World top

Alchemist, 2.400€ per uno dei menu più visionari del mondo: l’apice creativo di Rasmus Munk

di:
Andrea Cuomo
|
copertina alchemist 2025 12 13 00 09 24

Una cena di quasi sei ore nel ristorante di Rasmus Munk alla periferia di Copenaghen. L’esperienza gastronomica più folle e cinematografica del mondo, tra formiche, occhi, cuori, farfalle, mille lingue parlate e una quantità di stimoli per gestire i quali cinque sensi non bastano.

Il ristorante

Il più grande spettacolo dopo il Big Bang e dopo tante altre cose, se è per questo. Uno show riservato a cinquantadue persone ogni sera per quattro sere a settimana, dal martedì al venerdì, e quindi per 10mila coperti all’anno, chi c’è c’è. Alchemist – di questo parliamo, c’era da dirlo? - si trova a Copenaghen, in una zona periferica che sembra una specie di fine del mondo. Capannoni industriali, ciminiere, fango per le strade, in fondo si intravede Copenhill, il termovalorizzatore trasformato in pista da sci. Refshaleøen, si chiama tutto questo, e a scriverlo lo scrivo, ma a pronunciarlo mai mi azzarderei. Uno scenario decisamente inconsueto per una delle destinazioni gastronomiche più ambite del mondo, che si giustifica con il fatto che in questo enorme parallelepipedo che un tempo ospitava il Royal Danish Theatre c’è lo spazio adeguato per l’incredibile macchina scenico-gastronomica ideata da quel diavolo di un Rasmus Munk.

alchemist 2 2025 12 12 23 57 40
 
Rasmus Munk kitchen 2025 12 12 23 57 30
 
Dome with eyes wide 2025 12 12 23 57 27
 

Le cose da dire sono tante, non perdiamoci in chiacchiere. La mia prenotazione è per un mercoledì, qualche giorno prima mi arriva una mail che sembra un atto giudiziario che mi convoca laggiù per le 17,45, orario da tè coi pasticcini. E io, temendo di incorrere in chissà quale conseguenza, e malfidente sugli invece impeccabili trasporti pubblici copenaghesi, arrivo anche con dieci minuti di anticipo. Entro e mi accoglie un ragazzo italiano in una camicia verde un po’ elfica. Si chiama Paolo e scoprirò dopo che l’incontro con lui non è per niente casuale. Lui è il mio uomo per la serata, il cameriere personale che mi guiderà per tutta l’esperienza. Perché da Alchemist ogni ospite ha a che fare con qualcuno che parli la sua lingua, per evitare ogni “lost in translation” in quella che si dimostrerà un’epopea indimenticabile. Immagino la riunione la mattina dello staff di sala per l’assegnazione dei tavoli, un sudoku di lingue e skill per accoppiare al meglio la guida agli ospiti, Caronte a Dante. E scoprirò che l’approccio di Paolo (“Bene arrivato, fa freddo?”) non è solo cortesia di circostanza ma un modo per testare che io sia veramente italiano e non sia soltanto un equivoco (pare che ogni tanto accada).

Lounge 4 2025 12 12 23 57 29
 
Rasmus Munk 4 2025 12 12 23 57 30
 

La prima mossa è che Paolo mi suggerisce di entrare in una piccola stanza buia e di godermi l’attimo, consistente in video in cui la storia del mondo viene rappresentata in modo vorticoso e frenetico con il buon Rasmus con il suo faccione barbuto e rossiccio compare sulla scena dei principali accadimenti del mondo, da Cheope a Trump passando per Robespierre. Un bel ripasso di storia. Poi vengo scortato verso una sala dominata da un grattacielo di bottiglie e che affaccia su una cucina-laboratorio a vista. Lì mi vengono portato un piccolo shot a foggia di margherita, che rappresenta un omaggio alla Danimarca e subito dopo un cocktail dal nome Anthill (formicaio) dove viene sfruttata la naturale acidità e balsamicità degli operosi insettini (di cui Spora, il distopico laboratorio dall’altra parte della strada, ha un allevamento) in infusione in un distillato di cereali. E una formica è lì, sul bordo del bicchiere. Io ovviamente bevo dall’altra parte. Mi viene portato un tablet: è la pazzesca carta dei vini, un piccolo prodigio di grafica applicata e di agibilità e che consente, muovendosi attraverso una solta di sistema solare, di consultare l’infinita proposta senza alcuna noia. E infatti io gioco felice come un bimbo.

