Latte di pascolo, domanda alle stelle e massima freschezza: la fuga dall’Italia è talvolta anche dei casari, che iniziano a tracciare una terza via fra made in Italy e italian sounding, coniugando know-how tricolore e materia prima locale.
La Notizia
Si parla tanto di italian sounding: tutte quelle produzioni che taroccano origini e denominazioni italiane, surfando la fama della nostra enogastronomia. Può anche succedere, tuttavia, che artigiani italiani si trasferiscano all’estero per fare qualità, contando magari su materie prime di eccellenza. È il caso della mozzarella, formaggio quanto mai iconico del Belpaese, trapiantato dal blu caprese alle brume del Regno Unito.Ne scrive l’Independent, decantando alcune fra le migliori mozzarelle del mondo, confezionate per l’appunto in Albione da casari italiani “disillusi”. Per esempio, Claudio Sarfati di De Luca, caseificio di Latina alla sua terza generazione, che si è deciso al grande passo a causa della qualità sempre più scadente del latte italiano. E questo “nonostante – scrive il giornale – nell’immaginario popolare ogni cosa edibile debba essere migliore in Italia”. Dice Sarfati che da noi “l’agricoltura si sta estinguendo: oggigiorno approvvigionarsi di latte bio è un’impresa. Mentre quello di fattorie attente al benessere animale, le cui mucche si alimentano al pascolo, è abbondante in Gran Bretagna, per quelli che possono permetterselo. La maggior parte del latte ‘italiano’ proviene da allevamenti intensivi in Germania, Ungheria e Polonia, dove è molto meno caro. Il latte bio, soprattutto la panna bio sono una materia prima estremamente costosa e molte aziende tendono ad acquistare prodotti convenzionali e più economici. Ma per noi la provenienza è cruciale”. Da qui il trasferimento a Wiltshire, a un tiro di schioppo dalla fattoria bio che produce il latte per mozzarelle e burrate. Qui, sottolinea Sarfati, che è vegetariano da 5 anni, le mucche scorrazzano liberamente su una superficie di 250 ettari, che è un paradiso della biodiversità, e vengono munte solo una volta al giorno, il resto va ai vitelli, che non sono nutriti a surrogati.
Il risultato è un tripudio di sapore, preannunciato dalla colorazione giallastra conferita dal latte di pascolo, che cambia ogni giorno: una sfida per il casaro. “Puoi strappare un produttore di mozzarella dall’Italia, ma non puoi strappare l’Italia da un produttore di mozzarella. De Luca ha prodotto formaggi per 60 anni a Latina. Abbiamo un ricco know-how familiare”, conclude.
C’è poi Simona Di Vietri di La Latteria, a Acton, che si è fatta le ossa con il cugino nella sua azienda a nord di Milano. Le mucche sono le stesse, dice, solo che le sue si alimentano al pascolo e non in stalla. E i risultati si sentono, sono anzi apprezzati dal gotha della cucina britannica, da Michel Roux Junior a Ollie Dabbous e Jason Atherton. Il mercato per la mozzarella e la burrata è fiorente nel Regno Unito, per decidere di trasferirsi è bastato collegare gli atout dei pascoli alla domanda, ancor più impetuosa dato il salto di qualità rispetto alle confezioni dei distributori. In questo modo i britannici avrebbero potuto condividere la sua esperienza di bambina in Italia, senza viaggiare, con tutti i vantaggi del latte locale per l’economia e per l’ambiente. Prodotto nella notte, il formaggio parte infatti alle 7 per i migliori ristoranti di Londra, in tempo per il servizio del pranzo.
C’è poi Tommaso Valenzano, che prepara mozzarelle e burrate live a Borough Market, oltre a lavorare come consulente nella casearia. Le sue prestidigitazioni nel tirare e modellare la cagliata calda allo stand di Bath Soft Cheese attirano turisti e appassionati. Così il titolare Hugh Padfield racconta come l’ha arruolato: “Quando l’ho incontrato, mi ha spiegato che la caratteristica principale dei formaggi come la mozzarella è la freschezza; che mentre la cagliata può essere trasportata in un giorno, dovrebbe essere lavorata più vicino possibile al mercato. Sarebbe come comprare un pane di due giorni. Importando dall’Italia e passando attraverso i distributori e i negozi, trascorrono già cinque o sei giorni. Ma ne basta uno perché gusto e testura cambino”.
Fonte: Independent - Foto di Francesca Moscheni per Independent