Il menu degustazione come un museo dinamico della storia della cucina: Giancarlo Perbellini ripesca i capisaldi dimenticati del repertorio internazionale, mentre lucida la classicità del quotidiano italiano.
Casa Perbellini: il nuovo menu Oggi Classico
Il ristorante
La ristorazione postpandemica? Carte snelle che consentono di asciugare le brigate, sostenibilità umana e ambientale, nella gestione degli orari di lavoro e nello scarto zero. Suona come l’esatto contrario di ciò che è stata l’alta cucina fino a oggi, eppure a prefigurare la formula è stato proprio lui, Giancarlo Perbellini, probabilmente il più grande cuoco classico italiano, lasciando otto anni fa il due stelle di Isola Rizza, perennemente candidato alla terza, per le quattro mura di una “casa” sui generis.
Di fatto il format non è mai sembrato così attuale: dai pochi tavoli si assiste alla performance live della brigata, su cui spiccano le toque dello chef e del nuovo secondo Simone Tricarico, arrivato nel 2020 da Albione con un curriculum impressionante.
L’idea, come noto, è quella di una ristorazione domestica, tecnicamente “borghese”, compendiata in tre menu: Assaggi, con evergreen di Perbellini come lo zabaione al caviale e il wafer branzino e liquirizia a 175 euro; il vegetariano Dalla terra a 135 euro e Oggi Classico, composto di tre corse in continua variazione a 200 euro. Dove Perbellini si ispira ai suoi trascorsi francesi anche nel modus operandi, ricordando come all’Ambroisie di Bernard Pacaud, esattamente come qui, non esistessero celle e tutte le basi fossero rifatte ogni mattina.
Le novità non mancano, da parte di un cuoco che è anche imprenditore. Il pop-up dopo due anni di alterne vicissitudini finalmente lascia posto al vecchio progetto di un’osteria di cucina tipica italiana, senza rivisitazioni, nel centro di Verona. Poi c’è la pasticceria, che ha guadagnato un nuovo laboratorio di 800 metri quadrati a San Giovanni Lupatoto, con spaccio aperto di mattina per colazioni, vendita della produzione e della seconda scelta.
Mentre sta per riaprire la Locanda siciliana e quella sul lago di Garda disporrà presto di una terrazza riscaldata vista blu, da usare tutto l’anno. Anche in Piazza San Zeno, però, c’è del nuovo. Per esempio, a proposito di sostenibilità, gli orari di lavoro, con chiusura dal sabato sera al pranzo del martedì, in un’ottica di benessere collettivo. “Ma non è stato un grande sacrificio, visto che siamo quasi sempre pieni. Per noi un giorno vale l’altro”, sorride lo chef.
Il nuovo menu Oggi Classico
Come nuovo è il menu Oggi Classico, che Perbellini teneva nel cassetto da tempo, ma si è finalmente realizzato con la complicità di Tricarico, uno che ha fatto Ducasse, Bras, Barbot, Roux e il grande repertorio lo conosce a menadito. “Ci siamo accorti che la gente vuole piatti concreti, anche nel menu porzioni da carta, con riferimenti chiari. Ed è stato un grande successo, che non mi sarei aspettato. Oggi l’ospite arriva prima al ristorante e non vuole fermarsi troppo tempo a tavola. Cerca piatti che diano soddisfazione, ma il nostro scopo è sempre stato quello di farlo star bene”.
Di fatto sono 3 corse, due pescate dalla cucina internazionale, spesso pelagiche e dimenticate, come una probabile ventura sella Voronoff, più un primo della tradizione regionale italiana, in perfetta continuità stilistica nella reinterpretazione, in passato lo spaghetto al pomodoro del piennolo, prossimamente risi e bisi o una pasta e patate. Il Menu suggerisce una serie di fonti: Escoffier, Artusi, il Larousse, Bergese, Carnacina, Pellaprat… “Ho avuto la fortuna di avere un professore all’alberghiero che era appassionato di questi piatti; poi a Villa Poma con Paolo Simeoni, che veniva dai grandi alberghi, la curiosità è ulteriormente cresciuta. Io e Simone partiamo quasi sempre dal prodotto, per esempio queste sogliole da più di un chilo, che abbiamo provato a servire in vari modi a clienti amici, sfilettate, da sfilettare al tavolo, cercando sempre di alleggerire la ricetta tradizionale”.
Il risultato, in bocca, è moderno più che neoclassico: degli originali si esaltano i contrasti gustativi e nello specifico le acidità, percorrendo concentrazioni talvolta estreme, che beneficiano di tecniche antiche e non, secondo i casi. Ma gli ingredienti sono invariati, praticamente senza eccezioni, per resuscitare la memoria del gusto. In fondo, come scriveva Calvino, “classico” è ciò che ci aiuta a capire noi stessi e i nostri tempi, dal modello di ristorazione (via Ambroisie) alle voglie profonde del mercato (concretezza, materia, valori certi). È proprio questo concetto adamantino la forza del pasto, insieme alla solidità delle realizzazioni e al servizio spigliato guidato da Barbara Manoni.
