicola e si mette a cuocere sottovuoto a 55 gradi per circa un’ora. Al momento del servizio lo si scotta e si sfuma con del vino bianco e viene glassato con del fondo bruno classico, fatto con ossa di manzo e ossa di vitello. Il tutto viene insaporito con della salvia. Il piatto viene chiuso con del prosciutto crudo fresco e del prosciutto reso croccante, che dà sapidità al piatto. Alla fine viene un saltimbocca più elegante, rispetto a quello tradizionale.


Il piatto signature di Daniele Roppo è un dolce: il Tiramisù al pistacchio. Lo realizza dividendo gli albumi dai tuorli e non utilizzando la panna. Unisce quattro tuorli con mezzo chilo di mascarpone, 100 gr di pasta di pistacchio pura di Sicilia e 200 gr. di zucchero. Gli albumi vengono montati a parte a meringa, con meno zucchero all’interno. Viene servito con dei savoiardi bagnati con caffè dolce.

Indrizzo

Il Marchese

Via di Ripetta 162 - Roma

Tel. +39 06 90218872

Mail info@ilmarcheseroma.it

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