Tradizione e ricercatezza Ricette degli chef

Come si fa il vero pesto alla genovese secondo una delle migliori trattorie d’Italia: la mitica ricetta della Brinca di Ne

di:
Alessandra Meldolesi
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Pesto al mortaio della brinca copertina

Il pesto genovese con la “P” maiuscola, preparato con tutte le accortezze del caso. Ecco la ricetta della Brinca di Ne per fare un figurone e rendere omaggio alla vera tradizione ligure.

Il pesto

Alla testa di una delle trattorie più importanti d’Italia, la Brinca di Ne, Sergio Circella ha la parlata distesa di un Omero delle tradizioni liguri, capace di raccontare con parole asciutte, come si usa da queste parti, intere moltitudini. “Il pesto è un tema sconfinato”, si schermisce. “Le interpretazioni sono tante, anche per via della recente impennata che ne ha fatto una delle salse più consumate al mondo, puntando i riflettori sul nostro territorio. Nel bene e nel male.


Noi siamo molto intransigenti: lo facciamo al mortaio, rigorosamente in marmo bianco di Carrara, e la differenza è abissale. Con molta fatica ne abbiamo scovato uno grande a sufficienza da un antiquario, la tazza misurerà 40 cm di altezza per 30 di diametro, con un pestello altrettanto importante. Ero stato anche a Colonnata, ma ormai ne fanno solo di casalinghi. Così abbiamo potuto mandare in pensione il vecchio mortaio di famiglia, che risalirà al Settecento, visto che mia nonna raccontava che era appartenuto alla sua trisnonna. Ora è in mostra in sala, col suo bel colore avorio.

Trattoria La Brinca Interni
Un tempo il mortaio veniva usato per qualsiasi cosa, cominciando dal pesto di maggiorana che andava un po’ in tutti i ripieni, compresi i nostri, anche se va dosato bene perché è un po’ invasivo. Battendo la fogliolina fresca velocemente, consente di estrarre gli oli essenziali senza che il calore mortifichi i profumi; quindi, l’azione non può essere né lenta né lunga.


Per questo è fondamentale usare un Basilico Genovese DOP, dalla fogliolina minuta, preso direttamente dalla piantina e non cimato. Mentre quasi tutti usano le foglie prelevate dalle piante, che diventano nel tempo sempre più grosse, carnose, con le nervature coriacee, cosicché nel mortaio occorre un tempo doppio se non triplo, nel frattempo il colore si scurisce, il pesto si ossida, i profumi si deteriorano e diventano grossolani, come se si usasse un frullatore.


Il senso della sequenzialità è questo: partiamo dal sale grosso e dall’aglio ligure di Vessalico, che è elegante, rotondo, non molto piccante. Ed è la cellula staminale del pesto: il pestun che fin dal Medioevo veniva preparato sulle galee genovesi per combattere lo scorbuto. L’aggiunta degli altri ingredienti è solo ottocentesca. Il basilico, che messo subito si guasterebbe, come i formaggi, che fanno la differenza anche in termini di massa. Noi usiamo un Parmigiano Reggiano 30 mesi dell’Appennino Reggiano e un Fiore Sardo artigianale affumicato con corbezzolo e mirto. Le proporzioni di solito sono rispettivamente di quattro parti per una, ma è impossibile fornire dosi precise, perché gli ingredienti cambiano secondo la stagione. L’aglio, per esempio, da giovane verso giugno ha note fruttate, ma via via che si secca diventa piccante. Quindi bisogna assaggiare di continuo. Poi ci sono i pinoli, la nota dolente, visto che quelli di Pisa non si trovano più e ormai è giocoforza rifornirsi all’estero, non troppo lontano per schivare gusti poco precisi. Solo alla fine si unisce l’olio, che schizzerebbe dappertutto, per fluidificare.


Quindi il pesto è un crocevia di traffici e di luoghi: oltre il Taro fin dalla duchessa Maria Luisa è stato tutto un viavai di formaggi, la Sardegna era un’antica colonia genovese, il sale è sempre stato commerciato a Genova, i pinoli, appunto, venivano da Pisa, mentre basilico, aglio e olio erano locali. Anche sugli usi siamo intransigenti, perché il basilico non è facile abbinarlo. Da piccolo ricordo queste pile di panigacci con il condimento da far colare sopra, altro che pasticceria. Ma anche con una salsa di pomodoro fresco non è male. La cosa fondamentale è non farlo scaldare e allungarlo solo con l’olio, mai con l’acqua di cottura che lo cuocerebbe. Così preparato, freddo e non pastorizzato, il pesto si conserva poco, al massimo 10 giorni. Ma può essere messo sottovuoto oppure abbattuto, con l’aggiunta dell’olio al momento dell’uso”.

Cantina La Brinca
All’abbinamento provvede il figlio Matteo, fresco di premio Michelin quale migliore sommelier d’Italia. “Noi lavoriamo di concordanza: su una salsa saporita, espressiva, densa, carica, cerchiamo un vino della stessa categoria. Quindi un bianco che sia altrettanto espressivo e potente, più che acido, con un po’ di sale e di macerazione. Andando di Liguria, a Ponente e a Levante direi un Pigato Crescendo Selvadolce, mineralissimo, e un Cinque Terre Raixe di Giorgia Grande. Ma mi sono divertito anche con qualche Grillo in zona Marsala o uno Sherry secco”.

La ricetta

Ingredienti 


Basilico Genovese DOP

Parmigiano Reggiano DOP

Pecorino Fiore Sardo dei pastori

Pinoli

Aglio

Olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure di Levante

Sale grosso

Procedimento


Pestare nel mortaio l’aglio con il sale, fino a ottenere una pasta. A questo punto aggiungere le foglie di basilico, poi i pinoli e i formaggi grattugiati, continuando a pestare con movimenti regolari.

Il pestun così ottenuto, molto concentrato e solido, va diluito con l’olio fino alla densità desiderata, idonea per condire la pasta prescelta.

Sergio e Simone Circella



Foto: Crediti La Brinca

Indirizzo

Trattoria La Brinca

Via Campo di Ne, 58, 16040 Campo di Ne, GE

Tel. +39 0185 337480

Mail: labrinca@labrinca.it

Sito web

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