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Panettoni degli chef 1, 2 e 3 stelle Michelin: ecco tutte le novità 2025

di:
Nadia Afragola
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È il biglietto da visita natalizio degli chef stellati. Da Bottura & Tiri a Gennaro Esposito, da Oldani a Romito, da Cracco a Cannavacciuolo: tutti i lievitati d’autore che fanno impazzire il Natale.

C’è un momento, ogni anno, in cui le cucine dei grandi ristoranti stellati smettono di parlare solo la lingua dei menu degustazione e iniziano a ragionare in chili, stampi di carta, teli di lino. È il momento in cui il panettone entra in forno – e con lui finiscono lì dentro territori, memorie di famiglia, collaborazioni con la moda, sogni di viaggio, perfino biglietti per salire sul Duomo di Milano. Perché oggi il panettone non è più soltanto un dolce di Natale: è il secondo biglietto da visita di uno chef. È la promessa che quell’esperienza fine dining, di solito chiusa in una sala, può arrivare intera sulla tavola di casa, tra il rumore dei coltelli che affondano e i “fammi solo una fetta sottile” che sappiamo già come andranno a finire.

Panettone classico perellini
 

In questo giro d’Italia dei grandi lievitati, le stelle Michelin fanno da bussola. Dai tristellati che spediscono panettoni come fossero piccoli scrigni di lusso, ai giovani una stella che lavorano il lievito madre con ostinazione artigiana, fino a chi ha cambiato per sempre l’idea stessa di panettone – come Gualtiero Marchesi – e a chi lo ha portato dentro alle boutique di moda. È una mappa sentimentale, prima ancora che gastronomica. Proveremo a tracciarla, seguendo il profumo di burro e agrumi che arriva dalle cucine dei grandi chef.

I tristellati: il panettone come estensione del ristorante

Niko Romito: l'essenza del dolce

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Nel mondo di Niko Romito il panettone è un esercizio quasi monastico: un grande lievitato “ripulito” da ogni orpello, in cui restano solo struttura, profumo, digeribilità. Dal Laboratorio Niko Romito, in collaborazione con il progetto PANE di Castel di Sangro, nasce un panettone tradizionale da 1 kg che è la traduzione perfetta del suo pensiero gastronomico: tre giorni di lavorazione, tre lievitazioni progressive, lievito madre vivo, farine selezionate, burro di panna fresca, scorze d’arancia candite, miele di agrumi, mandorle e vaniglia Bourbon. Sembra un panettone classico, ma basta l’olfatto per capire che dietro c’è la stessa ricerca che Romito applica ai brodi, alle verdure, al pane. Accanto, il pandoro nato per sostenere la Fondazione Veronesi e il pandolce – brioche alta declinata in più varianti – allargano la famiglia dei lievitati, ma il cuore resta quel panettone “neutro” solo in apparenza, perfettamente calibrato, che racconta l’Abruzzo, il lavoro quotidiano del laboratorio e l’idea, tutta sua, che il lusso oggi sia leggerezza.

Massimo Bottura, Gucci Osteria e l’impasto di Tiri

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A Firenze, il panettone entra letteralmente in boutique. Alla Gucci Osteria, Massimo Bottura affida a Vincenzo Tiri, uno dei lievitisti più amati d’Italia, l’impasto di un panettone alla fragola e cioccolato, morbido, lungo in bocca, vestito di un packaging che parla il linguaggio della maison. Accanto, una versione tradizionale più “borghese”, ma sempre costruita su una lievitazione paziente e ingredienti calibrati al millimetro. È l’incontro più esplicito fra alta cucina, moda e grande pasticceria: il panettone come oggetto del desiderio, ma anche come racconto di filiera – dal laboratorio lucano di Tiri alle scatole firmate Gucci.

