Chef

Mauro Colagreco: “Gli esordi? Ero uno straniero in Francia senza soldi"

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina mauro colagreco

Appena insignito della Legion d’Onore, Mauro Colagreco racconta i difficili esordi a Parigi, mentre l’Argentina era travolta dalla crisi economica, il trionfo e poi la pandemia, che lo ha “salvato dal successo”: “Che pericolo lavorare per i premi!”

La storia

Pochi titoli mancavano nel palmarès di Mauro Colagreco, che oltre a detenere le tre stelle ed essere ambasciatore UNESCO, fa anche parte dei Best of the Best, dopo il titolo conseguito in un magico 2019. Ora arriva anche il cavalierato dell’Ordine della Legion d’Onore, che ne fa il cuoco più premiato di Francia.

@David Fernandez



Gli esordi, tuttavia, non sono stati facili per questo ragazzone platense, nipote di una bilbaina ed ex giocatore di rugby, che ancora parla con accento spagnolo. “I francesi sono molto sciovinisti e orgogliosi della loro gastronomia, ma il fatto di trovarmi a Menton, quasi in Italia, mi ha permesso di isolarmi dalle gelosie degli uni e degli altri. Se fossi stato a Parigi, sarebbe risultato più difficile, probabilmente mi avrebbero fatto sentire davvero un intruso. Invece non hanno avuto altra scelta che accettarmi”.


Sono arrivato in Francia nel 2000 per imparare, con l’idea di rientrare in Argentina al termine di qualche anno, ma con la crisi economica del mio paese l’intenzione è svaporata. Sono transitato per alcuni dei migliori ristoranti e sono vissuto per tre anni a Parigi, città bella ma molto opprimente, finché non ho iniziato a cercare un altro luogo dove mettere radici. Straniero, sconosciuto, senza denaro, tutto ciò che andavo a vedere era fuori dalla mia portata. Finché qualcuno non mi ha parlato di un ristorante bellissimo a Menton, chiuso da quattro o cinque anni. Sono andato a vederlo pieno di referenze, ma al proprietario non interessavano. Si è reso conto del mio entusiasmo, ben superiore alle capacità economiche, e mi ha fatto entrare con un affitto molto basso e una promessa di vendita”.

@David Fernandez



Sono arrivato con le ricette preparate a Parigi, ma mi sono reso conto che non conoscevo né gli ingredienti né i produttori, né le stagioni. Mi sentivo come un bambino, che scopre cose nuove ogni giorno. L’esuberanza della natura, il microclima subtropicale, la montagna e il mare a un tiro di schioppo, il bosco, le influenze francesi e italiane… Credo che il fatto di non essere di qua mi abbia permesso di esprimermi con una libertà totale in cucina. In un luogo dotato di una forte identità gastronomica, sono venuto ad appropriarmi degli ingredienti, senza subire la loro inerzia”.


La pandemia poi mi ha fatto scendere dal piedistallo. Quando sei travolto dalla vertigine di lavoro, eventi, media, non puoi fermarti a riflettere un secondo. In quell’anno, quando avremmo consacrato ogni energia a soddisfare le aspettative di chi cercava il numero 1, mi sono dedicato a ritrovare la mia famiglia e il senso del mio lavoro, a proiettare il futuro di Mirazur. Grazie a tutto questo, non stiamo surfando il passato, ma ci sentiamo un ristorante nuovo, che ha molto da dire. In un certo senso la pandemia mi ha salvato dal successo. In Argentina non esistono tutti questi premi. Ero al ristorante quando Bernard Loiseau si è sparato per la paura di perdere la terza stella e in me si è sviluppato il rifiuto viscerale di lavorare per i premi. Che pericolo!”


Fonte: La Rioja

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