Un agricoltore realista: “Se tu fai un prodotto alimentare che non incontra il gusto del tempo in cui vivi, non vai da nessuna parte. È la natura che comanda. Io la rispetto, devo farmela amica, devo adattarmi a lei” e un sostenitore della natura racconta il Perarmando, barolo annata 2017.
Il Vino
Marco Parusso è un fiume in piena che raccoglie e rimescola tutto. All’inizio della nostra conversazione sembra già estrarre gli arsenali contro i naturalisti spinti.“Bisogna rendersi conto che stiamo lavorando contro natura, in natura non c’è vino. Ma aceto che puzza, e non ci sono le vigne ma i boschi. Tutti descrivono la natura come una cosa chiara, fresca e semplice. Invece no, è il contrario. Chi dice che lavora in maniera naturale può soltanto fare un prodotto difettoso, perché la natura è tua nemica. Se sbagli qualcosa, lo paghi”.
Poi con un colpo di coda capisci quanto un produttore come lui è innanzitutto un agricoltore realista:“È la natura che comanda. Io la rispetto, devo farmela amica, devo adattarmi a lei”.
Marco non aveva nessuna intenzione di fare vino. Galeotto fu l’incontro con due pilastri che lo spinsero a intraprendere la loro stessa strada. “La cosa è stato un colpo di fulmine, mio fratello mi ha presentato Domenico Clerico e Alfredo Roagna, 10 anni più di me, due tipi che erano andati già via dalla campagna anni prima. Poi ci erano tornati, con la sfida di fare il vino buono, copiando la Borgogna. Domenico in particolare mi ha spronato a provarci, e mi ha convinto. Io che pensavo solo agli aspetti più duri, perché vigna voleva dire fatica, poca soddisfazione. E mio padre non aveva nemmeno un trattore”.
Non è che il Barolo non esistesse prima degli anni’80, sia chiaro. Veniva esportato all’estero già a metà ‘800. Tuttavia la generazione dei Clerico e dei Roagna è stata quella che ha cercato una strada nuova, pulita, che incontrasse il gusto dei contemporanei.
“Se tu fai un prodotto alimentare che non incontra il gusto del tempo in cui vivi, non vai da nessuna parte. Come se io oggi ti facessi mangiare la carne cruda che si mangiava negli anni ‘70. Vorrei vedere chi ha il coraggio di metterla sotto i denti: quasi nera, sapeva solo di aglio, la carne quasi non la sentivi. Io ho iniziato con una visione moderna, per cui bisogna fare un vino tecnicamente buono. Oggi si parla solo di tradizione, vitigni e terroir. Il buono quasi non è più contemplato. Io sono nato quando Slowfood diceva: buono, giusto e pulito. Buono era al primo posto. Posso dirti che non ho fatto questo trattamento, che non ho usato questa tecnica ecc. ma se poi ottengo un prodotto con dei difetti cosa faccio?”
Se ora state pensando a una campagna interventista, fermatevi un attimo. Parusso ha un suo approccio preciso che nasce dall’osservazione delle sue piante, dalla diversità in base a dove crescono e agli agenti con cui entrano in contatto. La vite ha bisogno di diversi nutrienti in base alla sua età, al suo terroir, alla natura circostante. La vite è una pianta a cui dare dinamicità, per questo la relazione è faticosa e al contempo mai noiosa. Perché non basta applicare uno schema, puoi anche farlo, ma la vite in questo modo non darà il massimo e non ti renderà mai fiero di lei.
“La vite è come un bambino, selvaggia. Devi gestirla, devi inquadrarla, aiutarla e stimolarla. Una pianta da giovane ha bisogno costantemente di mangiare, ogni anno. Una pianta più anziana ha bisogno di più minerali e vitamine. Io creo una dieta personalizzata per ogni appezzamento, lo faccio da trent’anni. Osservando le vigne a luglio vedevo colori diversi, nelle foglie. Da quella osservazione ho capito che le piante avevano necessità diverse, per alcune il nutrimento andava calmierato, per altre spinto. Dinamicità è il concetto che contraddistingue il mio lavoro, messo a punto in più di 30 anni. Una pianta va allenata, mettendola in concorrenza con l’erba e la vegetazione. La provoco sulle radici superficiali, in modo che non sia una pianta stanca. Una pianta non deve invecchiare deve maturare. Anche noi dobbiamo essere dinamici. Per me la tradizione stessa è dinamica”.
Barolo Perarmando 2017, la degustazione
E ora veniamo all’unico Barolo prodotto per l’annata 2017, il Perarmando. Annata dura, anticipata, con gelate intorno ad aprile e grandi sbalzi termici. Condizioni che hanno fatto scegliere a Marco di mettere insieme un quartetto di Cru piuttosto che far suonare 4 solisti un po’ azzoppati. Quest’anno ricorreva anche il cinquantesimo della nascita della Parusso, da qui il nome del vino, dedicato al padre.
All’apertura profumi intensi, quasi esagerati, di frutti di bosco maturi e succosi, come la mora e il mirtillo. Dopo un po’ di riposo, il dinamismo di chi lo fa, fa capolino anche nel vino lanciando strali di bergamotto e sambuca. Dell’agrume la scorza e la forza, la tensione. Un profilo che mano a mano va assottigliandosi senza però destare segni di magrezza. Un Barolo slanciato, dal colore intenso, che ama la luce, fino ad arrivare a non farla passare facilmente. In bocca è chinotto, medicinale. Il tannino irraggiante dei sorsi dei primi giorni, si assottiglia e si rilassa nel tempo. C’è rispetto della nebbiolitudine? Del nebbiolismo? Sicuramente del suo padrone, che non ricama, che rincorre, che rimprovera. Un barolo che mostra già il suo ritorno al futuro, la sua età matura anche nel pieno della giovinezza.