Alajmo: la collezione che gioca con il Natale

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Da Alajmo il panettone non è un prodotto stagionale: è un lessico familiare, un modo di raccontare il gruppo attraverso impasti che ogni anno cambiano vestito ma non identità. In regia c’è Massimiliano, certo, ma la grammatica del lievito madre passa dalle mani dell’executive pastry chef Alessandro Pesavento, che orchestra una vera collezione: l’Arlecchino, classico all’olio extravergine con arancia e cedro canditi, leggero e rassicurante, quasi un panettone “in sottrazione” che gioca sulla pulizia dei profumi; il Moro di Venezia, cioccolato e marasche con sac-à-poche di crema da spremere sopra, pensato come un dolce da finire a casa, in un gesto un po’ infantile e molto ludico; il Ducale, interpretazione più ricca, tra gianduia e cioccolato fondente, limited edition che sembra un gioiello; il Mediterraneo, con limoni, capperi, olive e peperoncini canditi, che porta nel mondo dei lievitati l’idea di “viaggio salato” tipica della loro cucina; fino all’Olimpico – Cortina 2026, con mela e arancia candite, noci e cannella, pensato come panettone ufficiale dei Giochi Invernali: un impasto che profuma di neve e chalet, ma resta profondamente veneziano nel modo in cui bilancia dolcezza e spezia. Pesavento lavora sul dettaglio tecnico, Alajmo tiene lo sguardo alto sull’immaginario.

Uliassi: 350 panettoni come una serie numerata

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A Senigallia, Mauro Uliassi porta la sua ossessione per il mare e il territorio dentro un panettone in tiratura limitata: circa 350 pezzi, lavorati in oltre trenta ore, con doppia lievitazione e una filiera che parla marchigiano – farine locali, miele scelto, canditi artigianali – e un tocco di Mediterraneo spinto, come il bergamotto firmato Corrado Assenza. Il laboratorio dell’amico Francesco Pompetti, con la supervisione di Alessandro Brigatti e della pastry chef Rosita Mammone, lavora come una piccola manifattura di profumi.  Non è un prodotto da scaffale: è quasi un invito dentro la loro cerchia stretta, una cena a Uliassi che si prolunga fino a Capodanno.

Perbellini. Quando il panettone è una questione di famiglia

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Giancarlo Perbellini firma un panettone “di famiglia”, nato dal lavoro con i figli Ilaria, Alessandro, Andrea e i cugini Pierluigi e Laura nella storica Pasticceria Perbellini di Bovolone. Due le versioni principali: classico con scorze d’arancio, cedro e uvetta; e cioccolato con pepite a diversa percentuale di cacao, per un gioco di amaro e dolce. È un panettone che porta addosso il peso – e la leggerezza – di una tradizione dolciaria lunga decenni.

Cannavacciuolo: il Vesuvio in forno

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Al Villa Crespi tre stelle, Antonino Cannavacciuolo ha trasformato il panettone in una collezione. Dal laboratorio di Suno, guidato dal pastry chef Kabir Godi, escono i grandi classici – Milano, mandorlato, gianduia, limoncello, mela annurca – ma anche le variazioni che sembrano piccoli racconti di viaggio: pere, cannella e zenzero; integrale con cioccolato e frutti rossi; il “Vesuvio Red Velvet”, rosso, scenografico, acidulo il giusto, tempestato di pepite di cioccolato bianco e mirtilli rossi. Non mancano le versioni da 500 grammi, un’opzione vegana e perfino un lievitato salato alla pizzaiola, che porta la Campania sul lago d’Orta sotto forma di pizza travestita da panettone. Qui il lievitato diventa manifesto di una cucina che ama l’extra, la generosità, il “di più” che ti fa dire basta ma ti fa prendere un’altra fetta.

I Cerea: l’albicocca che profuma di Collio

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Dalla famiglia Cerea, a Brusaporto, il Natale sa di Panettone Albicocca e Collio Picolit: un grande classico nato come limited edition e diventato firma riconoscibile della “Da Vittorio Selection”. Accanto a lui convivono il Milano e il Cioccolato: burro, miele, vaniglia e frutta candita trattati con la stessa cura che i fratelli Cerea riservano a un pesce al millimetro.  Qui il panettone non è un gadget: è l’estensione naturale di una pasticceria di casa che negli anni è diventata brand, con negozi dedicati, laboratori e una distribuzione che resta però ragionata, non invasiva.

