Il Noma di René Redzepi si iscrive ben oltre il concetto di ristorante: è un laboratorio culturale, una fucina di talenti e sperimentazioni, un food cult che parte dal cibo ma tocca con sapienza corde che abbracciano e contaminano mondi differenti, dal design all’arte, dall’hospitality alla ricerca.
Ristorante Noma
La storia
Per molti un luogo di culto, quell’oasi urbana situata in un ex magazzino della marina danese che è il locale visionario dello chef René Redzepi ha indubbiamente segnato in modo indelebile la gastronomia degli ultimi vent'anni, salendo per la quinta volta sul più alto gradino della World's 50 Best restaurants, oltre ad ottenere le tre stelle Michelin (più stella verde per la sostenibilità) e ad infiniti altri riconoscimenti. Gli esperti lo chiamano “Noma 2.0”, inaugurato nel febbraio del 2018 vicino la città libera di Christiania, celebre quartiere hippy di Copenhagen, all’interno di un ex magazzino per lo stoccaggio delle mine della marina danese.
Secondo i giudici della 50 Best il riconoscimento al Noma “è una testimonianza della infallibile capacità da parte di René Redzepi e della sua squadra di focalizzarsi su ingredienti inusuali – il menù è rigorosamente stagionale, diviso in tre fasi: di pesce in inverno, vegetariano in estate e di cacciagione e prodotti del bosco in autunno – reperiti localmente e portati a nuova vita nel piatto in modo creativo e complesso”. Ribattezzato dallo stesso Redzepi “fattoria urbana”, dall’esterno sembra una serra: è un complesso formato da sette edifici, con sale dedicate a carne, pesce e cibi fermentati, oltre a una sala da pranzo privata per i dipendenti, che hanno a disposizione anche delle camere. Vi ci lavorano quasi un centinaio di persone per 40 coperti. Molte di queste le vedi quando arrivi, non foss’altro che all’entrata tutta la brigata è lì per darti il benvenuto.
A René Redzepi si deve una serie di innovazioni, o comunque nuove pratiche, che oramai si sono imposte a tutti i livelli della ristorazione. Anzitutto, il Noma è stato il primo ristorante a proporre un menù costruito interamente con ingredienti locali (globalmente "locavorism", in italiano "chilometro zero"), in un contesto non semplice quale la Danimarca -un paese non particolarmente rinomato, nell’immaginario collettivo, sul fronte gastronomico. Una declinazione di questo approccio è il cosiddetto "foraging", ovverosia la raccolta di erbe spontanee tipiche del territorio e il loro utilizzo in cucina.
In realtà tale pratica esiste da sempre, ma il merito di Redzepi è stato quello di trasporlo nell'alta cucina, in un periodo in cui a dominare erano ancora l'approccio francese - salse, ingredienti costosi provenienti da chissà dove, utilizzo abbondante di grassi, etc. - e, in parte, l'eredità di El Bulli del mitico Ferran Adrià, la cui complessità di pensiero e tecnica ha fatto sì che spesso si traducesse in banalizzazioni o scimmiottamenti (in quel periodo in cui tutti avevano una bombola di azoto in cucina, ma non sapevano preparare uno spaghetto al pomodoro).
Redzepi ha poi saputo mettere in risalto prima di ogni altro il profondo legame esistente tra la cucina e il territorio, con la sua storia, ingredienti, tradizioni, clima, etc. Di più: è unanimamente riconosciuto come il padre delle fermentazioni - con riferimento al loro utilizzo contemporaneo nell'alta cucina, ovviamente, posto che si tratta di una pratica millenaria -, tant'è che con David Zilber (ex Noma) ha scritto quella che è considerata la Bibbia in materia: "The Noma Guide to Fermentation".
A Copenaghen si è anche vista per la prima volta una brigata servire e spiegare i piatti dalla stessa cucinati: un'autentica rivoluzione. Il Noma è pura avanguardia. Ogni servizio parte con un passaggio in una serra, in cui viene servito l'aperitivo. Poi, il personale chiama un tavolo per volta: si cammina per 200 metri e ci si trova dinnanzi alla porta d'ingresso, si varca l'uscio e.... si trova l'intera brigata in piedi pronta ad accogliere il cliente. Si ha la netta sensazione di partecipare a un evento – probabilmente, incide non poco anche la difficoltà nel prenotare e l'aura leggendaria che contorna il ristorante - davvero emozionante.
È infatti Copenaghen a far da cornice a questo ineguagliabile spirito rivoluzionario, soprattutto in cucina, tanto da essere da tempo considerata capitale di quel sistema gastronomico che fa scuola e tendenza nel mondo intero, tedoforo di una cucina nordica che sposta gli equilibri e detta nuove visioni. Illuminato, ardito, sperimentale, progressista, sostenibile ed impegnato, il Noma di Redzepi non conosce definizioni specifiche. O meglio, le abbraccia tutte perché lui, o meglio loro, hanno la facoltà di ribaltare dogmi e preconcetti, proprio come fece Ferran Adrià per oltre un decennio al Bulli alle porte di Barcellona, di cui Redzepi raccoglie l’eredità e la consegna al nuovo millennio.