Wine Cellar 3
 

I piatti

Poi iniziano ad arrivare le prime “impressioni” (così vengono definiti qui i piattini che compongono l’esperienza). Una piadina di glutine che cuocendosi si gonfia e sopra la quale c’è una tartare di scampi, crema di mandorle e caviale. Poi un altro shock: una farfalla che rappresenta una riflessione sull’utilizzo di proteine alternative nella nostra dieta. Fa un po’ impressione, ma la farfalla che giunge da una serra dove è allevata per il consumo umano e che viene liofilizzata risulta croccante e gradevole e una chips di topinambur e un formaggio a coagulazione naturale rendono il tutto meno straniante. Ancora: dopo una sfera di caviale che mi viene presentata direttamente da Rasmus, nella mia prima location arrivano anche una Laksa, una tipica zuppa asiatica qui reinterpretata come uno shot freddo e viscoso di latte di cocco e cavolo rosso fermentato; una Omelette perfettamente affusolata, frutto di un lungo lavoro di Munk su questo tipo di preparazione e su una sferificazione inversa, farcita di tuorlo d’uovo e Comté e sopra pancetta di Joselito e tartufo.

Perfect omelet
 

Un Bikini sandwich che nasce dal “guilty pleasure” di Rasmus per questo street food barcellonese che si presenta come un mochi criofritto farcito con gruviera e jamòn Joselito del 2019 e una spennellata di tartufo. Beach boys. Infine un cocktail solido sotto forma di un disco bianco che gioca sul tema del vodka tonic con olivello spinoso e una meringa di acqua tonica. Bùm. Sono le 18,35, sono entrato da un’ora e già ho collezionato stimoli come in sei mesi di ristoranti italiani. E ancora il bello deve venire. E il bello è nella sala principale, dove il buon Paolo mi accompagna. Un grande ambiente, dominata da una cupola (il “dome”) dove vengono proiettati a ciclo continuo video immersivi e spiazzanti realizzati da un team di creativi che collaborano con Munk e che sviluppano temi legati alla sostenibilità, all’impatto dell’uomo sul pianeta. Sotto, un lungo bancone serpeggiante dove si accomodano gli ospiti circonda l’area dove si muovono gli chef e i camerieri.

alchemist 1 1 2025 12 12 23 57 27
 
Under Water 2 2025 12 12 23 57 30
 
Heartbeat 2025 12 13 00 06 57
 

Qui gli eventi precipitano e la quantità di circostanze che si verificano fa perdere la nozione del tempo e della geografia. Mi arriva prima di tutto un bicchiere di un Riesling della Saar di Egon Mueller che accompagnerà i primi tre piatti, tutti a base di pesce. Il primo è l’orwelliano 1984, il celeberrimo occhio in cui la pupilla è realizzata con astice, uovo marinato in miso, caviale e un gel fatto dagli occhi del merluzzo. Un piatto che letteralmente mi guarda quasi oscenamente. Poi uno Shabu shabu di seppia immerso con dei coralli di topinambur in un brodetto di acqua di cozze e patate e del formaggio August danese. E ancora un Lobster roll (altra passione insana di Munk): un astice che arriva dalla parte Ovest della Danimarca e che viene spacchettata in una finta chela fritta con dentro un’insalata di sé stesso e una salsa con burro e rafano e polvere di pomodoro. Scarpetta incoraggiata e (ovviamente) fatta.

Lobster claw
 

Piccola pausa. Occhi, papille e orecchie finora non hanno avuto pausa. Fumo una sigaretta e Paolo mi tiene compagnia e mi protegge con un ombrello. Poi, tornati dentro, ecco una Kombucha di tè dello Yunnan che scorta un piatto di plastica: una riflessione sui danni che questo formidabile materiale fa nei mari, tutto ciò rappresentato da un volutamente fastidioso agglomerato di alghe e amido che “sporca” una guancia di merluzzo fritto in una pastella fatta di collagene di pesce e dentro del gel di formaggio.

Plastic Fantastic
 

Ecco un piatto di riso e granchio ispirato a Honk Kong fa da quasi rasserenante preludio alla prima “impressione” carnivora (e arriva anche un Nuits Saint-Georges): un Bacio con la lingua danese, che consta in un girello servito con rose, mirtilli e fiori eduli su un cucchiaio lingua che costringe a un po’ di petting sconcertante. Ma che bontà. Poi un momento di involontario egocentrismo. Mi arrivano quattro cialde decorate in modo picassiano che devo intingere in una crema che riproduce una mia foto, presa chissà da dove (non fornita certamente da me) che mi garantisce il discutibile privilegio di mangiare me stesso. Cannibale per cinque minuti, si sopravvive anche a questo. Sono le 20, sono trascorse già due ore e 25 minuti e siamo ancora a metà strada. Arriva il cibo per il pensiero, un cervello, in varie forme, una mousse contenuta in una glassa di ciliegia, una chips liofilizzata. Il tutto servito in un piatto in cui viene riprodotto un cervello umano che pulsa. Colpisce e colpisce ancora di più che per la cultura scandinava mangiare parti della testa è un tabù che Munk si è incaricato di sgominare.

