Attualità enogastronomica

“I critici gastronomici sono una parte del sistema che fa funzionare la ristorazione e saranno fondamentali nei prossimi mesi”

di:
Alessandra Meldolesi
|
News Sito incibum critico

Nessuno nutre dubbi sulle capacità di resilienza della ristorazione sopravvissuta al Covid. Ma quando si rimetterà in moto, in quali condizioni si troverà a operare la critica specializzata, già moribonda?

La Notizia

Qualcuno già se lo era chiesto: che ne sarà della critica food, dopo il covid? La ristorazione, ahimè, è stata uno dei settori più colpiti dalle restrizioni praticamente in tutto il mondo e ha trascinato nel suo tragico mulinello una filiera incommensurabile, comprendente fra gli altri l’editoria specializzata. Tanto che diverse testate, un po’ alla chetichella, hanno già fermato le rotative, per esempio Bartù e Pambianco. Il virus, dicono in tanti, ha accelerato tendenze in atto.

E sicuramente il comparto già da tempo godeva di salute se non pessima, assai cagionevole. Al punto da essere reputato ormai superfluo da tanti. Non sono poche le testate che anche all’estero hanno tagliato per sempre la posizione del critico specializzato dal loro organigramma, affidandosi a collaborazioni pesantemente dipendenti dal commerciale, il cui primo obiettivo è portare in cassa pubblicità fresca.


Fino al divampare della pandemia, tuttavia, è stata quasi sempre la critica specializzata, sulle guide, sui siti, sui quotidiani, a decretare successo e insuccesso dei ristoranti, specialmente nelle grandi città, dove il passaparola diventa uno spiffero. Laddove gli esercizi sono decine di migliaia, una recensione positiva può attirare a sua volta altri critici, che sono solito muoversi a branchi, risultando in un possibile crash delle prenotazioni (ma non sempre avviene).

A maggior ragione dove il turismo o la clientela business dettano legge, alimentando il bisogno di informazioni attendibili e facilmente reperibili, nella buona e nella cattiva sorte. Ma è ormai costume diffuso, evitare di investire inchiostro e risorse laddove il ristorante non dovesse rivelarsi all’altezza: di fatto è la policy di molte testate, prima ancora dei loro critici. Pur tenendo presente che, come ammoniva P. T. Barnum, “non c’è niente come la cattiva pubblicità”

Di fatto, in attesa della riapertura incondizionata dei ristoranti, resta difficile giudicarli: quelli che hanno ricominciato a operare all’aperto o a pranzo difficilmente soddisfano i loro standard precedenti, non hanno riassortito la cantina, in cambio possono aver tagliato il servizio oppure optato per menu semplificati o più economici, al fine di rischiare il meno possibile, mantenendo tuttavia prezzi invariati o ritoccati verso l’alto. Difficile rimproverarli per iscritto, quando il primo imperativo è sopravvivere.


È John Mariani a tracciare un bilancio della situazione negli Stati Uniti su Forbes. Due testate per cui stilava le sue recensioni hanno deciso di fare a meno della rubrica, al pari di Vogue. Perfino Esquire, che un tempo aveva un budget corposo, esce oggi appena 8 volte l’anno e senza recensioni. Molte riviste durante la pandemia hanno messo da parte i loro critici in favore di una copertura occasionale, talvolta relativa solo a delivery e asporto. I tempi in cui Times, Washington Post o L. A. Times assicuravano ai loro palati di riferimento rimborsi annuali a 6 cifre somigliano ormai a un’altra era geologica. Allora un ristorante poteva essere visitato anche 10 volte dallo stesso critico, sulla pista del minimo difetto, come usava Mimi Sheraton negli anni ’70 per il New York Times.


Ma la funzione della critica specializzata, ammonisce Mariani, è insostituibile. Non esiste garanzia, su siti come Tripadvisor, circa le competenze dell’autore e la stessa veridicità delle recensioni. Le ombre anzi sono sempre più fosche. “Non riesco a immaginare come lettori in cerca di solide raccomandazioni possano affidarsi alla vox populi per un pasto che costerà 150 dollari a testa”, ammonisce Mariani. “Il mantra incessante ‘Ha lo stesso sapore delle polpette di mia nonna’ non rappresenta esattamente una critica persuasiva, come espresso ad nauseam da Guy Fieri in Diners, Drive-Ins & Dives. Immaginate se i teatri di Broadway fossero aperti, suonasse la Cleveland Symphony Orchestra o lo Houston Ballet mettesse in scena un nuovo programma. Quante persone assisterebbero senza riuscire a capire la qualità della performance? Che li si ami o li si odi, i critici gastronomici sono una parte del sistema che fa funzionare la ristorazione e saranno fondamentali nei prossimi mesi”.


Certo le responsabilità non sono univoche: da una parte i critici istituzionali non hanno dimostrato di recente la necessaria autorevolezza, impelagandosi in un sottobosco commerciale tutt’altro che esaltante, mentre anziché offrire le giuste chance ai giovani più talentuosi, preferivano cavalcare il crumiraggio di pensionati, spregiudicati affaristi, pr en travesti, ingenui figli di papà e hobbysti scrocconi. Di fatto nel settore, insieme alla cornice economica che consentisse di svolgere deontologicamente e approfonditamente la professione, come avviene altrove (dove a nessuno è chiesto di lavorare in perdita), è mancata la meritocrazia che potesse giustificare un ruolo così invidiato. Fare a meno della critica specializzata, tuttavia, finirebbe per sancire l’inferiorità consustanziale della cucina rispetto alle altre discipline, nonostante la sua impareggiabile complessità. Un prezzo che finirebbe per pagare la ristorazione stessa, specialmente nelle sue frange progressive. Gli chef più avvertiti ne sono ben consapevoli. Ricordiamocene al momento delle imminenti riaperture.

Fonte: Forbes

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