La cucina
Una cucina olistica, naturale, che porta a un livello internazionale la New Nordic Cuisine. Dal caldo e accogliente Mediterraneo al freddo rigoroso del Nord Europa, che con elegante e discreta pazienza ribalta il modo contemporaneo di fare cucina e hospitality e anzi va oltre. Obiettivo più ambizioso, raggiunto in anni di sperimentazione, ricerca e studio è sempre stato quello di ristabilire il rapporto con il mondo naturale, registrare ingredienti sconosciuti o dimenticati, imparare dal mondo animale e vegetale di cui Redzepi diventa non solo esecutore brillante – che forse è l’ultimo passo di questa storia - ma anche e soprattutto eclettico rabdomante, studioso eccellente e classificatore impareggiabile.
Il Noma ha infatti il primato assoluto di aver stigmatizzato il passaggio concettuale prima, pragmatico poi, della cucina in laboratorio. Lo chef e la sua brigata diventano così prima collezionisti di piante, aromi, funghi, sensazioni, odori, profumi, consistenze, tecniche, contaminazioni con altre culture, e poi esecutori finali di questo preludio all’esperienza materiale e materica del cliente che siede al Noma. La natura e le sue forme sono viste e trattate con un rispetto e gratitudine che si traduce nella presenza di tre diversi menu degustazione in base ai cicli riproduttivi. Troviamo la formica dell’Amazzonia, le vongole centenarie, il koji dal Giappone, i frutti di mare dai mari del nord: tutto giocato su metodi di conservazione, prima fra tutte la fermentazione, e tecniche avanguardistiche.
A definire l’universo Noma c’è sicuramente la capillare attenzione alla progettazione degli spazi che dialogano tra loro con l’ambiente circostante e ovviamente con il cliente. Il Noma è giustamente definito come un villaggio gastronomico, formato da ben sette diversi ambienti che ruotano intorno al teatro di Redzepi, la sua cucina. Non c’è però gerarchia nella visione architettonica e gastronomica dello chef, che pone infatti sullo stesso livello ogni spazio, collegati concettualmente e fisicamente: dalle serre in vetro ai diversi laboratori, come il Fermentation lab e il Test kitchen, il villaggio “respira e vive” come lo descrive Peter Kreiner, AD di Noma.
Il legno è l’elemento che contraddistingue il regno di Redzepi, sapientemente dosato: quercia, abete, pino, legno brunito, molto spesso recuperati e riportati a nuova vita. Rene Redzepi è anche colui che ha ridisegnato le regole internazionali del table setting, troppo pomposo e poco sostenibile appesantito da tovaglie e stoviglie artificiali, liberando così la tavola da ogni ornamento, per un servizio libero e democratico. La durata del pranzo o della cena è di circa due ore e mezza, e le prime portate sono praticamente tutte da mangiare con le mani. Molti piatti hanno come comune denominatore la muffa, che permette di allungare la stagionalità dei prodotti e, anche durante la Vegetable Season, sono comunque presenti formiche, larve di api e fondi animali. D’altra parte, questi elementi rappresentano ormai la firma di René Redzepi.
Una menzione speciale meritano i ragazzi in sala, che oltre ad essere professionali e preparati, mettono a proprio agio l’ospite, anche per quel che riguarda eventuali scogli linguistici: i commensali che non parlano inglese, automaticamente verrete serviti dagli italiani o dalle altre nazionalità presenti in sala. Nessuna atmosfera ingessata, non è affatto così. E ben venga.
Attualmente sono molti gli esperimenti in corso, tra cui, da citare, quello sul mais danese interrato. Il laboratorio di sperimentazione, gestito sino a poche settimane fa da Riccardo Canella, padovano di Mestrino classe 1985, che spiega “È una sorta di pibil messicano, ovvero mais interrato con delle pietre scaldate e coperte di terriccio”. E ancora, nei laboratori si sta lavorando su katsuobushi vegetali, vari tipi di miso (tra cui il piso, fatto con i piselli) e salse di soia (ma senza soia).
I 10 piatti iconici del Noma
La dispensa di René è piena di piatti che dal Noma hanno fatto discutere e innamorare. Con i menu stagionali (frutti di mare, verdura e selvaggina) che si susseguono in un anno la produzione è sterminata. A questi vanno aggiunti anche i piatti realizzati con i Noma pop-up in giro per il mondo.
1. Il cervello del germano reale
Non sono mancate discussioni e polemiche per la presentazione del cervello fritto di germano reale, servito nella testa con tutte le piume e il becco e la lingua essiccata a fare da cucchiaio. Per molti raccapricciante, ha generato una querelle tra il Noma e lo chef vegetariano Pietro Leemann. Il Duck Feast gate ha ovviamente alzato a dismisura l’attenzione per i piatti del Noma.
