Ferran Adrià si esprime sui più importanti temi della gastronomia attuale nell’intervista realizzata dal nostro direttore Pietro Pio Pitzalis. Dalle nuove generazioni alla sostenibilità economica, dal “modello Tickets” fino all’eredità di elBulli per formare le generazioni future: ecco la visione del grande chef.
Copertina: Brambilla-Serrani
La tua cucina ha tracciato un solco fra “prima” e “dopo”, portando ad esiti rivoluzionari. Com’è nato tutto questo?
Non è un lavoro che si fa in un giorno, ma il frutto della ricerca di anni. Sul sito web di elBulli Foundation c'è una serie di documentari, fra cui “elBulli. La storia di un sogno”, in italiano: un semplice click per 15 ore di episodi! All'inizio agivamo ‘ingenuamente’, con meno consapevolezza. Man mano impari a fare strategia, e alla fine ti chiedi cosa sia la cucina. Cosa significa andare in un ristorante? Lì abbiamo iniziato a mettere in discussione tutto. Ad esempio, perché bisogna servire il pane nell’alta cucina? Non lo mangerò: se devo proporlo, diventerà un piatto: voglio creatività nel pane stesso. Questo ha portato ad un cambiamento di paradigma, perché oggigiorno molti ristoranti di alta fascia non danno il pane da mangiare a parte, lo integrano nel progetto creativo. Ne è nato un nuovo filone di ricerca con lievitisti specializzati. Questa è stata l'influenza di elBulli negli anni '50. Difficile da riassumere, perché è stata un’evoluzione progressiva, ininterrotta. E adesso continuo a sperimentare, sebbene non al ristorante. Oggi, ad esempio, ho presentato il progetto universitario che curo a Madrid sull'educazione e la formazione. Ciò che mi preme è il tema della sostenibilità in senso ampio, in particolare quella economica.

Un grande problema della ristorazione moderna, la sostenibilità economica.
Assolutamente, in tutto il mondo! I ristoranti gastronomici nascono alla fine del XX secolo, ma su cosa si basava il modello precedente? Anzitutto, lavorare 14 ore. Ora vogliamo svoltare, si parla di otto ore. In seconda battuta, la pressione fiscale: attualmente ce n’è molta, bisogna pagare gli stipendi, io pago i miei contributi e voglio che tutti li paghino. Terzo problema, l'inflazione. Il sistema è cambiato e bisogna adattarsi. Pensiamo pure alle località turistiche: il turismo ora è molto importante, cosicché ad esempio a Barcellona un’insegna come elBulli beneficia dell’80% di stranieri. Senza stranieri nell'alta cucina, è praticamente impossibile continuare a farla.

Dunque, come vedi lo scenario futuro?
Il mondo sta cambiando e bisogna analizzarlo. Non c'è una verità assoluta. Ogni attività è diversa. Se hai un ristorante aperto 50 anni fa con i conti già saldati, non è la stessa situazione di chi si ritrova con investimenti da 1 milione di euro e deve ancora pagare tutto. Per questo servono educazione ed informazione nelle università gastronomiche. Non esistevano 20 anni fa, certo, ma ora ogni paese che ambisca ad avere un alto potenziale culinario necessita di almeno quattro o cinque grandi università per sviluppare il giusto il know-how. E poi, per la formazione professionale, perché la formazione è imprescindibile. Servono cuochi, camerieri esperti, e bisogna formare i ragazzi e le ragazze nel modo migliore. Siamo in piena evoluzione da questo punto di vista, ed io sono positivo al riguardo: l'alta cucina sta cambiando modello. Se analizzi i 150 ristoranti insigniti di tre stelle Michelin in tutto il mondo, capirai che la maggior parte del loro business non è rappresentato dal gourmet, ma da una varietà di format.

Tutti dicono che il fine dining è morto…
Una grandissima sciocchezza. Quando ho iniziato negli anni '80 in Spagna non c’era nessun tre stelle, oggi ne abbiamo 16. Stiamo scherzando?
Come pensi evolverà?
L’aspetto interessante è il divertimento, secondo me. Un ristorante deve essere divertente, elBulli era molto divertente. Il servizio “come a casa”, questo è il futuro dell'alta cucina: un’atmosfera informale con piatti di livello. La gente vorrà sempre vivere esperienze così. Ad esempio, adoro il Louis XV: magari dedichi un giorno all'anno per andare in un posto del genere, ma nel quotidiano, mettiamo due volte al mese, frequenti altri gourmet e non vuoi che il contesto sia troppo formale. Ecco, credo che questo sarà il cambiamento più importante cui assisteremo in futuro. Luoghi dove possiamo portare i bambini, che a loro volta porteranno lì i loro figli. Però che il fine dining sia in crisi è una sciocchezza; a Barcellona abbiamo 17 milioni di turisti, quindi basta che ne venga uno 0,1% altospendente e a cui piaccia mangiare per riempire i tavoli. Stessa cosa quando dicono che il menu degustazione è morto. Non è morto! È il menu degustazione fatto male ad essere un problema.

