In provincia di Cosenza, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, c’è una tradizione centenaria che parla di popoli, di migrazioni e di legami tra culture lontane.
La storia di Lungro
Arriviamo a Lungro, un piccolo paese dell’entroterra calabrese, in un caldissimo pomeriggio primaverile. Ci sentiamo un po’ osservati mentre camminiamo per le strette vie del centro storico, chi vive qui non dev'essere molto abituato alla presenza di forestieri che curiosano in giro. È un gran peccato perché, tra le pagine della sua storia, Lungro ha tante vicende che lo rendono un luogo unico. Le sue miniere di salgemma, ad esempio, erano conosciute già al tempo dei Romani e hanno dato lavoro agli abitanti del paese fino agli anni ‘70 del secolo scorso. Inoltre, a partire dal XV secolo il paese accolse diverse famiglie albanesi in fuga dalle invasioni ottomane e, ancora oggi, Lungro è considerato un centro molto importante della comunità arbëreshë, di cui custodisce scrupolosamente i costumi e le tradizioni. Ma questo paese è anche sede dell’omonima eparchia (il nome dato alle circoscrizioni territoriali della Chiesa cattolica orientale) che è considerata un punto di riferimento per le chiese arbëreshë di rito greco-bizantino. Tra le sue peculiarità, Lungro custodisce anche una tradizione molto speciale; ed è proprio per questa che siamo venuti fino a qui, per conoscere le sue origini e le persone che continuano a portarla avanti.
Il Museo del Mate

La signora Anna ci accoglie nel Museo del Mate (nonché Museo del Rinascimento) con un grande sorriso ed una stretta di mano che rivela fin da subito la sua trascinante energia. A volerla dire tutta, il luogo dove ci troviamo è in primis la sua abitazione e quella di quattordici generazioni prima di lei, tutte discendenti della famiglia albanese degli Stratigò che si stabilì a Lungro nel XV secolo. La casa di Anna e gli oggetti che ci circondano, in queste stanze dai muri spessi che odorano di pietra e di caminetto acceso, raccontano la storia del paese e della cultura arbëreshë. C’è un non so che di familiare in questo luogo che ci fa sentire subito a casa.

Lungro e l’Argentina
Ci accomodiamo in cucina, attorno al camino, e Anna inizia a raccontarci del mate e di come la tradizione di questa bevanda, tipica del sud America, si sia sviluppata e resista ancora oggi in paese. Nella seconda metà del XVIII secolo, diversi abitanti di Lungro emigrarono in Argentina e iniziarono a bere il mate. Grazie allo stretto rapporto che i lungresi argentini mantennero con il loro paese d'origine, anche le famiglie rimaste in Calabria ben presto conobbero il mate ed iniziarono a consumarlo abitualmente in casa. Questa tradizione ha creato un legame profondo tra il paese e lo stato sudamericano, dove è stata persino creata una linea di produzione di yerba mate che porta il nome di Lungro.

Il rito del mate
Mentre continua il suo racconto, Anna ci prepara la bevanda che siamo venuti ad assaggiare. Il mate ha origine dall’infusione delle foglie di ilex paraguariensis, comunemente chiamata yerba mate. Come prima cosa Anna mette a scaldare dell’acqua; poi prende il kungulli (in arbëreshë), il caratteristico contenitore panciuto in cui si beve il mate e lo riempie con yerba mate, zucchero e scorza d’arancia; poi inserisce la bombilla (pumbixhi in arbëreshë) una cannuccia in metallo, molto particolare perché ha un filtro all'estremità inferiore; infine, versa l’acqua nel kungulli. Il rituale qui a Lungro è ben codificato: ogni casa ha la sua matara, che prepara la bevanda e la passa di mano in mano a chi è seduto intorno a lei.

Il sapore del mate è molto caratteristico: ha un gusto amaro, erbaceo, con una leggera nota tostata; ricorda vagamente il tè verde, ma è più intenso. Non c’è fretta: il mate va bevuto con “lentezza”, chiacchierando e godendo della reciproca compagnia. Per un istante, con la mente torniamo ai pomeriggi con le nostre nonne davanti al camino, ad ascoltare le loro storie, mentre con una mano attizzavano le braci e con l’altra aggiungevano un nuovo ciocco di legno. Resteremmo ore ad ascoltare i racconti di Anna, ma è arrivato il momento di andare, le abbiamo già rubato troppo tempo. Lasciare questo paesino, dalla bellezza diafana e delicatamente sbiadita, è come uscire dalle pagine di un vecchio libro, che ha ancora molto da raccontare a chi sa andare oltre la sua copertina.