Il padre nobile: Gualtiero Marchesi e l’idea di panettone “giusto”

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Prima che i panettoni degli chef diventassero fenomeno, Gualtiero Marchesi aveva già messo la sua firma su una ricetta. Nel 1986 immagina un panettone “giusto”: non troppo alto, senza eccessi, con una lievitazione tripla e lentissima che punta alla consistenza perfetta più che all’effetto scenico. Oggi il Panettone Gualtiero Marchesi viene prodotto in 1.500 pezzi numerati, venduti dalla Fondazione: stessa idea di sobrietà, ingredienti freschissimi, nessun conservante e una tenuta di almeno quaranta giorni, in un equilibrio di burro, canditi e alveolatura che rifiuta gli estremismi. I proventi finanziano progetti culturali della Fondazione.  È un panettone quasi didattico, che ricorda a tutti – chef inclusi – che l’essenziale, se fatto bene, non ha bisogno di trucchi.

Nord Italia: tra design, memoria e precisione. Milano, capitale del lievitato d’autore

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Cracco

A Milano il panettone è di casa, ma gli chef lo stanno riscrivendo. Il risultato è un coro di voci diverse, dove il panettone non è mai “solo” un dolce, ma un pezzo del racconto identitario del locale.

  • Carlo Cracco propone una piccola collezione: dal Classico Milano alle versioni al caramello e pistacchio, ai tre cioccolati, fino alle “Delizie” con crema spalmabile in abbinamento, racchiuse in latte illustrate che ricordano la sua Galleria. È un panettone che ragiona come un piatto: stratificazione di consistenze, abbinamenti studiati, prezzo e packaging che dichiarano subito la fascia in cui gioca.  
  • Davide Oldani porta la sua “cucina pop” un passo oltre e la fa diventare, letteralmente, cartolina di Milano. Il suo panettone D’Om de Milan, in collaborazione con la Fabbrica del Duomo, arriva a casa con due biglietti inclusi per visitare il complesso monumentale e salire sulle terrazze. Un dono nel dono che trasforma una fetta di dolce nel pretesto per guardare Milano dall’alto e contribuire, al tempo stesso, alla cura del suo simbolo più iconico. Il dolce diventa chiave d’accesso alla città, esperienza gastronomica e culturale in un solo cofanetto.  
 
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  • Con Andrea Aprea, due stelle a Milano, il panettone è doppio: tradizionale con canditi, oppure alle albicocche del Vesuvio. Il packaging in carta di caffè riciclata racconta una sostenibilità estetica prima ancora che ambientale, coerente con l’idea di una cucina contemporanea e consapevole.  
  • Aimo e Nadia, Etro e il panettone come oggetto di moda. Il Luogo di Aimo e Nadia, con Alessandro Negrini e Fabio Pisani, lavora su due piani: da una parte il Panettone Artigianale Aimo e Nadia, classico milanese fatto con lievito madre vivo, lunga lievitazione, profumi di agrumi e vaniglia; dall’altra la collaborazione con Etro, che veste un panettone allo zafferano e cioccolato al latte in una latta decorata, quasi fosse una borsa da collezione. Tradizione e moda si intrecciano: l’impasto resta identitario e “serio”, il contenitore gioca con il desiderio, con il piacere di regalare e regalarsi un oggetto che non è solo da mangiare.
  • Andrea Berton resta sul versante del rigore. Il suo panettone – scorze d’arancia siciliana, cedro Diamante, uvetta australiana, vaniglia Bourbon – sembra riflettere la sua cucina: misura, precisione, scelta quasi maniacale della materia prima.
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Aimo e Nadia
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Horto, IYO, Griffa, Chieppa, Vergine: nuove traiettorie del Nord

