Tagliato il traguardo dei 60 anni, il grande chef traccia un bilancio professionale e personale. E al centro di elBulli, che sta trasformando in un museo per le prossime generazioni, mette i valori umani.
La notizia
Ha appena tagliato il traguardo dei 60 anni, Ferran Adrià, indubbiamente lo chef più influente degli ultimi decenni, qualcuno dice della storia della cucina mondiale. Oggi il suo elBulli non c’è più, o meglio non c’è ancora nelle sue vesti rinnovate. E lui divide la sua vita fra Barcellona, dove ha ricavato un’abitazione in quello che era il Taller, e la casa di Cala Montjoi, già appartenuta ai vecchi titolari e oggi proprietà della Fondazione, dove lavora la squadra di elBulli 1846.Sempre insieme alla moglie Isabel Perez, perché, dice, “nella vita privata sono stato una persona normale”. Ad assorbirlo è la “museificazione” di quello che è stato ben più di un luogo dove mangiare: piuttosto un centro culturale che ha cambiato la ristorazione per sempre. E del passare del tempo dice: “Io mi sento giovane. La mia filosofia è quella di non preoccuparmi di ciò che non posso cambiare. Sono lo stesso di sempre. Continuo a vestirmi di nero, perché mi sono stufato del bianco che ho indossato per tanti anni in cucina”.
In un mondo che gira intorno al denaro, la sua sobrietà è proverbiale. “La verità è che vivo con poco e non ho nemmeno bisogno di una macchina. L’unico lusso che mi concedo è di andare al ristorante e fare qualche viaggetto. Per il resto sono austero. Quello che è indispensabile, ce l’ho: un frigorifero, una cucina, del cibo. Ho realizzato tutti i sogni che potevo coltivare. La vita mi ha dato cose preziose prima dei 60 anni, e anche prima dei 50”. Eppure, le occasioni per arricchirsi non sono mancate. “A consentirci di guadagnare, è stata soprattutto la galassia Adrià-Soler, ovvero le consulenze. Ma non ho accumulato soldi al ristorante, perché non volevo. E avrei potuto farne parecchi. Ora ogni spesa è coperta dagli angeli di elBulli Foundation: CaixaBank, Grifols, Telefonica e Lavazza. Prima facevamo più consulenze sull’innovazione, ora 60 o 70 conferenze l’anno”.
“Avevo ben chiaro che a elBulli dovevamo essere più puri possibile, ma il denaro era importante per salvaguardare la nostra libertà. L’unico interesse del denaro sta nella facoltà di essere liberi. Dal 1984 al 1998 abbiamo lottato per una ricompensa economica che non arrivava, mentre oggi ci sono ristoranti che in due mesi trionfano. Poi abbiamo avuto altri problemi, che abbiamo risolto. Perché la vita non è facile, è difficile... E non puoi avere tutto. Io ho avuto la fortuna di poter vivere con Isabel al mio fianco e di fare quello che pensavo dovessi fare. Quando hai le idee chiare al riguardo, servono sforzo, passione, entusiasmo. Se hai tutto questo, spacchi. Per noi erano molto importanti la condivisione, la generosità, l’onestà, eravamo persone normali che facevano qualcosa di nuovo, che risultava scioccante. La maggior parte dei bullianos sente questi valori nel suo DNA”.
Certo la routine è cambiata: oggi Ferran riesce a dormire 8 ore per notte e si dice molto più rilassato di un tempo. “Mi alzo, faccio colazione con calma e comincio a lavorare alle 9 e mezzo”, descrive. Tutt’intorno, però, la professione è diventata più difficile. “Prima tutto andava a ruota, era un movimento, ora sono lavori individuali. La grande domanda è che cosa sia rimasto. E la risposta è ardua, soprattutto per chi ha conosciuto un’epoca gloriosa. Tutti noi allora ci influenzavamo reciprocamente e non eravamo consapevoli di quello che stava accadendo. Avevi dei feedback ed era più stimolante che stressante. Io stesso, se fossi ancora attivo, non so cosa farei”.
Foto di copertina: Crediti John McDonnell-TWP
Fonte: La Vanguardia
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