Allacciate le cinture: secondo il grande chef catalano nei prossimi decenni assisteremo a una rivoluzione totale nel mondo del food, grazie allo sviluppo della carne sintetica e dell’intelligenza artificiale applicata alla cucina.
L'opinione
Ora che non è più vincolato ai fornelli, Ferran Adrià sguinzaglia tutta la sua intelligenza nel leggere le tendenze presenti e future del food. Lo ha fatto anche al Rural Innovation Hub, dove si è soffermato giustappunto su come sta cambiando e cambierà il prodotto, vedette della ristorazione.Innanzitutto, a suo parere, si sta abusando di termini come “naturale”, “ecologico” e “bio”, nel senso di sano, dal momento che a rigor di termini “naturale” è solo ciò che viene dalla natura, mentre il resto è artificiale. Il problema deriverebbe dal fatto che la parola è invisa a tutti, quindi la si schiva per via di parafrasi. Questo genererebbe una grande confusione nel consumatore, che può informarsi meglio sui social che facendo la spesa. Starebbe ai produttori, invece, fornire le dritte del caso, compreso il migliore utilizzo della varietà considerata.
Sono anni, osserva Adrià, che si tenta di introdurre nella dieta delle persone alimenti come gli insetti e le alghe, ma senza successo. “Forse perché non corrispondono a una reale necessità. Sicuramente se ti trovi in un bosco e non hai niente da mangiare, divorerai anche un ragno”. Il tabù tuttavia in Occidente perdura. Al contrario va registrata la crescita dei vegani, che nel 2030 saranno il 7% dei consumatori, con ricadute ovvie sul commercio dei vegetali. A proposito dei quali il grande chef si chiede, che sarebbe successo se nel Medioevo non avessero iniziato a distinguere frutta e verdura, avviandole a usi diversificati?
Di fatto la gente mangia sempre più spesso fuori di casa, anche perché le donne lavorano, tanto che secondo Adrià se tutti i punti di ristoro spagnoli chiudessero domani, il prodotto interno lordo crollerebbe del 33%. Lo sguardo privilegiato è dal basso in su, con gli occhi del consumatore; l’alta cucina, tuttavia, gioca un ruolo cruciale come volano del turismo. “Bisogna capire che occorre produrre quello di cui c’è bisogno, e in verità quanti tipi di vegetale mancano? Bisogna lavorare e innovare su quello che la gente vuole”.
Al contrario, ha lamentato, ci sono professionisti della gastronomia che si dedicano a “creare ciò che è già stato creato”, sentendosi pionieri, mentre esistono “innovazioni” dell’industria alimentare che ormai vantano 150 o 80 anni di storia. Negli ultimi anni l’innovazione gastronomica sarebbe peraltro andata di pari passo con quella tecnologica. Poi c’è l’intelligenza artificiale: erano gli anni ’90 quando un papavero di Google lo visitò al ristorante e gli parlò di quello che si stava preparando. Da allora il tarlo ha continuato il suo lavoro e forse finalmente il momento decisivo sta arrivando.
Fonte: La Vanguardia
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Foto di copertina: @Francesc Guillamet Ferran