Food&wine

Zoppi: la gastronomia con bottegaio 78enne che prende Milano per la gola

di:
Elisa Erriu
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copertina zoppi gastronomia rev

La storia di Zoppi è quella di un autodidatta che ha trasformato la fatica in esperienza, la curiosità in maestria.

Foto di copertina tratta da La Gazzetta di Milano

Il locale

A due passi dal Palazzo di Giustizia di Milano, l’insegna luminosa di via Cesare Battisti illumina non solo il percorso dei clienti abituali, ma anche quello di chi, per curiosità o passione, vuole capire come si costruisca un piccolo impero del gusto lontano dalle mode e dai clamori effimeri. Qui, tra scaffali ordinati e vetrine cariche di salumi, formaggi e vini, Giuseppe Zoppi celebra ogni giorno quarant’anni di mestiere, un mestiere imparato a forza di coraggio e pazienza, come si faceva un tempo, quando a otto anni si portavano al pascolo le mucche e a quattordici si partiva soli per Milano in treno. La storia di Zoppi, raccontata da Giuseppe Guastella in una bella intervista sul Corriere, è quella di un autodidatta che ha trasformato la fatica in esperienza, la curiosità in maestria. L’infanzia nel Lodigiano, segnata da giorni di lavoro nei campi e di sacrifici familiari, non gli ha tolto la gioia della scoperta, anzi l’ha forgiato: «Per andare a scuola ci voleva la bicicletta, in casa ce n’erano due e servivano a mia mamma e a mio papà per arrivare al lavoro», spiega proprio al Corriere. La bicicletta era un limite e allo stesso tempo una spinta, come il treno che a quattordici anni lo portò a Milano seguendo il consiglio di un amico, verso la promessa di un futuro che ancora non poteva misurare.

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Nei primi anni milanesi, Zoppi affettava salumi ed insaccati di giorno e dormiva in pensioni di fortuna la notte. I ritmi erano duri, il mestiere si imparava così: con le mani, con gli occhi, con l’orecchio teso a percepire le sfumature di un sapore o la consistenza di una carne. Sessant’anni fa i gusti erano diversi: si mangiavano gelatine, galantine di pollo, mambré di selvaggina, e il sale e l’olio dominavano i piatti con una generosità che oggi parrebbe eccessiva. Poi arrivarono le grandi opportunità: Gianni Angelo Stoppani, l’uomo che avrebbe trasformato Peck nella gastronomia più famosa di Milano, gli propose di rilevare uno dei suoi negozi. Trenta milioni di lire per la licenza erano una cifra insostenibile per un giovane di ventidue anni, e così il sogno venne rimandato, ma non abbandonato. Nel 1984 arrivò il passo decisivo: via Cesare Battisti, allora un locale da rifare completamente, diventava la tela su cui Giuseppe avrebbe dipinto la sua idea di gastronomia. Oggi, dopo quattro decenni, il negozio è un riferimento per chi cerca qualità e autenticità. Giuseppe non delega nulla: visita personalmente i fornitori, dal vino alla pasta, dal prosciutto al parmigiano, vuole capire tutto, conoscere ogni fase della produzione, garantire che ciò che arriva al bancone sia esemplare. Ogni dettaglio conta, dal taglio della carne alla conservazione dei prodotti, dalla conoscenza dei formaggi alla capacità di suggerire il vino giusto. La clientela è varia, composta da residenti del quartiere e da professionisti degli uffici giudiziari, avvocati e impiegati che, durante la pausa pranzo, affollano il locale in cerca di una pausa che non sia soltanto nutrimento, ma esperienza.

zoppi milano finger
 

Con l’evoluzione dei gusti, Zoppi ha saputo adattarsi senza rinunciare alla propria identità: «Ora i clienti vogliono personale preparato, che sappia consigliare i tagli della carne, i formaggi, i prosciutti ed il vino da abbinare, perché le nuove generazioni hanno un po’ di cultura del vino», spiega, ricordando la differenza rispetto al passato, quando bastava un bicchiere di sfuso. La sua visione è concreta e lungimirante: piatti cucinati da uno chef, messi sotto vuoto e pronti a conservarsi fino a venti giorni, permettono alle famiglie con ritmi serrati di accedere a prodotti di altissima qualità senza rinunciare alla praticità. Tra le memorie più preziose, Zoppi cita con orgoglio clienti illustri del passato. Renata Tebaldi, soprano di fama mondiale, ricevette un piatto speciale: «Lo chiamammo Controfagotto alla Tebaldi, come lo strumento. Siccome lei era di Langhirano, nel Parmense, facemmo un involtino di carne di vitello farcito di prosciutto di Parma e Parmigiano. Lo apprezzò tantissimo». Sono episodi come questo a trasformare una gastronomia in una leggenda del gusto, perché raccontano la capacità di coniugare attenzione al dettaglio, rispetto della materia prima e sensibilità verso chi siede davanti al bancone. La filosofia di Giuseppe Zoppi si manifesta anche nel modo in cui guarda al futuro: nuovi preconfezionati pensati per altri negozi, una continua sperimentazione che non sacrifica mai la qualità, e la volontà di lavorare ancora vent’anni, per portare avanti una tradizione che non conosce scorciatoie. Dietro il bancone non ci sono solo prodotti, ma storie: di stagioni, di allevamenti, di mani che impastano, affettano e accudiscono ogni ingrediente con la stessa cura di quarant’anni fa. La sua gastronomia è un luogo dove la memoria del passato dialoga con la tecnica contemporanea, dove ogni cliente può percepire il valore della pazienza e della dedizione.

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Zoppi è rimasto fedele a se stesso, eppure ha saputo leggere i cambiamenti dei tempi: le nuove generazioni consumano meno vino, ma scelgono meglio, cercano la sostanza e la qualità, richiedono esperienza e competenza. La gastronomia diventa così un ponte tra il passato e il presente, tra il senso di comunità di una volta e l’esigenza di eccellenza dei giorni nostri. Ogni prodotto in vetrina, dal prosciutto stagionato al formaggio di malga, racconta una storia, un’origine, un lavoro che dura mesi, se non anni, prima di arrivare sul piatto del cliente.

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