Un goloso mix di mascarpone, cacao e savoiardi al profumo di caffè: il tiramisù è il dolce italiano più popolare del mondo. Ma com’è nato e quali sono le sue varianti creative? Ecco la vera storia del celebre dessert a strati.
La vera storia del tiramisù
La cucina, si sa, è anche un luogo di illusioni, miraggi, fatamorgana. È spiazzante, per esempio, che il tiramisù, bandiera della pasticceria italiana, non esista da sempre, ma appena da qualche decennio. Tanta giovinezza per un successo sbalorditivo, se è vero che oggi viene annoverato fra i dessert più diffusi al mondo: “tiramisù” è il quinto vocabolo italiano più conosciuto all’estero e addirittura il primo nel comparto dolce, davanti nientedimeno che a sua maestà il panettone. Merito di un mix di fattori: la cremosità libidinosa, il bilanciamento fra dolce, grasso e amaro, il nome evocativo, non ultima la facilità di preparazione, senza necessità di attrezzi o cognizioni particolari.Il nome fornisce già un primo indizio sulle sue origini, visto che deriva dal veneto “tirame su”, per via delle virtù energetiche, corroboranti, euforizzanti. Ed è proprio a Treviso che la ricetta sarebbe stata ideata nella seconda metà dell’Ottocento, quale antecedente di una preparazione contadina chiamata “sbatudin”, ovvero il classico tuorlo sbattuto con lo zucchero per le merende dei bambini, delle puerpere e dei convalescenti, variato di casa in casa, di volta in volta con caffè, vino, liquore, biscotti, panna o cacao. Sono i “biscottini puerperali” tipici di Conegliano, descritti da Pellegrino Artusi nell’edizione datata 1902 di La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Per ingredienti tuorli, zucchero, cacao e biscotti, da consumare al cucchiaio sul modello della zuppa inglese.
Manca ancora qualche tassello, tuttavia. Per la precisione il mascarpone e il caffè. Ma come sempre non ci sono certezze sul momento esatto e sugli artefici dell’evoluzione. Secondo la leggenda, potrebbe trattarsi della maîtresse di una casa di piacere trevigiana, la Cae de oro, che negli anni ’30 avrebbe messo a punto la ricetta per rinvigorire i clienti dopo gli sforzi nell’alcova, con evidente doppio senso. I primi professionisti a proporre il dolce sarebbero poi stati i gestori di una locanda di Piazzetta Ancilotto, che non esiste più.