Era il 1985 quando Giovanni Guarneri, assieme al padre, apriva per la prima volta le porte del Don Camillo a Ortigia. Oggi questo “santuario” della cucina di pesce è diventato un porto sicuro per abitanti e visitatori, grazie all’intraprendenza di due generazioni unite nella ricerca dell’eccellenza ittica a 360 °C.
La Storia
A volte si tende a riassumere la vita in una frase. A volte, spesso, si sbaglia. Ridurre all’ “è genetica” la carriera di Giovanni Guarneri è il più grande errore che potrei fare nel raccontarvi il suo ristorante.Perché non possono essere i geni, l’ereditarietà, le sequenze comuni nel Dna, a giustificare la bravura di questo cuoco, figlio di un Don -Camillo- anche lui maestro dei fornelli. Deve essere qualcos’altro. Oltre la scienza. Tutto nasce nel 1985 quando Giovanni, assieme al padre, apre per la prima volta le porte del Don Camillo in Via della Maestranza; una strada che, percorsa, fa presagire lo splendore che riempie gli occhi una volta varcata la soglia della struttura. Siamo a Ortigia, l’epicentro più storico, burbero e barocco della Sicilia.
Le sale, ristrutturate e modificate nell’assetto nel corso degli anni, si tramutano in un santuario: alto, profondo, spesso, con volte catalane, mura di pietra, scaffali in legno scuro stracolmi di vini pregiati e, pochi, tavoli coperti da tovaglie bianche diligentemente stirate prima di ogni servizio.
Sulle pareti, dipinti, insegne, che ricordano gli inizi. Quando ancora Giovanni, in silenzio, a testa bassa, seguiva i movimenti del padre. Come sfilettare un pesce, come preparare un brodo. Osservava, assimilava, ripeteva. Consapevole che ereditare i geni del grande papà Camillo, non sarebbe stato sufficiente a renderlo bravo quanto, o più, di lui.
Passano gli anni finché non arriva il momento di indossare la divisa da chef, di decidere e controllare i piatti al pass. È pronto, può farcela. Imposta la cucina attorno ai piatti storici del padre e poi inizia ad aggiungere il suo. Diventa il migliore amico dei pescatori della zona, il primo a cui arrivano i ricci di mare, gli scampi, i tonni. Ora la sua competenza in ambito ittico è immensa.
Inizia un’opera straordinaria di ricerca e lavorazione delle materie prime. Prende lo zafferano dagli Iblei, la patata ed il limone da Siracusa. Persino il burro è siciliano. Mangiare la sua cucina è come vivere una storia d’amore, un tributo sfacciatamente poetico alla regione più grande d’Italia.
Ma Guarneri è curioso e coraggioso, si affaccia al nuovo e aggiunge ai piatti elementi lontani, come le ostriche francesi, e tecniche d’avanguardia, dalle affumicature alle schiume, integrandole come fossero parmigiano sulla tagliatella al ragù della domenica. Il tutto con una semplicità che ti puoi permettere solo se sei davvero capace.
Segno e testimonianza che Don Camillo sta lì per restare. Osando sempre di più, creando nuove tradizioni, raggiungendo traguardi e aspettando l’arrivo in cucina di Camilla, la terza generazione dei Guarneri, ora pasticciera da Heinz Beck al Castello di Fighine. Con lei le scarpette avranno tutto un altro sapore. “Prepara un pane eccezionale”, mi rivela Giovanni, con la voce fiera verso una figlia che come lui ha superato la genetica.
Il Ristorante
Giovanni a braccia aperte accoglie i viandanti della notte e li fa accomodare a tavola. Due le sale adibite al pranzo più una terza di passaggio dove si trova la cantina. All’ingresso un ampio bancone bar. Ma è inutile soffermarsi su questi dettagli perché a breve arriveranno nuovi lavori che cambieranno le carte in tavola, ampliando la cucina e rimodulando i servizi.Cosa si mangia al Don Camillo è domanda buona e giusta. La copertina del menu si riempie del volto di Camillo visto da Salvatore Fiume, di profilo, in uno schizzo tanto contemporaneo quanto antico.
Poi si inizia a sfogliare e, pagina dopo pagina, vengono raccontati i quattro possibili percorsi degustazione: Miteco, dedicato al cuoco accademico siracusano del III secolo a.C. ed esclusivamente di pesce; Archestrato, omaggio al poeta gastronomico siceliota del IV secolo a.C. focalizzato su proposte del territorio; Artemide che, come si evince dal nome, ruota attorno a creazioni di carne e La Nostra Storia, manifesto dei piatti più iconici del ristorante.
