Nel suggestivo contesto di Borgo Egnazia, ai Due Camini, Domingo Schingaro racconta la sua Puglia contemporanea senza compromessi, con l’ottima spalla vinosa di Giuseppe Cupertino.
Il Ristorante
“Location location location”. È stato un mantra per decenni, nell’accoglienza e nel real estate. A Borgo Egnazia, tuttavia, è successo qualcosa di diverso: che una famiglia la location se la sia creata da zero, sapendo che poi i luoghi si sarebbero prestati allo storytelling. Arrivando in macchina od oltrepassando i cancelli in bicicletta, la Puglia che si scopre è rurale e popolare, con il lungomare tappezzato di cartelloni fra cui si profilano le sedie pieghevoli con l’ombrellone fai da te, davanti al solito cristallo. E poi gli ulivi secolari: fiamme che somigliano ad anime dantesche nel loro avvitamento misterioso, simile a una fuga impossibile dai pericoli della cronaca.Sorprendentemente, l’enorme villaggio bianco concepito dallo scenografo Pino Brescia non ha niente di kitsch: l’intenzione è stata fin dall’inizio quella di non simulare, ma rielaborare in chiave contemporanea lo stile architettonico della zona usando materiali originali. Per un successo internazionale perentorio. La cucina, tuttavia, sorprende per la sua autenticità: nessun imbonimento da relais et châteaux, niente lusso di troppo. Nonostante la tavola pugliese sia forse la più caratteriale e idiosincratica d’Italia, grazie a ingredienti unici, ittici e vegetali, alla predilezione per il gusto amaro, a tratti addirittura metallico, e per il crudismo anche estremo.
Quando Domingo Schingaro è arrivato 5 anni fa, nel 2016, era digiuno di grande hôtellerie: lasciava i Due Buoi di Alessandria, al fianco di Andrea Ribaldone, piccolo gourmet al servizio di un albergo familiare. “E sono tornato per raccontare le mie origini, da barese purosangue. Mamma massaia, papà pescatore, in casa mia ospitare è sempre stato una gioia. Ed è stato così che mi sono interessato alla cucina, fino a iscrivermi all’alberghiero, e dopo qualche esperienza in zona sono partito per Londra, dove ho annusato l’alta cucina. Dovevo andare in Giappone, invece mi è stato chiesto di dare una mano ai Due Buoi e sono rimasto fino al 2016, in tempo per la conquista della stella”.
“Qui a Borgo Egnazia la famiglia Melpignano mi ha subito chiesto di dare un’identità forte alla cucina, a costo di incassare qualche complaint perché mancano le fettuccine Alfredo o il caviale”, racconta. È così è stato. Oggi è chef di tutte le strutture: la trattoria La Frasca, il ristorante di pesce Cala Masciola, la pizzeria, il bistrot La Calce e lo stellato I Due Camini, per un totale di 14mila pasti erogati ogni mese. Strutture che si stanno via via incamminando sulla strada del well-being, più che mai consona alla regione che ha ispirato la dieta mediterranea di Ancel Keys, per venire incontro al pubblico degli sportivi professionisti e dilettanti.
La Calce in questo senso funge da start-up: qui il sale è stato sostituito da insaporitori naturali come colatura e garum vari, i carboidrati sono stati eliminati tranne la pasta integrale e di legumi, la carne rossa è stata accantonata in favore di quella bianca, pesce e verdura. Altrove si tratta ancora di dettagli, come la frittura che la sera scompare dalla carta della Frasca e di Cala Masciola o l’antipasto pugliese ripensato in chiave totalmente vegetale con cicoria stufata, purè di fave e zucchine alla poverella, fra le altre cose.
L’extravergine e gran parte degli ortaggi, del resto, sono quelli della casa. “In Piemonte ho trafficato perlopiù con carni e frattaglie. Qui ho capito cosa significhi coltivare un ortaggio e negli ultimi anni abbiamo stilato calendari organizzati, oltre a ricercare semi e varietà antiche da testare”. Poi c’è Vincenzo Del Monaco, il ceramista del Borgo. “Incontrarlo mi ha aperto un mondo: il mio pensiero va sulla carta e lui lo realizza. Ci sono le province pugliesi intagliate nel legno come un puzzle, il pumo per la frutta secca, i piatti ispirati al lavoro del cunzapiatt, con la cicatrice di fil di ferro che è quasi un kintsugi dialettale”.
