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La vera storia del dolce italiano più famoso al mondo: il tiramisù e le sue varianti gourmet

di:
Alessandra Meldolesi
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Copertina Tiramisu

Un goloso mix di mascarpone, cacao e savoiardi al profumo di caffè: il tiramisù è il dolce italiano più popolare del mondo. Ma com’è nato e quali sono le sue varianti creative? Ecco la vera storia del celebre dessert a strati.

La vera storia del tiramisù

La cucina, si sa, è anche un luogo di illusioni, miraggi, fatamorgana. È spiazzante, per esempio, che il tiramisù, bandiera della pasticceria italiana, non esista da sempre, ma appena da qualche decennio. Tanta giovinezza per un successo sbalorditivo, se è vero che oggi viene annoverato fra i dessert più diffusi al mondo: “tiramisù” è il quinto vocabolo italiano più conosciuto all’estero e addirittura il primo nel comparto dolce, davanti nientedimeno che a sua maestà il panettone. Merito di un mix di fattori: la cremosità libidinosa, il bilanciamento fra dolce, grasso e amaro, il nome evocativo, non ultima la facilità di preparazione, senza necessità di attrezzi o cognizioni particolari.


Il nome fornisce già un primo indizio sulle sue origini, visto che deriva dal veneto “tirame su”, per via delle virtù energetiche, corroboranti, euforizzanti. Ed è proprio a Treviso che la ricetta sarebbe stata ideata nella seconda metà dell’Ottocento, quale antecedente di una preparazione contadina chiamata “sbatudin”, ovvero il classico tuorlo sbattuto con lo zucchero per le merende dei bambini, delle puerpere e dei convalescenti, variato di casa in casa, di volta in volta con caffè, vino, liquore, biscotti, panna o cacao. Sono i “biscottini puerperali” tipici di Conegliano, descritti da Pellegrino Artusi nell’edizione datata 1902 di La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Per ingredienti tuorli, zucchero, cacao e biscotti, da consumare al cucchiaio sul modello della zuppa inglese.


Manca ancora qualche tassello, tuttavia. Per la precisione il mascarpone e il caffè. Ma come sempre non ci sono certezze sul momento esatto e sugli artefici dell’evoluzione. Secondo la leggenda, potrebbe trattarsi della maîtresse di una casa di piacere trevigiana, la Cae de oro, che negli anni ’30 avrebbe messo a punto la ricetta per rinvigorire i clienti dopo gli sforzi nell’alcova, con evidente doppio senso. I primi professionisti a proporre il dolce sarebbero poi stati i gestori di una locanda di Piazzetta Ancilotto, che non esiste più.

Tiramisù di Christina Bowerman
Fino al battesimo ufficiale presso il ristorante Alle Beccherie da parte di Loli Roberto Linguanotto, cuoco con significative esperienze pregresse in Germania, che negli anni ‘70 ha letteralmente fatto la storia. A testimoniarlo è Giuseppe Maffioli, che ha attestato la presenza del dolce nel 1981 e ne ha poi codificato la ricetta nel 1983. Quasi in contemporanea Alfredo Beltrame la faceva conoscere nella sua catena di ristoranti “Toulà”, anche all’estero, dove gli emigrati la resero virale. Ma la paternità è rivendicata anche da altri ristoranti del nord est, come l’Albergo Roma di Tolmezzo, che ha presentato un conto datato 1959 con la voce “tiramisù”, pare carente tuttavia del principio di individuazione del mascarpone.

Tiramisù di Gennaro esposito- Crediti Italian Places
Sta di fatto che prima di finire nei menu di tutta Italia, il tiramisù (anche ante litteram) era qualcosa di familiare nelle case della Marca, ben noto a generazioni di mamme e di nonne. Ne è stato testimone fra gli altri lo scrittore Giovanni Comisso, la cui nonna Giuseppina, di nobili origini, lo chiamava “tirame-sospiro-su” e lo serviva preferibilmente nelle cene invernali, quando i frigoriferi erano di là da venire. Inizialmente, al posto degli odierni savoiardi si impiegava il Pan di Spagna, divulgato in zona dalle pasticcerie austriache; fu poi con il Risorgimento che si privilegiò il ricorso ai savoiardi piemontesi. Lo stesso mascarpone, latticino a base di panna originario della Lombardia, si era diffuso grazie alle guerre di Indipendenza. Mentre a chiudere simbolicamente l’unità d’Italia era l’abbinamento immancabile con un bicchierino di Marsala.

Torta Tiramisù di Iginio Massari
La storia recente è quella di una girandola di geniali interpretazioni d’autore, a riprova dell’assioma antropologico per cui la variazione fa il mito. I grandi pasticcieri non si sono tirati indietro, da Iginio Massari a Loretta Fanella; ma il tiramisù, per origine e familiarità, è anche une affaire de chef. Quello al vapore di Carlo Cracco, che rispolvera con estro le origini venete; quello bianco di Davide Oldani, nelle sembianze avanguardiste di un monocromo evocativo del bianco mangiare; l’enigmatica sfera di Cristina Bowerman; la contaminazione campana di Gennaro Esposito con il mascarpone di bufala. Nel bicchiere il solito goccio di Marsala, per la persistenza sul caffè e sul cacao, l’alcol sulla grassezza, l’ossidazione che asciuga, l’acidità e quella punta di sale.

Crediti Brambilla-Serrani



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