Nato a Pomigliano e cresciuto a Sorrento, Alessandro Marra ha fatto presto le valigie per scoprire il mondo dietro la bottiglia, passando dal Quattro Passi al City Social, fino al prestigioso Sketch di pierre Gagnaire. Qui guida la sala con talento e passione: ecco come racconta il suo lavoro.
Alessandro Marra
Non ha ancora trent’anni, Alessandro Marra. Eppure, guida la sala di uno dei ristoranti più importanti del Regno Unito: Sketch, the Lecture Room & Library a Mayfair, animato dal solista geniale della cucina contemporanea, Pierre Gagnaire. Fondato nel 2002 da Mourad Mazouz con l’intenzione di sposare arte, musica e gastronomia, in quella che era la libreria del Royal Institute of British Architects (ma ogni ambiente ha la sua destinazione, sviluppa un proprio tema e risveglia determinate emozioni), conta fra gli otto tristellati d’oltremanica, dove spicca per l’originalità degli ambienti e l’unicità della cucina. Il conto, non a caso, è servito in un libro.Alessandro vi è arrivato nel 2019, coronando una lunga permanenza a Londra. “Ma io sono nato a Pomigliano e cresciuto a Sorrento. Mia madre lavorava come guida turistica, mio padre era rappresentante di vini, da Napoli alla Costiera. Da lui ho contratto la passione, visto che fin da piccolo mi ha portato con sé, facendomi innamorare del mondo dietro la bottiglia. Ce ne siamo resi conto quando avevo dieci anni. Mia madre aspettava gente a casa e io ho iniziato a preparare la tavola come pensavo si dovesse fare, piegando i tovaglioli e assegnando i posti. In quel momento è stata chiara la mia vocazione ad accomodare le persone e farle star bene. Qualcosa di cui tutti hanno bisogno, oggi più che mai. A fare la differenza in questo campo è sempre la passione, senza la quale è impossibile resistere allo stress e ai ritmi di lavoro, allo sforzo fisico e mentale”.
Già durante l’alberghiero a Vico Equense, però, Alessandro sognava Londra, destination magnificata dai professori, dove imparare ben più di un idioma. Eccolo quindi fare le valigie dopo le prime esperienze nei cinque stelle in Costiera, al Cocumella e al Parco dei Principi, per approdare ai Quattro Passi londinesi di Antonio Mellino in qualità di “waiter”. “Ed è stato fondamentale perché ero nella mia bolla e nella mia comfort zone, circondato da italiani. Ho potuto spingere sull’inglese ed entrare nell’ambiente, ma a un certo punto ho avuto paura di adagiarmi e ho cercato nuove sfide. Ho così scoperto una città incredibile, focalizzata sul successo e sulla ricerca della perfezione, con una mentalità tutta diversa da quella che avevo conosciuto in Italia”.
Cade allora l’esperienza da Alyn Williams at the Westbury, dove si ferma 4 anni, dal 2015 al 2019, diventando “assistant restaurant manager”. “Ed è stato il luogo in cui ho imparato tutto, grazie a manager che mi hanno insegnato il linguaggio del corpo, come parlare al tavolo, gli accorgimenti da adottare con gli ospiti”. È seguito un anno speso al fianco di Jason Atherton al City Social, location bellissima al 24° piano, con vista mozzafiato e una stella Michelin capace di reggere centinaia di coperti.
“Io però continuavo a spedire curriculum, finché un giorno mi hanno chiamato per il colloquio da Sketch. Ed ero contento come un bambino, visto che per me Pierre Gagnaire è l’Escoffier dei nostri tempi. Non pensavo fosse così presente, invece Covid permettendo non ha mancato un cambio di menu. È sempre passato per provare i piatti con il resident chef Daniel Stucki, controllare in cucina che tutti seguissero la sua filosofia, fornire spunti e qualche correzione. Very inspiring. In sala però lascia fare alla brigata, non è di quegli chef che vogliono dire la loro, piuttosto accetta con naturalezza che siano due diverse professioni. Arriva, assaggia, approva, poi magari il mese dopo torna e cambia tutto, perché è fatto così: un istintivo”.
Come descriveresti il vostro stile di servizio? “Moderno, amichevole, su misura, adattabile a ogni singola persona. Non robotico. Nella ristorazione si tende a schematizzare troppo, noi invece partiamo dalla tipologia di cliente: se è un turista, un locale, un foodie, un regular o un repeat, nel caso sia passato un paio o una decina di volte. Il nostro team di prenotazioni fa un lavoro incredibile al riguardo, approntando un database. Abbiamo venti tavoli e quando arrivo la mattina, controllo nome per nome gli eventuali profili, completi di allergie e preferenze. Poi ogni sera li aggiorniamo con quello che abbiamo scoperto, residenza, viaggi, tutto ciò che può aiutare a far sentire l’ospite riconosciuto, qualora dovesse tornare”.
“Negli ultimi anni la ristorazione è cambiata drasticamente. Dopo la Brexit è diventato praticamente impossibile entrare in Gran Bretagna e col Covid tanta gente ha scelto di abbandonare il settore. Quindi abbiamo deciso di diminuire gli orari di lavoro e alzare leggermente i compensi. Ma trovare collaboratori resta un’impresa. Oggi da Sketch lavoriamo 44 ore a settimana, mentre in passato se ne facevano 60, 4 giorni su 7 (ma un quinto lo riserviamo al training). Ciononostante, se prima avevamo la fila fuori, adesso ci capita spesso di dover formare ragazzi appena usciti dalla scuola, insegnando loro tutto da zero. Non è più tempo di ‘old style’ e pugno di ferro: offriamo tanto ascolto e tanto training personalizzato. Quando c’è un nuovo arrivato, mi siedo con lui e parliamo di tutto: cucina, tecniche, economia, bilancio. Metto a disposizione il mio sapere, perché ridurre gli orari non basta. Bisogna motivare le persone”.
“Il mio futuro? Lo vedo qui da Sketch, almeno per i prossimi anni. Abbiamo appena cambiato la carta: c’è un maiale inglese semibrado frollato 55 giorni che serviamo affumicato con la polenta di grano saraceno; ma non è l’unico twist italiano, nei piatti ricorrono il lardo di Colonnata, la mostarda di Cremona e c’è perfino un ‘vegetable fritto’. Poi a ogni fine servizio proviamo vini da sogno: Amarone, Borgogna, Bordeaux… Bottiglie da raccontare. E vivere a Londra è eccitante: nei giorni di chiusura posso mangiare qualsiasi cucina. Mi è piaciuta moltissimo la Dame de Pic con il suo millefoglie, ma sono un grande sostenitore di Ikoyi, un ristorante africano che ha meritato le due stelle”.
Foto: Crediti Sketch, the Lecture Room & Library