Il lockdown in tutto questo ha funto da acceleratore. “Ho sentito che il cliente aveva ancora più bisogno di risposte certe e questo mi ha portato a togliere il superfluo dai piatti, come avevo già in animo. In compenso ci sono menu dove ogni portata è composta di micropiatti, perché dell’ingrediente voglio offrire più sfaccettature, concentrandomi sul gusto e sulla materia. Poi ci sono le conserve: dal mese di marzo con il mio secondo e il pastry chef ci siamo ritrovati per fare le nostre prove".
"Abbiamo messo in marcia i salumi di pesce, prossimamente la sua maturazione e tante conserve: la kombucha con gambero, albicocca e macchia della Murgia come la sporchia, un parassita della fava simile a un asparago, disponibile solo a maggio e giugno, in salamoia. Senza poter prevedere il risultato. Sono lavorazioni destinate probabilmente a restare, perché le conserve sono amiche della sostenibilità”.
Anche la centralità della squadra, infatti, è una lezione del lockdown, che ha lasciato orfani gli chef egotisti: al fianco di Domingo brillano il secondo Angelo Convertini, un passato da Niederkofler, Robuchon, Camanini e Baiocco, come il pastry chef Tiziano Mita, allievo di Pierre Gagnaire, Genovese e Baiocco, e il giovane maître Nicola Loiodice. “Tanto che il prossimo obiettivo è creare un lab, col favore della stagionalità della struttura. Abbiamo già individuato la sede nella nuova cantina. Quest’anno è stato obbligato dalla chiusura e ne abbiamo capito tutte le potenzialità”.
I Piatti
“Il nostro signature? Forse il sedano rapa del menu Radici, lasciato marinare per 4-5 giorni nell’idromele, cotto alla brace, affettato come una bistecca e intagliato con una rondella tipo ossobuco. Accoglie centrifugato di prezzemolo, crème brûlée al limone e maionese di lupini. Il risultato per consistenze, grassezza, acidità, amaro è completo e soddisfacente come una proteina animale. Compendia il lavoro che stiamo svolgendo da un paio d’anni”.Ma di fatto il vegetale (legumi compresi) è protagonista in tutti i menu degustazione, rigorosamente stagionali: Mediterraneo, Apulia e Radici, rispettivamente a 200, 160 e 140 euro. La carta dei vini conta oltre mille referenze, per il 60% pugliesi, con iniezioni di Francia e resto del mondo. Grande attenzione è dedicata ai piccoli vignaioli, ai vitigni autoctoni e alle annate più caratterizzanti, nel rispetto della naturalità. A disegnarla provvede Giuseppe Cupertino, Wine Experience Manager, per cui è fondamentale conoscere di persona la storia dietro ciascun vino, produttore e realtà vinicola per poterla raccontare emozionalmente agli ospiti.
Quest’anno per Schingaro il menu Mediterraneo è stato quasi un’esigenza. “Si trattava di abbracciare fisicamente tutto il bacino in un momento difficile, eliminando qualche barriera. Perché a volte non ci rendiamo conto della prossimità che ci lega”. Si inizia con Egnathia, dedicato all’importante porto dell’antichità, da cui si dipartivano gli scambi per Pompei che poi univano i popoli. Per appetizer la tartelletta di ceci con cacioricotta e ciliegia, la bruschettina di pane alle erbe marine con fave e finocchietto di mare, il moscardino con pino marittimo, l’oliva bella di Cerignola con spuma di ostriche.
Poi lo sprint vegetale degli Ortaggi verdi: il mugnolo dolce sull’amaro del torchon di fegato di rana pescatrice, il fagiolino pinto con marmellata di pomodoro, ricotta forte e basilico greco, il lattughino laccato al vincotto con mandorla amara e limone.
Mediterraneo significa anche legumi, ingredienti poveri troppo spesso dimenticati sulle grandi tavole. “Durante il lockdown abbiamo preparato un miso di lenticchie da cui abbiamo ricavato un brodo che abbiniamo allo sponzale grigliato e alle lenticchie soffiate. Nello stesso brodo si tuffano i plin di farina di lenticchie gialle ripieni di ragù di ali di razza, un ricordo del Piemonte. Per finire con il divertissement della buccia di fagiolo farcita di cozze e peperoncino greco”.
