La cosiddetta fish butchery intende sfruttare e valorizzare ogni grammo di pescato come si usa da sempre con la carne, in un’ottica di sostenibilità, compresa la possibilità di usare le specie marine per creare dolci in pasticceria.
La pasticceria di mare
Il tema non è nuovissimo: quale posto per il pesce nella pasticceria? Qualcuno ricorderà un piccolo capolavoro di Luigi Taglienti, il sanguinaccio di pesce azzurro. Ora a dire la sua arriva lo chef australiano Josh Niland, alfiere della cosiddetta fish butchery, che intende sfruttare e valorizzare ogni grammo di pescato come si usa da sempre con la carne, in un’ottica di sostenibilità, compresa la possibilità di frollatura per esaltare il gusto e la testura delle singole specie.
Josh, è stato già raccontato mille volte, si è innamorato della cucina quando da bambino malato di cancro, è stato accudito amorevolmente dalla mamma, prodiga di mille manicaretti. Da quel momento per lui cucinare è diventata una forma di amore, nei confronti del cliente, ma anche verso la materia e il mondo in cui viviamo. “E ancora non abbiam neppure scalfito la superficie del potenziale culinario del pesce”, assicura: la sfida è quella di modificarne la percezione comune, quindi il modo di alimentarsi della gente.

Ed è così che tutto ciò che si realizza normalmente con un animale di allevamento, può essere replicato sulle creature marine. Cucinare, assicura, non è aprire una scatola di caviale, ma provare, riprovare, riflettere incessantemente. La pista attuale porta direttamente in pasticceria, dove Niland sta portando avanti nuove ricerche, al fine di sostituire i grassi animali con grassi di pesce o usare gli occhi al posto delle uova. Il suo obbiettivo, del resto, è incrementare l’utilizzo del pesce dall’attuale 50%, equivalente grosso modo ai filetti spellati, fino al 90, attraverso il recupero di quanto viene scartato, testa, viscere, squame eccetera. Non ci sono più scuse per lo spreco.

Qualcosa che in un passato non troppo remoto, in certe parti del mondo, era comunemente praticato ed è poi stato accantonato con le sirene del benessere, ma sta tornando prepotentemente di attualità a causa delle urgenze di un mondo sovrappopolato e più affamato che mai di proteine. I vantaggi però sono anche per il ristoratore, grazie alla contrazione del food cost. “Comprare qualsiasi prodotto, che si tratti di verdura, carne o pesce, ha un prezzo, ma se rispettiamo tutti i tagli, rendendo attraenti e valorizzando quelli meno desiderati, trasformiamo uno scarto in un prodotto di qualità”. In questo modo, sfruttando anche la maturazione a secco, il valore di un pesce praticamente raddoppia.

Non si tratta di pesci qualunque, però. Occorre scegliere esemplari di cui conosciamo l’origine, il metodo di pesca, gli anelli della catena commerciale. Comprare all’occorrenza meno pesce, ma migliore. Ed ecco che, come per magia, al suo Saint Peter fra le friandises sono comparsi bignè di pâte-à-choux a base di grasso di pesce, ripieni di cioccolato e caramello al grasso di pesce.
Fonte: 7canibales.com