Impression Food for thought
 

Mi arriva un Barbaresco Faset di Flatcher, un produttore australiano di casa in Piemonte. Mi terrà compagnia nell’affrontare un Piccione dry aged e un pane in cui il lievito è utilizzato in una salsa che viene sovrastata da una rosa di Joselito. Quindi un Mouton-Rotschild del 1999 che scorta il piatto Hunger, una meditazione sulla fame (paradossale ma nemmeno troppo) e sullo spreco di cibo, una carne di coniglio (animale poco dispendioso in termini ambientali) marinato per 24 ore, e servito con harissa speziata e fiori su una sorta di scheletro di coniglio di acciaio in forma di sfoglia da arrotolare.

alchemist hunger
 

Altro vino, il Def Red dal Rodano, e altro piatto narrativo, Wiped Out, che riproduce la visiera del casco di Rasmus quando da giovane andava in giro con lo scooter e dopo la trovava piena di moscerini e insetti. Ora questi insetti sono diminuiti del 70 per cento e lui li rimpiange riproducendoli come garum di vermi e insetti preferiti da “pulire” con una spatolina. Ancora, una Zampa di gallina che vuole denunciare le condizioni di vita di questi volatili allevati in spazi carcerari. Infatti la zampa (vera e ricoperta di un soufflé di pollo, gamberetti e curry verde, fritto, glassato e ricoperto di patate soffiate ed erba cipollina e gusci di gamberetti.

Impression three Alchemist impressions
 

E’ il momento del predessert, ispirato alla Thailandia e ai suoi noodles, qui riprodotti con farina di tapioca e immersi in tè bianco e goccioline di fiori bianco e una sfera di latte condensato. Poi un Kefir a basa di vaniglia e i Riflessi che si ispira al gelato Eskimo (scomparso per la legge del politicamente corretto) con mirtilli, cioccolato e vaniglia utilizzati per creare una sfoglia quasi elettronica che viene attraversata da un arcobaleno. Poi sopo una cialda che riproduce l’Urlo di Edvard Much ecco un altro piatto hardcore, il Cuore con il quale Munk ha contribuito a superare il tabù della donazione di organi in Danimarca (un tempo il piatto era accompagnato da un modulo con cui il cliente poteva diventare donatore). Ognuno donando può salvare otto vite e otto sono quindi i sapori: ibisco, oliva nera, ciliegia, sangue di renna e altri.

arty dishes text space
 

Ancora dolce: uno straordinario Cioccolato realizzato con gli scarti della lavorazione della birra Carlsberg che Spora ha magicamente trasformato in cacao senza utilizzare un singolo chicco della magica pianta.Sono le 21,46. Sono in questa macchina della meraviglia da 4 ore e 11 minuti. Paolo mi porta dei sovrascarpe da indossare e mi invita a seguirlo. Mi trovo in una stanza bianca abbacinante dove una zompettante ragazza anch’essa di bianco vestita mi invita a prendere un secchiello di una vernice dolce che posso alternativamente assaggiare e usare per dipingere i muri già pieni di appetitosi graffiti. Una parentesi onirica, l’ennesima. Poi un passaggio nella cucina, dove vengo a conoscenza della straordinaria plancia elettronica che funge da scatola nera del servizio. Ogni cliente qui è schedato per lingua, allergie, richieste speciali, caratteristiche speciali conosciuti prima o scoperte durante il servizio: sono anche elencati tutti i piatti serviti a ciascuno e i relativi feedback. Il grande fratello da mangiare si chiama “Alchemist Dome Controler”.

MaryElizabethHospital 23 2025 12 12 23 57 29
 

 Prendo un ascensore con l’immancabile e finisco nel bar, da cui si domina tutto il sistema. Ricevo qualche petit fours che rispetto al nubifragio di emozioni finora subito rappresenta lo stretching dopo la maratona. Ricordo un biscotto che riproduce un flan portoghese danesizzato con tuorlo di uova e grasso d’anatra. Poi una mandorla caramellata e altre amenità, ma sono stanco di prendere appunti, mi perdonerete. Esco alle 23,06 dopo grandi saluti con Paolo (non trascorrevo così tanto tempo con una persona da quando ero sposato) e dopo 5 ore e 31 minuti di un viaggio incredibile. Io, che allo scoccare della seconda ora di una cena stellata media già scalpito, mi sono divertito come un pazzo. Il menu che ho mangiato è quello che celebra i primi dieci anni di Alchemist, nato in un piccolo locale del centro e poi trasferito in periferia a cercare spazio e gloria, ma qui non c’è bisogno di anniversari. La festa è ogni giorno. Una gioiosa macchina per godersi la quale cinque sensi non sono abbastanza.

Impression Tongue Kiss
 

Contatti

Alchemist

Refshalevej 173C, 1432 København, Danimarca

Telefono: +45 31 71 61 61

Sito web

Ultime notizie

mostra tutto

Rispettiamo la tua Privacy.
Utilizziamo cookie per assicurarti un’esperienza accurata ed in linea con le tue preferenze.
Con il tuo consenso, utilizziamo cookie tecnici e di terze parti che ci permettono di poter elaborare alcuni dati, come quali pagine vengono visitate sul nostro sito.
Per scoprire in modo approfondito come utilizziamo questi dati, leggi l’informativa completa.
Cliccando sul pulsante ‘Accetta’ acconsenti all’utilizzo dei cookie, oppure configura le diverse tipologie.

Configura cookies Rifiuta
Accetta