Su queste prime portate si beve Un mese e mezzo nella sua prima annata prodotta, la 2016, un concentrato di genuinità e autenticità con un tocco di follia da parte dei coniugi Morella in agro di Manduria, terra da sempre vocata per i blasoni rossi. Il vino è macerato per 45 giorni da varietà di uve a bacca bianca non propriamente definite per scelta. Il risultato è un’esplosione di mineralità sviluppata nel tempo e satinata morbidezza.
A seguire un prodotto ricco: il gambero rosso. “Volevo un piatto fresco e semplice che lo esprimesse al meglio. Quindi niente di cotto, piuttosto un centrifugato delle teste a crudo, per una botta di iodio, la dolcezza dei piselli e l’acidità del cedro con un tagliolino di grano saraceno, leggermente amaro e tostato, in equilibrio su dolcezza e grassezza. Più la testa fritta per il crunch e lo scarto zero, con bernese al dragoncello e gel al nostro vermouth, e la finta ‘nduja di gambero frullato con il peperone crusco su un toast di pelle di pollo”.
“Anche Pesce azzurro è nato in lockdown, quando il pesce delle barche restava invenduto. Così abbiamo iniziato a sperimentare i nostri salumi di pesce, in particolare con il tombarello, stagionato fino a 3 mesi con aromi della Murgia come l’acino pugliese. Poi il merluzzo con salsa di yogurt greco, cetriolo e patata croccante, lo sgombro marinato e bruciato sulla pelle con germogli di senape e le cialde di mandorle con spina dell’alice. Anche visivamente, scarto zero”.
Torna il Vegetale con il sedano rapa maturato per 5 giorni all’idromele e cotto sotto la brace del Green Egg con legno di ulivo, servito con cicoria e riduzione di amaro della Murgia Padre Peppe. Lo accompagnano la melanzana sott’olio con patata all’aglio nero, mostarda di mele cotogne e peperone di Senise e la sporchia con salse di grasso di pollo, zucchero muscovado e “mimosa” di pane allo zafferano. Amaro-grasso-dolce.
La carne più rappresentativa del Mediterraneo è sicuramente l’agnello e la Murgia non fa eccezione, anzi fa eccellenza grazie a Michele Varvara. La lombatina sul piatto riprende la tradizionale ricetta al coccio, ma con cottura espressa, patate arrosto e chips di sedano; per satelliti lo gnumariedd di animelle all’aceto di riso e fondo di agnello con crema di cicoria e la tartare con maionese ai ricci, cipolla bruciata e pino marittimo.
Qui si mesce l’iconico Le Braci, negroamaro del Salento nell’annata storica 2011 che per struttura, morbidezza, tannicità e mineralità rappresenta un modello di eleganza e forza espressiva dei vini “made in Sud”, che riempiono di orgoglio e piacevolezza al primo assaggio. L’abbinamento gioca sulla concordanza e sul sostegno tannico-alcolico al gusto, punto fondamentale su cui legare la spinta amaricante delle verdure e la succulenza dell’agnello.
Il predessert Gratta… Gratt si ispira ai racconti della Valle d’Itria, dove in inverno si usciva dal trullo per raccogliere la neve e aromatizzarla al vincotto. Diventa una polvere gelata al Pacojet di latte di capra con frutta di stagione.
Altro trait-d’union fra le sponde del mare nostrum è la frutta secca, protagonista del dessert presentato in un pumo, dove ogni varietà ha la sua declinazione: il pistacchio è una spugna ripiena di crema acidula di lampone, la noce un mignon con caramello al mallo e cremoso al nocino, la nocciola un financier con caramello alla soia di lenticchie rosse, la mandorla una crema di lavanda con amaretto e schiuma di latte di mandorle.
A Ramagh D’Alì, infine, erano i rami recuperati dalla potatura. Con la complicità del ceramista diventano foglie di ulivo a supporto della piccola pasticceria, in una sublimazione dello scarto zero.
Foto: Crediti Davide Dutto
Indirizzo
Ristorante Due Camini di Borgo EgnaziaSavelletri di Fasano – 72015 Fasano Brindisi Puglia
Tel. +39 +39 080 2255351
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