  • Sempre a Milano, Horto (una stella e Stella Verde) trasforma il panettone in un progetto quasi artigianale: 350 pezzi numerati, confezionati in borse di tessuti naturali ricamati a mano dalla bottega pugliese Oriens. Il lievitato diventa un oggetto da custodire, un pezzo unico che parla di tempo, mani, telaio.
  • Da IYO, il pastry chef Kim Kyunjoon porta l’Estremo Oriente nell’impasto: yuzu e halabong, agrumi di Jeju canditi in Corea con tecniche artigianali, fava tonka e cioccolato al latte. Il panettone viene servito a fine pasto agli ospiti e venduto online: un ponte morbido tra Milano e l’Asia, dove il candito non è più solo arancia ma un atlante di sapori.
  • La linea si sposta più a Nord-Ovest con Paolo Griffa al Caffè Nazionale di Aosta, che firma un classico glassato alla nocciola e mandorla, figlio dei ricordi d’infanzia e di quel gesto infantile di rubare le mandorle dalla glassa torinese.
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Paolo Griffa
  • Sul mare ligure, lo chef Jacopo Chieppa (Equilibrio, stella Michelin) dedica la sua collezione di panettoni alla Liguria: dal classico con uvetta macerata nel Pigato al “Coccola” all’olio extravergine d’oliva con olive candite, cioccolato bianco e limone, fino alle versioni al chinotto di Savona e ai gianduia creativi.
  • In Brianza, Matteo Vergine con il suo Grow lavora su un panettone 100% naturale, lievito madre, senza conservanti, in sole 300 unità: classico o cioccolato e albicocca, racconta una cucina giovane, sostenuta anche dal riconoscimento di Miglior Young Chef Michelin 2025.  
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Piemonte: Vivalda e Del Cambio

In Piemonte, il panettone parla sia la lingua delle Langhe sia quella dei caffè storici.

  • All’Antica Corona Reale, Gian Piero Vivalda ha creato l’AtelieReale, un laboratorio dedicato dove nascono il Panettone Reale e le sue declinazioni: impasti a lunga lievitazione, farine macinate a pietra, nocciola Piemonte IGP, Moscato d’Asti, burro di filiera piemontese. L’idea è quella di un grande classico reinterpretato con la stessa cura maniacale che Vivalda riserva alle sue portate in carta.  
  • A Torino, il Ristorante Del Cambio affida alla Farmacia Del Cambio il compito di raccontare il Natale: il panettone basso e glassato, icona del locale, viene ogni anno ricalibrato. Nel 2025 la ricetta valorizza un’arancia candita selezionata da Corrado Assenza, dentro un impasto soffice e dorato in cui uvetta e scorze agrumate mantengono un profumo riconoscibile. La confezione guarda alla storia ottocentesca della Farmacia, mentre il laboratorio firma anche un nuovo pandoro in edizione limitata.
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Del Cambio

Centro Italia: mare, brace e memoria

Tra Adriatico e colline marchigiane, il panettone diventa racconto di fuoco e vento salmastro.

  • Abbiamo già incontrato Mauro Uliassi, con il suo panettone costruito su grani marchigiani e collaborazioni mirate. A Loreto, da Andreina, Errico Recanati porta direttamente la brace nell’impasto: burro affumicato con una miscela di sette legni – gli stessi che alimentano ogni giorno il fuoco in cucina – e canditi di produzione propria danno vita a un panettone che sa di fumo, di arrosti, di cenere buona. È un dolce che non si limita a “celebrare il Natale”, ma racconta la memoria della brace di casa Andreina.
  • In Friuli, Emanuele Scarello con Agli Amici 1887 firma un panettone alle albicocche macerate nel Picolit, miele, burro, vaniglia: un lievitato che è quasi un vino da mangiare, perfetto simbolo di una cucina che tiene insieme le campagne friulane e un respiro internazionale.  
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Agli Amici

È il Centro Italia che non ha paura di sporcarsi le mani di fumo e di vino, di aprire il panettone al dialetto del proprio territorio.

Sud, Costiera, Sicilia: l’albicocca pellecchiella e il mare negli alveoli

Se c’è una regione che ha fatto del panettone un romanzo corale, è la Campania.

