Una nuova fase, che sa di pura accoglienza ma anche di sensazioni taciute. È la casa milanese di Eugenio Boer e Carlotta Perilli
Sono trascorsi quasi sette anni da quando, nel 2018, Eugenio Boer ha aperto il suo ristorante a Milano - [bu:r]. Oggi lo chef italo olandese, forte del successo consolidatosi, si rinnova e si racconta in un linguaggio più maturo e consapevole.
Il ristorante: un nuovo respiro per [bu:r]
Il ristorante milanese di Eugenio Boer - insieme alla moglie e maître Carlotta Perilli - nel cuore del quartiere Quadronno, vive in un luogo che sa di nuovo. Di un libro che si sfoglia per la prima volta, pur conoscendone già i protagonisti. Di una bella casa con i suoi mobili nuovi, di cui si ha quella cura preziosa.

Non è soltanto per il nuovo design firmato dallo studio kick.office, che ne ha ridisegnato gli spazi secondo una sensibilità tattile e cromatica più calda, ma tutt’al più perchè questo rinnovamento riflette una precisa idea di cucina e di vita: un continuo equilibrio tra radici e ricerca. Gli interni, reinterpretati con la guida di Mario Abruzzese e su consiglio dell’architetto e amico Leandro Fedele, parlano la lingua della terra e delle vibrazioni cromatiche: toni caldi, superfici morbide, volumi puliti. Il massello di faggio dei tavoli firmati TON e la moquette color porpora e terracotta creano un’atmosfera raccolta, quasi domestica, dove la luce riveste con naturalezza la sua tridimensionalità, da mattina a sera. È un rifugio sensoriale dove tutto - dalle texture ai profumi - prepara il palato all’esperienza che verrà.


Boer e Carlotta Perilli qui hanno voluto costruire non solo un ristorante, ma una casa del gusto e dell’accoglienza, in cui i suoni si fanno morbidi mentre si calpesta la soffice moquette. Boer però si destreggia bene tra il ritmo lento del piacere a tavola e i passi spediti di Milano. Ed è così che la novità più recente, l’apertura a pranzo, prosegue la filosofia dell’incontro e calca la mano sull’idea vincente del rompere le righe: un menù settimanale, leggero e accessibile, che porta la cucina di [bu:r] anche nel pieno della giornata milanese, incastrandosi alla perfezione in una formula da light lunch (tre portate a 45 euro) con la stessa cura della cena.

Il percorso di una leggerezza conquistata
Eugenio Boer è uno di quegli chef che sembrano parlare attraverso i contrasti. Italo-olandese, cresciuto fra culture e sapori diversi, ha sempre portato con sé la lezione della memoria: quella del cervo, del risotto di Nino Bergese e del piccione, tutti piatti che si ritrovano nel suo menu “I Classici”.


Con “Le Aromatiche” invece, il suo menu più recente, la sua naturale capacità di estendersi oltre diventa racconto di evasione, scoperta, ma soprattutto omaggio alla natura dimenticata. Non solo un cambio di prospettiva, ma un ribaltamento completo della gerarchia del gusto che fa però capo (in questo caso) ai vegetali e al mondo del mare: la materia prima nobile al centro del piatto indietreggia in favore dell’aroma che la circonda, la suggestione invisibile diventa protagonista principale e si palesa non nell’immediato, ma assaggio dopo assaggio.

La cucina di Boer è sempre stata un “atto di ascolto” e in questo menu, nato poco più di un anno fa e già giunto alla sua quarta evoluzione stagionale, l’ascolto è diventato metodo. L’ispirazione non nasce più da un ingrediente principale ma da una spezia, un’erba aromatica o un sentore. È una cucina che parte dall’olfatto, che stimola i ricordi e che, solo alla fine, arriva al palato: in fondo, cos’è un sapore se non una sensazione? Forse è anche una metafora personale: dopo anni di intensità e riconoscimenti, Boer sceglie la leggerezza consapevole.