I piatti
Gli appetizer di Perbellini sono da sempre fra i migliori d’Italia, insieme a quelli di Alajmo: bocconi eclettici e fantasiosi, in equilibrio perfetto. Prendono spesso spunto dalla pasticceria, vedi la meringa scarica di zucchero da albumina in polvere, con essenza di crosta di pane ed emulsione di zafferano, sorta di prisma straniante fra riferimenti remoti; la farfalla di apparecchio al sedano rapa con emulsione di tartufo nero e aglio nero, tipo frappa carnevalesca; il bignè gusto saltimbocca con prosciutto crudo disidratato, in brodo e crema alla salvia; la pasta di mandorle poco dolce con emulsione di erbe; prossimamente forse un’opéra con farina di mandorle e crema di broccolo di Custoza. Perché Perbellini in cucina si diverte e il pensiero va sempre al prossimo piatto. Niente paludamenti o impaludamenti: il classico è il gioco del cuoco maturo, capace di sfruttare ogni minima differenza per favorire il movimento, come avviene nella meccanica di una ruota dentata.
L’aragosta Thermidor è uno dei ripescaggi più eclatanti, tanto a fondo era stato rimosso questo piatto un tempo glorioso. Perbellini ne esalta la dialettica gustativa di terra e mare, crostaceo, funghi e formaggio, insomma dolcezza, sapidità naturale e umami nettissimo, da grande saucier moderno, in un impiattato vibrante.
Altro piatto dimenticato è la quaglia in chaud-froid, non fredda ma tiepida, ancora rosa e passata al carbone, come l’aragosta; viene glassata con riduzione di pollo al tosazu e al tartufo nero, per la classica bicromia, più un contorno di broccolo fiolaro a etnicizzare. Dove ancora una volta risalta l’esattezza delle cotture espresse, costante del pasto.
Non fa eccezione la sogliola alla mugnaia, deliscata e raddoppiata, cotta il giusto, per qualche barlume traslucido, e spennellata di riduzione di limone, più una spolverata di panko di patata croccante. Dove la salsa è una spuma ricavata da una sorta di pil-pil degli scarti nel burro nocciola alla Worcester. Su un litro di riduzione appena 80 g di grasso, per una consistenza quasi da budino.
Nella sua semplicità volontaria, è difficile ricordare una triglia migliore di questa, che fa spirare in tavola una brezza defaticante di cuisine du soleil e improvvisamente fa domandare a tutti quanti, che abbiamo fatto di male per dimenticare una simile grazia. L’ispirazione arriva dal Pellaprat, reinterpretato con succosi filetti raddoppiati, olive taggiasche disidratate per la nota amaricante, emulsione di lattuga e dragoncello, salsa Bercy al vino bianco, limone pelato a vivo, pomodorini confit, emulsione di patata in un gioco di contrasti e consistenze.
È il momento del riscatto italiano con gli spaghetti all’amatriciana en travesti, classicheggianti già nel delizioso impiattato d’antan, simmetrico, geometrico, concentrico. Dove la classicità è anche nel rilancio dell’acidità sulla sapidità, attraverso l’acqua di pomodoro datterino e del piennolo, stabilizzato dalla cottura nel forno a vapore, filtrato e chiarificato, in cui finisce di cuocere la pasta, più qualche goccia di crema di ricotta affumicata, guanciale croccante, pecorino grattugiato. Il sommelier Marco Matta, già all’Oustau de Baumanière, qui sfodera per contrasto un Borgogna importante, come un Puligny Montrachet o uno Chablis Premier Cru Butteaux. Amministra una carta da 400 etichette, di cui 130 italiane, selezionate insieme a Perbellini.
Chiude il salato sua maestà le lièvre, in una versione moderna firmata Tricarico. Al posto delle estenuanti, lunghissime cotture, una preparazione quasi espressa, con la cottura del rotolo di farcia e foie gras nel forno, quasi rosso al cuore, e la salsa importante, legata col sangue e pochissimo cacao, sotto il segno di freschezza e digeribilità, senza che ci scapiti il gusto; per guarnizione raperonzoli che simulano il classico salsifis. Poi, quale controcanto italiano, la spalla brasata con crema di polenta di Storo. In abbinamento un vino del territorio: la Poja Allegrini.
Ultimo ripescaggio dalla zona Cesarini della pasticceria, dove va in goal nientemeno che un Saint-Honoré preparato con pasta sfoglia pressata, crema pasticciera alla nocciola, dacquoise, piccolissimi bignè vuoti caramellati e panna montata, il cui segreto è il montaggio espresso, che tesaurizza la lezione della millefoglie.
Indirizzo
Casa Perbellini
Piazza San Zeno, 16, 37123 Verona VR
Tel: 045 878 0860
Sito Web