La costellazione vesuviana

  • Alla Torre del Saracino di Vico Equense, Gennaro Esposito lavora da anni con il maestro AMPI Carmine Di Donna su una famiglia di panettoni che parte dal classico milanese e si allarga a versioni al cioccolato, amarena, arancia, albicocca, mele, uva e cannella. Un gioco continuo tra clima costiero e tradizione meneghina, dove la tecnica di Di Donna incontra la sensibilità mediterranea di Esposito.
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Gennaro Esposito 
  • Alla Taverna Estia (due stelle Michelin), Francesco Sposito firma un Panettone Vesuviano alle albicocche “pellecchielle”, simbolo della zona, con 36 ore di lievitazione e un impasto che sa di sole e agrumi.  
  • A Sorrento, sulla terrazza del Grand Hotel Excelsior Vittoria, Antonino Montefusco pensa a un panettone che racconti la stessa eleganza del suo ristorante Terrazza Bosquet: albicocche del Vesuvio nell’impasto classico e una variante arancia–cioccolato fondente, in formati da un chilo e da mezzo chilo per chi vuole solo “assaggiare” ma poi si pente.  
  • Peppe Guida, con l’Antica Osteria Nonna Rosa, realizza panettoni in laboratorio con il figlio Francesco: pochi pezzi, lavorati a mano, in gusti che vanno dal classico a melannurca, albicocca, amarena, caffè, cioccolato. Il tono è quello della cucina di casa elevata a sistema: niente effetti speciali, solo una freschezza che parla di forno acceso e famiglia.  
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Peppe Guida
  • Sulla costiera amalfitana, al Furore Grand Hotel, l’executive chef Vincenzo Russo firma il Bluh Christmas: tre versioni – classico, mandorlato, albicocca – che trasformano il panettone in un viaggio concentrato nei sapori della Campania, dall’uvetta all’arancia candita alla frutta secca.  
  • A Milano ma con anima partenopea, Roberto Di Pinto e il suo Sine propongono l’“O’ Panettone”: classico limone e zafferano, oltre a limited edition al triplo cioccolato e nocciola, matcha e pistacchio. L’impasto nasce nei laboratori di Sal De Riso in Costiera, dichiarato in etichetta: un ponte trasparente fra due firme del Sud.  
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Sicilia e oltre

In Sicilia, Ciccio Sultano mette il suo nome su panettoni che sembrano piccoli racconti barocchi: il tradizionale “Sicilia”, il Re Moro in edizione limitata, la versione al cioccolato. Tutti lavorati con lievito madre, senza conservanti, con una cura per la materia prima che è la stessa delle sue conserve e dei kit per la pasta Turiddu.  Qui il panettone profuma di agrumi, mandorle, cacao, ma soprattutto di quella idea di abbondanza allegra che la cucina di Sultano porta in tavola all’ORA di Ragusa Ibla.

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UN’ITALIA INTERA NELL’ALVEOLATURA

Guardati da lontano, questi panettoni sembrano tutti uguali: carta scura, cupole brunite, nastri e scatole. Ma appena affondiamo il coltello, l’Italia si apre in sezione: le Langhe e il Collio, il Vesuvio e la Costiera, le colline marchigiane affumicate di legna, il mare di Senigallia, la nebbia di Milano, le pietre barocche di Ragusa. Ogni chef, ogni brigata, ogni laboratorio ha scelto un dettaglio per raccontarsi: un agrume, un vino dolce, una glassa, una collaborazione con una maison di moda, un biglietto per salire sul Duomo, una borsa tessuta a mano. E il panettone, da dolce di famiglia, è diventato un nuovo linguaggio dell’alta cucina: democratico perché arriva sulla tavola di casa, radicale perché non ammette scorciatoie.Forse è questo il suo fascino: un grande lievitato è una questione di tempo, di cura quotidiana, di gesti ripetuti. È la parte meno spettacolare del lavoro di uno chef, quella che non finisce su un reel da 15 secondi. Ma è proprio lì, nelle ore di attesa fra un rinfresco e l’altro, che si capisce quanto una stella Michelin sappia – o non sappia – trasformarsi in calore domestico. E allora sì: quest’anno, prima ancora di prenotare un tavolo, possiamo scegliere un panettone e portare a casa un pezzo di tutte queste storie. La fetta sarà soffice, profumata, più o meno creativa. Ma se chi ha impastato ci ha messo davvero la testa, le mani e il cuore, basterà il rumore del coltello che affonda per ricordarci perché non smetteremo mai di volere un’altra fetta.

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