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Il nuovo Inkiostro lascia il segno: Salvatore Morello in gran forma a Parma

di:
Alessandra Meldolesi
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salvatore morello 2023 05 04 11 19 30

All’Inkiostro di Parma Salvatore Morello mette a fuoco il suo stile: tesaurizzando una lunga permanenza ai massimi livelli in Germania, innesta su basi classiche una robusta fioritura orientale e il vegetale del territorio, con esiti pienamente contemporanei di rarefatta eleganza e squisita originalità.

Inkiostro

Il ristorante


Si chiama “Inkiostro” e sta lasciando il segno. Mentre l’Emilia sonnacchia, con la sparuta eccezione modenese, la famiglia Poli continua a smuovere le quiete acque padane, schizzate di Inkiostro. Terry Giacomello vi aveva intinto la penna per scrivere un bel capitolo di storia dell’avanguardia italiana, ma Salvatore Morello, che sembrava un outsider, non permette rimpianti. Stupisce anzi per una proposta sempre più definita, anch’essa di caratura internazionale e contemporanea, fortissima in bocca per quanto concettualmente e geograficamente agli antipodi della stagione precedente.



Non parliamo del resto dell’ultimo arrivato: per undici anni la sua carriera si è mossa prima in Francia, poi in Germania sempre ai massimi livelli, toccando già la stella in veste di chef. Il maestro tuttavia è uno solo: Joachim Wissler del tristellato Vendôme a Colonia, presso il quale Morello si è fermato 7 anni abbondanti, gli ultimi 3 come sous-chef. “La costante che ho riscontrato negli stellati tedeschi è una forte base francese, sulla quale vengono innestate influenze asiatiche o del nord Europa. E anch’io sono persuaso che la cucina debba essere più classica possibile, perché è ciò che ti definisce come cuoco e al tempo stesso garantisce la comprensibilità per il pubblico; mentre essere moderni è moda, per definizione passa".


"A Wissler devo innanzitutto il modo di pensare e vedere la cucina, poi un bravo cuoco deve trovare la sua strada. Potrei replicare tutti i piatti, ma non lo farò mai. Non ricordo un solo giorno in cui non abbia imparato qualcosa o non sia stato corretto. E il peggior cuoco che vi ho incontrato, oggi ha due stelle. Tutti fenomeni e delle nazionalità più diverse, coinvolti nella fase creativa del kochthink, dove ognuno doveva portare una sua idea”.


Rientrato a causa delle chiusure covid, Morello aveva già pronto un contratto in Germania, ma ha preferito accettare l’offerta di Francesca Poli e fermarsi da Inkiostro, dove nell’arco di un anno e mezzo è maturato non poco. “Sono arrivato senza brigata, non conoscevo neppure i fornitori. Invece adesso incontriamo il territorio, senza fare territoriale, perché tutto il vegetale è locale. Poi ci sono gli usi e costumi italiani, soprattutto i primi. Abbiamo risotti, paste fresche e secche, che comunque seguono il filo della cucina, con tanti brodi, alghe, ingredienti asiatici e soprattutto giapponesi, che ho approfondito in stage da Christian Bau. Penso ai fermentati e alle salse di pesce, che prepariamo in casa, ai dashi e all’Ocoo, che è una tecnologia vietnamita. Su una bilancia ideale sono alla pari con la classicità, che mi dà l’equilibrio”.



Ne risultano piatti estremamente complessi e dettagliati, dove le sfumature sono trama e ordito per una stoffa tenace e tuttavia evanescente. L’appeal è internazionale, lo svolgimento contemporaneo per gusti e testure, con l’umami onnipresente ma bilanciato da acidità eleganti e originali, veicolate da agrumi in infusione di polpa o scorza, fermentazioni, kombucha e una gamma di tredici aceti fatti in casa con metodi diversi. Perfino l’apporto calorico è monitorato, in modo che la leggerezza non sia solo visiva.


C’è la carta e ci sono quattro menu degustazione: Inkiostro da 7 e 9 corse, Vegetariano da 6 e Carta Bianca da 5 per i clienti affezionati, per un prezzo compreso fra 120 e 160 euro. Per favorire l’opzione green da parte di tutto il tavolo, è stata introdotta la possibilità di variazione con inserimento di proteine a scelta, ma non mancano piatti interamente vegetali negli altri menu, per quanto diversi. “Parto spesso dal contorno prima di scegliere la pièce, per me è fondamentale. Collaboriamo con un contadino e un’azienda locale, cui ho fatto piantare ciò che mi mancava della Germania, come il cavolo rapa. Poi ci sono le nostre erbe aromatiche nello spazio dietro il ristorante”.


