A dispetto della crisi, lo spreco alimentare non cala: finisce dentro svariate pattumiere il 17% del cibo, nei paesi sviluppati e non solo.
La Notizia
Su un unico punto l’accordo è unanime: ci sveglieremo in un mondo diverso e forse migliore. Le coscienze sono all’erta, la sostenibilità, dentro e fuori la ristorazione, è sulla bocca di tutti. Certo lo scarto zero era già un obiettivo all’orizzonte, nel mirino fra gli altri di Massimo Bottura. Oggi tutto questo, se possibile, è ancora più urgente e attuale. Non più abbordabile, tuttavia, se è vero che l’ONU ha appena lanciato il suo ennesimo monito.Secondo i suoi dati, ammonta al 17% la percentuale perduta di tutti gli alimenti, un numero cui contribuisce pesantemente il cittadino comune, se è vero che l’11% della spesa finisce nelle pattumiere delle case, con il concorso di commercianti e altri servizi alimentari, responsabili rispettivamente del 2% e del 5% delle perdite. In tutto nel 2019 hanno pesato per 931 milioni di tonnellate, un numero che fa paura. Equivale a 23 milioni di camion da 40 tonnellate ben stipati, che un paraurti contro l’altro farebbero il giro del mondo sette volte.
L’indice di dispersione degli alimenti calcolato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) considera tanto gli alimenti quanto le loro parti non commestibili, come ossa e bucce. Calcolando la perdita pro capite, si arriva a 121 chilogrammi a testa, 74 dei quali a livello domestico, mentre 690 milioni di persone soffrono la fame e 3 miliardi non possono permettersi una dieta sana (numeri che a causa della pandemia sono destinati a impennarsi drammaticamente). Le implicazioni, tuttavia, non riguardano solo le conseguenze dirette su malnutrizione e denutrizione: si calcola che una percentuale compresa fra l’8 e il 10% delle emissioni di gas effetto serra derivi dallo spreco alimentare. Come sintetizza Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP, annunciando nuove azioni targate ONU, “ridurre lo spreco di alimenti abbasserebbe le emissioni di gas effetto serra, rallenterebbe la distruzione della natura attraverso la conversione della terra, migliorerebbe la disponibilità di alimenti, aiuterebbe a combattere la fame e risparmiare risorse in un momento di recessione mondiale”.
I paesi che hanno sottoscritto gli accordi di Parigi potrebbero fare leva su questo aspetto, per rientrare nei target, contrastare i cambiamenti climatici e aiutare nello stesso tempo i cittadini in difficoltà, più che mai oggi che si profila la sfida della ripresa post-pandemica. Secondo gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’ONU, tabella di marcia verso la sostenibilità, lo spreco mondiale andrebbe dimezzato entro il 2030 a livello commerciale e privato, riducendo le perdite lungo tutta la catena di produzione e distribuzione. Si tratta di dati che vanno raccolti in modo uniforme (attualmente le nazioni che provvedono sono 54), affinché le strategie possano essere centrate e coordinate: anche questo rientra fra gli obiettivi dell’organizzazione, che rileva non senza stupore come lo spreco non riguardi più i soli paesi avanzati, ma accomuni tutto il mondo.