Attualità enogastronomica

Francis Mallmann, il big chef bocciato dalla critica: “Ma a differenza vostra mi sporco le mani“

di:
Silvia Morstabilini
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L’inaugurazione del nuovo Faena New York Visionary Art & Modern Luxury Hotel, avvenuta lo scorso 9 settembre al 500 West 18th St, aveva attirato l’attenzione della stampa internazionale. L’atmosfera glamour — con ospiti come Cher e Sting — e l’inconfondibile stile di Alan Faena promettevano un nuovo indirizzo di riferimento per l’ospitalità di lusso. Tra le quattro proposte gastronomiche del complesso, il ristorante La Boca, firmato da Francis Mallmann, era il più atteso. Ma non ha convinto tutti. A sollevare scalpore è stata soprattutto la recensione impietosa di Helen Rosner, critica di punta di The New Yorker, che ha dedicato al locale un articolo severo e tagliente.

Chef in copertina: Peter Buchanan Smith

“La Boca è puro humo, nada de fuego”: il titolo che dice tutto

Rosner racconta di aver visitato il ristorante tre volte, provando piatti diversi a ogni occasione. Il verdetto? Una critica “dura, contundente”, sintetizzata nel titolo: “La Boca è puro humo, nada de fuego”, come riporta La Naciòn. La critica sottolinea una contraddizione centrale: Mallmann, noto per il culto della cucina a fiamma viva, a New York è costretto a rinunciare al fuoco perché le normative cittadine vietano i fuochi a legna. Di conseguenza, secondo Rosner, la sua poetica del fuoco “si esfuma”, si dissolve, perdendo identità e forza espressiva.

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Tra mito e realtà: il personaggio Mallmann

Nel testo, Rosner ricostruisce la figura dello chef argentino, definendo la sua parabola una sorta di “macho fairy tale”: dalla formazione classica europea al ruolo di apostolo del primitivismo culinario, fino all’impero di nove (o forse dieci) ristoranti e alle esperienze ultra-esclusive nella sua isola patagonica, La Soplada. Ricorda anche le celebri Fire Dining Experiences, che possono superare i 34.000 dollari a persona. Un’introduzione che celebra il mito, ma prepara allo scontro con la realtà newyorkese di La Boca.

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Un ambiente sontuoso che non salva i piatti

Rosner descrive La Boca come un luogo di grande fascino visivo: velluti rossi, rose fresche, luci soffuse, dettagli dorati. Un tableau lussuoso e scenografico. Ma una volta iniziata la degustazione, l’incanto sembra svanire. “La Boca è bello, costoso, carismatico, ma pessimo nel gusto”, scrive senza mezzi termini.
Le empanadas vengono criticate duramente; il rib eye da 235 dollari non soddisfa; il piatto Tower, una costruzione verticale di filetto e patate croccanti, è definito “l’anticlimax dell’anno”. Qualche apprezzamento arriva per La Parrillada, anche se “manca di sale” e il punto cottura non è rispettato. Critiche anche alle celebri patate dominó e alla humita. La domanda finale è spiazzante: “Mallmann sa cosa sta succedendo qui? Gli piace?

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Un giudizio netto, senza ripensamenti

La conclusione di Rosner è drastica: Non voglio tornare a La Boca, e in coscienza non posso consigliarlo a nessuno”.
L’unico elemento salvato è il servizio, definito “genuinamente adorabile”, nonostante l’imbarazzo dei camerieri nel rispondere alle domande sulla provenienza delle carni — non argentine, ma texane.

Mallmann risponde: il valore del fare rispetto al giudicare

La replica dello chef argentino arriva sui social, senza citare né il ristorante né The New Yorker. Pubblica una semplice immagine nera con la scritta “my life” e un brano del celebre discorso del 1910 di Theodore Roosevelt, “The Man in the Arena”, che celebra chi lotta e rischia, contrapponendosi ai critici che parlano da fuori. Una scelta coerente con la sua filosofia. Mallmann, infatti, ha sempre dichiarato di non credere nelle classifiche: ha abbandonato i 50 Best nel 2013 e ha affermato che, anche se la Guida Michelin gli assegnasse una stella, lui non la accetterebbe.

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Tra leggenda e polemica, il mito del fuoco continua

La controversia sollevata da The New Yorker non sembra intaccare l’aura di Mallmann, figura iconica della cucina mondiale. Ma evidenzia una tensione profonda: cosa resta dell’“apostolo del fuoco” quando il fuoco non può bruciare? Una domanda che, al di là delle polemiche, alimenta il dibattito gastronomico e mette alla prova il rapporto tra identità, tecnica e contesti culturali differenti.

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