I piatti: quando il profumo diventa voce
Ogni piatto porta il nome della sua essenza: levistico, pepe lungo di Java, galanga, kaffir lime, cardamomo verde. Ogni preparazione è un piccolo racconto costruito attorno a una fragranza, che si insinua e si amplifica, cambiando voce nel corso del racconto e lasciando il suo eco sul finire. Si tende la mano sull’aperitivo di benvenuto - un tortello mantovano classico al tovagliolo, che nasconde un ripieno tiepido di zucca, amaretto e la loro mostarda. Si accompagna ad una focaccia ai sette cereali e ad una tisana di verdure con olio di semi di zucca. È l’omaggio alla tradizione, il filo che ancora lega Boer alla memoria di sua nonna da cui imparò, ormai 40 anni fa, a stendere la pasta a mano.

Il levistico apre la scena con un nasello marinato in sale e alghe, cotto al vapore aromatico e accompagnato da patata dolce di Anguillara veneta. La compattezza degli ingredienti trova morbidezza nella salsa bernese al levistico. Una delicata acidità chiude il piatto insieme alle erbe - pungenti, vibranti e a tratti balsamiche - che adornano il nasello.

Segue il pepe lungo di Java, dove funghi porcini lattofermentati e finferli saltati dialogano con un’insalata di rucola fresca e salse di aglio nero, rucola e spezie. La forza terrosa dei funghi incontra l’aromaticità del pepe indonesiano che viene addolcita da un piccolo tiger bread, tipico panino olandese, qui alle cinque spezie e cannella. Un gesto affettuoso verso le origini dello chef e una carezza che chiude il boccone.

Poi arriva la Galanga, cuore esotico del menu: un omaggio all’Indonesia, ex colonia olandese e oggi terra di memoria per Boer. Qui il rendang, piatto tradizionalmente di carne, arriva dal mare: l’astice blu, cotto sullo yakitori e spennellato con burro al faggio, si sposa a una bisque intensa e a un latte di mandorla che sostituisce quello di cocco, alleggerendo il piatto senza impoverirlo. Di primo acchito l’astice blu sembra prendersi la scena ma anche qui le aromatiche hanno il sopravvento. Dal brodetto speziato riemergono un bottoncino di uova di astice e una finta mandorla, che gioca in sottrazione con le temperature. Il risultato è una danza dei contrasti, distratta benevolmente da ciò che non si vede ma si sente.

Il percorso prosegue con il Kaffir lime e uno spaghettone (volutamente) cotto oltre il limite. L’idea è richiamare quella masticabilità tipica di un udon, salvo poi ripassarlo sullo yakitori per una nota croccante e affumicata. Alla base, sgombro marinato in agrumi, castagne fresche, un brodo di castagne e fumetto di pesce che si fondono in un equilibrio di dolce, affumicato e agrumato. È un piatto di profondità rare, dove la tecnica si dissolve in tutte le sfumature dell’assaggio.

Il pre dessert Sicilia chiude come un abbraccio mediterraneo: crumble di pistacchio e mandorle, cioccolato di Modica, capperi di Pantelleria fritti, granita al limone, zest d’arancia e un tuppo siciliano soffice e caldo. L’anticipo del dolce si fa così tridimensionale, gioca sul contrasto caldo-freddo, dolce-salato, con una sensualità che non stanca. Infine, il dolce della memoria: biscotto di frolla speziata, mascarpone al naturale, uva fragola e la sua salsa, polvere di cardamomo verde.


Ogni piatto si riserva il diritto di parlare dopo. Non nell’immediato, ma sulla scia di ciò che resta e riecheggia. È il palato, qualche minuto più tardi, a rievocare una spezia, un profumo, un eco erbaceo. È una cucina che non si palesa agli occhi ma lascia traccia di sé. Così il percorso “Le Aromatiche” diventa un invito a prendersi il proprio tempo, rallentare, osservare e capire che a volte le cose vanno solo guardate da un nuovo punto di vista.

CONTATTI
[bu:r]
Via Mercalli 22, Milano
Mart-Ven 12.30-14:00 | 19.30-21:00; Sab: 19.30-21.00;
Telefono: +39 02 62065383;
Email: info@restaurantboer.com