E fra questi non posso non menzionarne uno, datato 1986. A un anno dall’apertura nasce il piatto più famoso di Don Camillo: gli spaghetti delle Sirene con gamberi e ricci di mare. Un primo che non si scorda facilmente. Chiaro e aggressivo al contempo, uno schiaffo che conserva tutto il sapore dello iodio e che Giovanni, in quarant’anni, ha sempre mantenuto vivo, attualizzandolo.
Detentore delle chiavi del buon bere è Enzo Amoruso, sommelier campano che definire preparato è dire poco. Serio all’apparenza, lascia trapelare calore ed esperienza. Affidarsi a lui è l’unica soluzione per il paradiso.
Accanto c’è un team di sala formale solo nella divisa, che con un sorriso a tremila denti e un accento non proprio nordico racconta al meglio i piatti ordinati, facendoti immergere in un’esperienza di pancia, cervello e, soprattutto, emozione.
I Piatti
Una storia, un luogo, un ricordo d’infanzia, un incontro. Ogni piatto al Don Camillo è unico e inimitabile, sin dall’inizio, con due benvenuti, serviti uno dietro l’altro.Bloody Mary, ma in veste di sorbetto con gelatina di vodka, e Gelo di “mellone”. Quest’ultimo è preparato senza zucchero, coppato nello stampo di un pesciolino e servito accanto ad un filetto di acciuga di Sciacca.
Coperto da una cloche arriva a tavola. Si alza il vetro ed esce fumo. Una nuvola dai sentori di ginepro che affumica i gamberi rossi appena marinati nel gin e sale di Maldon. Un distillato di mare, amplificato dalla avvolgenza della maionese di ostriche e dalla croccantezza dell’alga.
Miseria e nobiltà, la povertà ed il lusso insieme arrivano con il prossimo piatto: una fondina nera che nasconde una crema di patate di Siracusa ed un’ostrica cotta - cruda. Protagonista indiscussa è la patata, compendio perfetto del sole e del mare che caratterizzano questa terra.
Un altro classico è il rotolino nero di scampi in salsa di ricci. Nato nel 2004, è antesignano del sushi dove all’alga nori si sostituisce una crêpe al nero di seppia. All’interno c’è lo scampo al vapore, dolce e polposo, all’esterno il riccio, di rara freschezza.
Solo un primo è incluso nella degustazione Miteco, a sottolineare il ruolo primario del pesce a scapito di qualsiasi possibile companatico. Il prescelto a figurare, tra tranci di cernia e gamberi rossi, è lo gnocco di patate, sempre le famose di Siracusa, con vongole veraci, tartare di gamberi rossi e schiuma di pomodoro datterino. Un piatto nuovo che gioca bene sul caldo della vongola ed il freddo del gambero crudo regalando un ping pong di gusti dolci e salati.
La tradizione confortevole e paciosa della seppia viene scossa dalla nuova lavorazione che Giovanni le apporta nella Seppia al cubo, il primo dei secondi del percorso degustazione.
Tre sfaccettature della seppia in un equilibro tra liquido e solido a dir poco commovente: c’è il sugo di tentacoli e pomodoro montato come fosse una maionese da una parte e, dall’altra, il cubo bianco di seppia frullata e cotta a bassa temperatura. Il terzo elemento è il nero, di seppia, tenuto gelosamente all’interno del cubo e svelato al momento del taglio.
Il filetto di cernia ai profumi di scoglio siracusano con anemone e frutti di mare è quintessenza di sicilianità con picchi di intensità marina, vegetale e aromatica.
E poi c’è lei, l’epica, mitologica, ultra - iconica, tagliata di tonno con marmellata di peperoni e riduzione di aceto di Nero d’Avola. Perché il cambiamento, di fronte a lei, non ha motivo di esistere. Nato nel 1999, il piatto è omaggio ad un classico della cucina siciliana, “a tunnina che pipi” ed è l’emblema di quella “evoluzione della cucina del territorio” di cui Guarneri si fa ambasciatore.
Gelato alla mandorla, olio e sale a pulire la bocca e si passa ai dessert, buoni e golosi al punto tale da finirli senza pentimento.
Foto: Crediti Don Camillo
Indirizzo
Don CamilloVia della Maestranza, 96, 96100 Ortigia, Siracusa
Tel: 093167133
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