Archiviata la ventennale era Ducasse, sotto il segno del modernismo e della naturalité, Jean Imbert ha eretto sul marmo il lusso pomposo del classicismo dimenticato, affidato a un servizio d’antan.
La notizia
La notizia a suo tempo aveva fatto scalpore: un cuoco televisivo, sebbene tutt’altro che improvvisato, al posto di sua maestà Alain Ducasse. Per Bastiglia il dardeggiante Plaza Athénée, cannoneggiato dalla crisi pandemica e subitaneamente ribattezzato “Jean Imbert at Plaza Athénée”. Oggi, a distanza di tempo e di rodaggio, si può stilare un primo bilancio di quella operazione choc. Per molti una profanazione.Nell’arco di tre mesi, lo scorso inverno, il quarantenne Imbert si è ritirato in Bretagna per ripassare i grandi classici della cucina francese: Carême ed Escoffier su tutti; ma anche Guillaume Gomez, cuoco di quattro presidenti della repubblica all’Eliseo, nominato ambasciatore della gastronomia da Macron. “Volevo capire più profondamente cosa fosse la cucina francese. Ho cercato di usare questo studio come punto di partenza per la mia riflessione”, ha dichiarato. La riapertura è caduta in gennaio in un ambiente profondamente trasformato, dove i precedenti arredi monocromatici e modernisti, fra cui le celebri sedute sferiche in acciaio, sono stati rimpiazzati da una celebrazione del lusso ancien régime, fra decine di migliaia di foglie d’oro e candelabri di cristallo sopra l’interminabile tavola marmorea. L’atmosfera di un banchetto di corte, non senza un sospetto di kitsch.
Ducasse è stato il sacerdote di questo tempio per 21 anni prima dell’avvento di Imbert, che non ha mai detenuto alcuna stella Michelin, ma vanta diversi ristoranti di successo a Miami, Saint-Tropez e Ibiza, un bottino di 453mila follower su Instagram ed è molto popolare fra le celebrities di qua e di là dell’oceano. Di fatto la sua cucina ora pesca a piene mani (o a mani nude) nel classico, rispolverando piatti secolari, che erano finiti nel dimenticatoio. Per esempio, l’aragosta in bellavista, con i suoi bei medaglioni laccati di gelatina disposti sulla coda, o il vol-au-vent, appena rivisto nella pasta sfoglia scomposta (ma di grano saraceno), che viene adagiata sulla guarnizione opulenta di quenelle, funghi e animelle e schizzata di salse. La grande cucina poi ha le sue coreografie, cosicché il rombo ripieno di crescione arriva intero e viene sfilettato al tavolo.
Non c’è traccia di quella “naturalité”, che aveva fatto anch’essa scalpore, ma per il coraggio della ricerca gastronomica: portare nel tempio del classicismo concetti nuovi quali la primazia del vegetale, l’equilibrio nutrizionale delle preparazioni, la centralità dell’ingrediente in chiave mediterranea. Tanto che la carne è tornata protagonista, nonostante la voga della sostenibilità. L’apoteosi è al momento del dolce, quando il direttore di sala suona un campanello per richiamare l’attenzione collettiva: allora le luci si abbassano e il sipario si apre sui pasticcieri impegnati a finalizzare i dessert.
Imbert si racconta così: “Per quanto mi riguarda, in questo palace storico nel cuore di Parigi, in Avenue Montaigne, ho sempre avuto l’idea di mostrare la storia e l’eredità francese”. Ed è un luogo cui è legato anche da memorie familiari, se è vero che qui ha festeggiato con 30 invitati il novantesimo compleanno dell’amatissima nonna Nicole, fonte di ispirazione di tutta la sua carriera. Oggi “Mamie” non c’è più, né può assistere al suo trionfo. “Era già mancata quando ho preso la guida del Plaza Athénée, ma il primo simbolo cui ho pensato è stata lei, con la sua festa insieme a tutta la mia famiglia. Mi piacciono le simbologie e i significati reconditi delle cose. Questo mi ha reso felice”. Ma che ne penserà Michelin?
Fonte: robbreport.com
Foto di copertina: Crediti Boby Allin
Foto nell'articolo: Crediti Plaza Athénée