Insomma, se fai le cose fatte bene e proponi una cucina di qualità, alla fine hai vinto...
Sì, ed in Spagna sta prendendo piede una piccola rivoluzione giovanile: i ragazzi vogliono fare cucina tradizionale. Il motivo? Negli ultimi 20 anni un giovane chef ambiva a diventare Ferran Adrià o Massimo Bottura, come un calciatore agli esordi vorrebbe essere Messi. Ora, però, ragazzi e le ragazze iniziano a capire che la creazione ad alti livelli è un mestiere duro: abbiamo alzato tantissimo l’asticella, difficile arrivarci. Questo stesso processo lo stanno affrontando più lentamente Lima o Seoul.
In effetti, il livello non è mai stato così alto come ora.
Esatto: ci troviamo di fronte ad una generazione di cuochi e cuoche che vogliono proporre una cucina “tradizionale-elevata”. Perché? Perché oggi i giovani sono super professionali. La cucina tradizionale viene dalla mamma e dalla nonna, che non sono mai state delle professioniste, semmai ne esistono alcune più esperte di altre. Quindi, se si parte dal piatto tradizionale e lo si affina con metodi da chef, lo si migliora. Ecco, quando un paese ha un’ottima cucina “tradizionale-elevata” e al contempo dà spazio a quella creativa, è semplicemente al top.

Passando al target, i ristoranti fine dining hanno solitamente un pubblico con un'età più alta. Secondo te come si può arrivare ai giovani, che tipo di linguaggio si può usare?
Bisogna essere pragmatici, non populisti. In Spagna, solo l'1% di chi lavora guadagna più di 60.000 euro, solo lo 0,1% ne guadagna più di 150.000. Sappiamo che un ristorante di qualità richiede molte spese. È un progetto molto costoso, perché si tratta di artigianato. Certo, se pensi ai Rolling Stones, hanno uno stadio pieno di spettatori. Un gourmet ha 50 coperti, ed è già tanto. Bene, la cosa più importante che può trasmettere l'alta cucina è un’attitudine precisa. C’è il tre stelle e al contempo c’è chi ha uno scontrino medio di 140 euro, più accessibile. Tickets, ad esempio, fu un fenomeno; un fenomeno incredibile, perché era il primo format d’alta cucina divertente.
Bisogna però “saper fare” divertimento, e in Spagna siete molto bravi a far divertire il pubblico. Molti ragazzi iniziano e poi si perdono.
La gente a volte confonde il divertimento con la banalità. La sfera intellettuale può invece accogliere il divertimento. Penso a El Bulli come penso al Mugaritz, oggi.

Sono d’accordo.
Poi a molta gente non piace quello che piace a me, per carità. Parlo di un piacere intellettuale, perché mi diverto intellettualmente. Però bisogna sempre divertirsi, che sia una pizzeria, che sia una trattoria, che sia un ristorante d’alta cucina. Vorrei poi precisare che l'alta cucina è nata in Europa, nello specifico in Francia, ma usiamo molto il termine fine dining, che alla fine è un vocabolo americano. Mi piace l’America, però bisogna parlare di alta cucina, e l’haute cuisine è nata molti anni fa. D’altro canto, quando mi dicono che non c’è mercato, rispondo che bisogna ragionare in termini globali: nel mondo magari esistono 20 o 30 milioni di persone che possono andare una volta al mese in un tre stelle Michelin.
Forse negli Stati Uniti questo fenomeno dell’alta cucina è più sostenibile economicamente?
No, al contrario. Negli ultimi 10 anni quasi non si è aperto nessun locale d’alta cucina negli USA! Lì è più sostenibile il casual dining, ma quella è un'altra storia, dobbiamo fare un'altra intervista. Il casual va bene, però non cerca la massima qualità del prodotto. Ad esempio, all’estero Massimo Bottura ricerca la mozzarella migliore per servirla ai suoi ospiti. Bisogna fare dei distinguo: il casual dining costa meno e va analizzato caso per caso, però non offre la stessa qualità.
E ti piace il lavoro che sta facendo l’Italia?
Vengo spesso in Italia da 33 anni e a mio avviso questo è il momento migliore della gastronomia italiana in assoluto. A volte dico: 'Attenzione, che l'Italia è già al livello della Spagna' -se poi parliamo della varietà di target, è molto meglio. I giovani sono tanti e con aspirazioni creative.

A livello statale la Spagna sta attraversando un buon momento.
Vediamo tra cinque anni. Una cosa sono le mode, un'altra cosa le tendenze. La kombucha, ad esempio, quante volte la ordiniamo nei locali? Fa bene chi la vuole bere. Sapete quanta kombucha si è venduta due anni fa in Europa, in tutta Europa? 20 milioni di euro di prodotto. Bisogna avere tempo e pazienza. Il tema della fermentazione è molto interessante, perché ti fa riflettere su una tecnica oggi perfezionata, ma esistente sin dai primordi. Cambiando discorso, a El Bulli quando facevamo le spume venivo definito “il demonio delle spume”. Anno '94, tutto il mondo diceva: 'Questa moda è una merda. Durerà tre anni'. Guarda poi cosa è successo…si è aperto un mondo di possibilità. Ad esempio, ora vanno forte la cucina nordica, quella peruviana, eccetera, perché si è allargata la grande famiglia della gastronomia globale. Prima c'era solo la Francia, dopo l'Italia. A seguire la Germania, poi più tardi la Spagna e così via, a livello mondiale.
Ultima domanda: parlando di mode, il minimalismo è durato tre anni, oggi cosa va?
Nel corso della storia non c'è mai tempo di approfondire, quindi la ricerca la fanno le aziende o le università, e abbiamo bisogno di divulgazione. Però sono molto ottimista: arriveranno maggiori borse di studio e fondi, affinché un giornalista possa fare tre anni studiando Escoffier o me, produrre una tesi su Michel Bras, su Robuchon, su Marchesi. Non possiamo andare avanti se non comprendiamo il passato.