I piatti


Gli appetizer danno subito la misura del pasto: ci sono la frittella di ceci con maionese di shiitake, tartufo di Norcia ed erbe di montagna; la tapioca soffiata con achiote di peperone e menta, peperone fermentato, teriyaki e crema di basilico; l’ostrica con granita di mandarino e furikake; il cono con mousse di aneto, latte acido e finto caviale di senape; la tartelletta di caprino e aglio nero; l’airbag di purè di radici e dragoncello; il macaron al succo di rape di montagna in pickle, gel di alga kombu, ponzu e shiso verde. Nella classica variazione croccante, introducono il dialogo fra acidità e umami che impronterà il pasto, senza stucchevolezze. “Perché il palato va sempre accarezzato, con qualche picco ogni tanto”.


Elegantissima è poi la ricciola in doppia marinatura, servita con kimchi di cetriolo piccante, zenzero fermentato, siero di latte infusionato come un dashi e montato con l’olio all’aneto, caviale osietra e crème fraîche giapponese lavorata con un mix di aceti. Una filigrana di sfumature diversamente acide e diversamente sapide, innervata di spunti erbacei e piccanti, traslucida come la polpa del pesce, tanto classica nel suo canovaccio quando abile nello schivare il trabocchetto della banalità per una sorta di setacciatura gourmet.


“Il cavolfiore per me è uno degli ortaggi più nobili, per il sapore definito e la cremosità potenziale”. Morello lo cuoce al green egg, ricava il cuore crudo sotto la superficie bruciata e lo finisce in osmosi dell’acqua di altri cavolfiori. Viene poi ripassato e laccato con kecap manis, prima della guarnizione con crema di mandorle e limone; per salsa un’olandese alleggerita, col il miso al posto del burro.


Vola alto il piccione servito in antipasto (“Come secondo sarebbe demodé, sul piatto principale vedo meglio un animale di grossa taglia”). Viene cotto classicamente, come tutte le carni e i pesci, in carcassa su una padella lionese con olio di sesamo, per riprendere il nutty della crosta di pinoli, sesamo e pelle di piccione. Sul piatto senza fondo, con white fungus, filettino crudo e tartufo nero per una deliziosa sfogliatura di testure sottili, dove piccolo è bello; rapa rossa e pralina di mousse di foie gras (ma avvolta nella cenere di pinoli) per il classico; al posto della salsa, per una minore invasività, la grassezza azotata di una Fourme d’Ambert che si scioglie in bocca. “Quasi un’insalata”.


A evocare un primo, senza appesantire caloricamente il percorso, sono i tortelli di erbetta, pasta non pasta dove il cavolo rapa funge da involucro, il ripieno è composto di sole erbe spontanee, il condimento è di pasta di sesamo bianco e beurre blanc con cavolo rapa ossidato e olio di Kyoto alle cipolle. Anche qui salse in doppia testura, liquida e compatta, mai invasive sull’ingrediente.


Il merluzzo norvegese skrei è cotto nel cestello di bambù con alga kombu, per valorizzare la sfogliatura, e servito con panata di cerfoglio per l’erbaceo, contorni di stagione come romanesco e topinambur in crema, gamberi, uova di salmone e crosne. Mentre gli scarti del pesce e del tubero finiscono nella salsa, infusionata al fieno bruciato.


Poi il piatto principale, dal quale il menu vira verso il classico: il cervo frollato in casa e sporzionato in sala, quando i coperti lo consentono, servito con salsa Sauerbraten, sorta di fondo alleggerito alle alghe, parmigiana di melanzana asiatica allo shiro miso, cipolla per il territorio, caponata di melanzane con Aceto Balsamico, pure di cavolo selvatico e di zuppa di cipolle. Il sommelier Daniele Molinaro, che non ha perso il vizio del divertimento, gli abbina un Karas Rosso 2019, uvaggio di Areni e Khndoghni proveniente dalle pendici del monte Ararat, in Armenia, fresco e complesso, corposo ma non tannico, con un avant-coup di frutti rossi.


Il predessert è una specie di cuvée di varietà di zucca padane, in percentuali definite. Sopra la crema di semi di zucca poggiano la zucca spaghetti passata al Green Egg e saltata al cocco, il crumble di pane alla melassa, il gelato di zucca al curry nappato di gel al finocchio.


Chiude il binomio intramontabile cioccolato-frutti rossi, nello specifico cassis francese in mousse con sugo fermentato di foglie di shiso rosso e liquore umeshu fatto in casa. Nel bicchiere il Moscato di Scanzo Pagnoncelli 2017, prodotto in sole 3.360 bottiglie, vino intenso ed elegante con un richiamo al ribes e alle rose, leggere note di tabacco e confettura, piacevolmente aspro sul finale.


Indirizzo


Inkiostro

Via S. Leonardo, 124, 43123 Parma PR

Telefono: 0521 776047

Sito web

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