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Ferran Adrià: "Sono andato in pensione a 50 anni perché lavoravo 16 h su 24. Il sacrificio serve”

di:
Silvia Morstabilini
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Ferran Adrià – 63 anni, tre stelle Michelin e uno dei più influenti chef della storia – ha riacceso il dibattito su cosa significhi davvero dedicare la vita alla gastronomia. In un’intervista rilasciata al podcast di Uri Sabat, ripercorre la sua carriera e racconta un presente scandito da un ritmo completamente diverso, ma ancora profondamente legato alla creatività.

Il rivoluzionario di Roses

Ferran Adrià non è stato soltanto il volto di ElBulli: ne è stato l’architetto concettuale, lo scienziato, l’artista. Il ristorante di Cala Montjoi, chiuso nel 2011, è stato per più di vent’anni un laboratorio che ha cambiato la storia della gastronomia mondiale. Tecniche come la sferificazione, la liofilizzazione o la destrutturazione hanno riscritto il modo di percepire sapori e texture, rendendo ElBulli un fenomeno culturale oltre che culinario. Tra il 1997 e il 2009, il locale è stato nominato cinque volte miglior ristorante del mondo da The World’s 50 Best Restaurants, attirando migliaia di persone disposte ad attendere mesi – a volte un anno – per ottenere una prenotazione.

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Dalle stoviglie al mito

Il percorso di Adrià non nasce sotto i riflettori. Inizia come lavapiatti e, nel giro di pochi anni, grazie a talento, disciplina e un impegno quasi monastico, diventa chef di ElBulli a soli 22 anni. «Ho lavorato come un dannato: 16 ore al giorno, 330 giorni all’anno per 25 anni», racconta nel podcast. Questo sacrificio gli permetterà di mantenere una promessa che si era fatto da giovane: ritirarsi a 50 anni. Non dal pensare, né dal creare, ma dalla gestione quotidiana del ristorante, lasciando spazio al progetto più ambizioso della sua vita: la fondazione.

elBullifoundation: quando la cucina diventa ricerca

Dopo la chiusura di ElBulli, Adrià dona gran parte del suo patrimonio alla elBullifoundation, un'organizzazione no-profit dedicata a preservare, studiare e diffondere l’eredità creativa del ristorante. La fondazione funziona come un centro di ricerca che unisce arte, scienza e gastronomia: un archivio vivente che raccoglie più di 24 anni di documentazione, ricette, processi creativi, tecniche e materiali multimediali. L’obiettivo è ambizioso: trasformare la cucina in una disciplina di studio globale, ispirando chef, studenti e appassionati attraverso pubblicazioni, progetti e mostre. È un luogo dove la creatività viene analizzata, catalogata e restituita al mondo come strumento di conoscenza.

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Una vita più lenta – ma non meno intensa

Oggi Ferran Adrià non ha uno stipendio fisso e conduce una vita molto più tranquilla. «Mi prendo cura di me, adoro andare al ristorante, non ho l’auto e mia moglie mi obbliga a comprare vestiti ogni due o tre anni», racconta con ironia. Una calma che non è ritiro, ma trasformazione: il tempo che prima era assorbito dal servizio ora viene dedicato alla ricerca, allo studio e alla divulgazione.

La cultura dello sforzo

Se c’è un messaggio che Adrià continua a ribadire, è il valore del lavoro. «Non conosco nessuno che sia arrivato lontano senza lavorare molto e dedicare moltissime ore», afferma. Per lui, il successo non è talento puro, ma perseveranza. Una cultura dello sforzo che lo chef catalano difende con fermezza, lodando chi sceglie la fatica come mezzo per raggiungere i propri obiettivi.

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Getty Images

Il lascito di un visionario

ElBulli ha chiuso le sue porte da più di dieci anni, ma la sua influenza continua a permeare l’alta cucina contemporanea. Le oltre 1.800 ricette create da Adrià e dal suo team restano un patrimonio di innovazione senza paragoni. Ferran Adrià non cucina più per i clienti, ma continua a nutrire il mondo gastronomico con idee, metodo e visione. E forse è proprio questa la sua più grande eredità: aver dimostrato che la cucina, prima ancora di essere tecnica o tradizione, è un atto creativo senza confini.

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