2. Medium Rare Blue Shell Mussel
Piatto da degustare mangiando la cozza e poi bevendo un brodo di funghi nascosto sotto le alghe. Per i fanatici di queste esperienze multisensoriali, un piacere assaggiare la zuppa mentre si annusano le alghe, immaginando di essere in spiaggia.
3. Formiche
In principio furono le formiche a destare attenzione e stupore per il ristorante - simbolo della New Nordic Cuisine. Le formiche vive speziate con foglia di citronella e coriandolo, croccanti e acidule, hanno fatto discutere in lungo e in largo. Sono servite con un mix di burro, nocciole, segale, malto e birra, o affogate nello yogurt. Per Redzepi le migliori formiche sono quelle australiane, dette “del miele”.
4. Castagne, löjrom (uova di pesce), noci e segale
Impossibile non citare questo piatto incredibile. Sapori nuovi e spiazzanti, che sanno di neve e boschi d’inverno. La castagna cruda è folgorazione e eleganza, il brodo morbidezza e compostezza, le uova di pesce sanno di iodio e di vento scandinavo. Uno di quei piatti che sanno narrare una storia.
5. Gamberetti vivi
Il tema del vivo, degli animali vivi, è sempre divisivo. Accade anche con i gamberetti dei fiordi vivi e brown sauce. Apri il barattolo e vedi i due piccoli gamberetti che, posati sul ghiaccio, si muovono. Li prendi, vinci la tua pietà e li mangi appena immersi nella salsa. Anche i veri onnivori possono avere un attimo di sbandamento.
6. Uova di lompo e tuorlo d'uovo stagionato
Le uova di lompo, servite al picco di freschezza, sono il piatto che ha sostituito i ricci di mare, serviti all'inizio della stagione dei frutti di mare. Sono proposte con tuorlo d'uovo, fiori di Mirabelle e olio di rose. L'olio di rosa dà complessità alle saporite uova di lompo, con il sapore del miglior caviale di storione.
7. Rombo stagionato
Il rombo viene servito con un miso di mais del laboratorio di fermentazione. Il miso aggiunge un tocco di dolcezza al piatto che conferisce al pesce un sapore di ananas. Indubbiamente uno dei piatti più belli ed eleganti.
8. Granchio affumicato a caldo
Il Granchio reale affumicato a caldo e poi passato al barbecue è uno dei piatti probabilmente più vicini ai gusti del sud Europa, quasi mediterranei. Sicuramente la quintessenza del granchio che uno si immagina. È accompagnato da una salsa al rafano per risvegliare le papille a metà strada.
9. Vasi, ciottoli e alghe
Le “ricostruzioni” sono un altro tassello dei piatti del Noma. Il ristorante ha utilizzato, nel menu dedicato ai vegetali, verdure interrate in un terriccio commestibile, realizzato con malto e farina di nocciole. Vasi di cui si mangia tutto. La scenografia è important,e nei piatti del Noma. Altro esempio sono le rocce – non commestibili – su cui è poggiata un’ostrica. Tra le ricostruzioni scenografiche c’è la Cozza con caviale e brodo di alghe. O meglio, le labbra di più frutti di mare reinserite in una singola conchiglia e accompagnate dal caviale. Le alghe, pur essendo commestibili, non si mangiano; ma l’insieme è bellissimo (e buonissimo).
10. Hamburger
E ovviamente non si può dimenticare il “periodo Hamburger”. È l’intelligente soluzione di René Redzepi per contrastare gli effetti disastrosi della pandemia. Via i menu degustazione e dentro quattro hamburger: classico, cheeseburger, vegetariano. Oltre a patatine fritte, insalate e gelato per dessert. E birra, cocktail e vini naturali. Lo spin-off Si chiama POPL, nome ispirato dalla parola latina “populus”. Ha aperto al numero 108 di Strandgade dopo che in primavera, nel giardino del Noma, la sua versione pop up aveva messo in fila quantità imbarazzanti di persone attirate dagli hamburger.
Il futuro del Noma
Come sarà quello che per molti, nel mondo, è il miglior ristorante mai provato? Il futuro è d’obbligo, per il locale di René Redzepi, che negli ultimi anni ha saputo cambiare, reinventarsi, riprogettarsi, spiazzare continuamente. Quand’era all’apice del successo ha smontato tutto e varato un Noma più grande, una mega serra-laboratorio; quand’era il capo indiscusso ha smesso di urlare e chiamato maestri yoga e psicologi; quando la pandemia ha tramortito il fine-dining ha trasformato il locale in un wine bar, il più redditivo di tutti i tempi.
Redzepi ci ha fatto mangiare formiche e licheni, fermentazioni e cozze di cinquant’anni, teste di germani aperte come nel laboratorio di Frankenstein e plancton, molluschi palpitanti e vegetali che parevano kebab. Sempre e solo al servizio del gusto. Ma Redzepi ha “Il metodo”, ha capito “come si fa”. C’è da scommettere che continuerà a guidare uno dei più stupefacenti e squisiti ristoranti del pianeta.
Indirizzo
Noma
Refshalevej 96 - 1432 Copenhagen DK
Sito Web