La sua missione? Custodire l’identità raffinata di Quince, arricchendola di un tocco personale. Non rivoluzioni brusche, nessuna voglia di “italianizzare” la sala, ma l’intenzione poetica di aggiungere sfumature. «Voglio comprendere fino in fondo la filosofia di Michael e Lindsay e aiutare Quince a prosperare — aggiungendo un tocco di stile italiano», promette.
Ritratti di Letizia Cigliutti
C’è un nuovo accento che scivola con gentilezza tra i sorrisi del servizio del tre stelle Michelin Quince e il frusciare delle divise impeccabili: quello di Davide Franco, pugliese di Trani, Director of Hospitality in una delle dining room più sofisticate di San Francisco. La sua è una storia che sa di tenacia, di aeroporti con biglietti di sola andata, e di sogni che non mollano la presa. Una narrazione che si potrebbe scrivere con tre parole: pazienza, passione, destino. Per quasi vent’anni ha percorso l’Europa con l’eleganza di chi conosce l’arte dell’accoglienza nelle sue forme più alte. Villa Feltrinelli sulle rive del Garda, Dinner by Heston Blumenthal, la scena londinese firmata Hélène Darroze al The Connaught e Core by Clare Smyth, fino alla precisione pittorica di Piazza Duomo ad Alba. Franco arriva a Quince con un bagaglio che somiglia a una biblioteca: ogni ristorante una lingua diversa, ogni sala una nuova grammatica dell’ospitalità.

Eppure, il suo viaggio verso la California non è stato una linea retta. Anzi, ha avuto i tempi lunghi e i ritorni obbligati delle storie vere, quelle che non cercano scorciatoie. Nel 2019, Davide mette piede a San Francisco per la prima volta e prova una sensazione rara: «Entrando nella sala, mi sembrava un luogo familiare», ricorda oggi ai microfoni della MICHELIN. Lo chiamano per tre colloqui importanti, ma quello che lo conquista con immediatezza è Quince, la visione di Michael e Lindsay Tusk, l’atmosfera vibrante che dal Golden Gate arriva dritta al piatto. Poi, la pandemia. I voli cancellati. La vita che cambia marcia senza chiedere permesso. San Francisco si allontana e lui rientra in Italia, dove continua a far brillare il mestiere dell’accoglienza e, soprattutto, abbraccia una gioia che porta un nome: Cesare, il figlio nato dall’amore con la moglie Nadisha. Il sogno americano, intanto, resta in stand-by. Non svanisce: riposa. Quando nel 2024 Quince organizza una cena a quattro mani con Piazza Duomo, l’incrocio del destino si manifesta di nuovo. Bastano poche conversazioni, un progetto accennato, una promessa futura per far divampare quella fiamma che si era solo assopita. «Parlando con Michael e Lindsay, e ascoltando la loro visione del futuro del ristorante, il mio sogno americano è tornato più vivo che mai», racconta Franco. La chiamata arriva. Il sì è immediato.

Questa volta, l’aereo parte davvero. La sua missione? Custodire l’identità raffinata di Quince, arricchendola di un tocco personale. Non rivoluzioni brusche, nessuna voglia di “italianizzare” la sala, ma l’intenzione poetica di aggiungere sfumature. «Voglio comprendere fino in fondo la filosofia di Michael e Lindsay e aiutare Quince a prosperare — aggiungendo un tocco di stile italiano», promette. Che stile? Quello che si riconosce nei gesti: una mano che anticipa un bisogno, uno sguardo che disinnesca l’imbarazzo, un calore misurato che non confonde mai confidenza e invadenza. La scuola mediterranea dell’ospitalità è questa: far sentire scelti, non solo serviti. Franco è un uomo che non teme le grandi sfide. Anzi, le sceglie intenzionalmente. Lavorare in un Tre Stelle significa muoversi su un filo sottilissimo, dove ogni passo deve essere calibrato come una nota in un’opera d’orchestra. «Sono emozionato dall’energia e dall’adrenalina», confessa, lasciando intravedere un entusiasmo sincero. Gli brillano gli occhi quando parla dei vini della Napa Valley, delle esplorazioni gastronomiche americane, di una cultura che considera “aperta e pronta a sperimentare, tanto nel piatto quanto nel calice”.

Per lui, il servizio è la parte più umana della cucina. È lì che le emozioni vengono trasferite dal piatto al commensale. È lì che un ristorante diventa memoria. San Francisco è una città che sa accogliere chi arriva con qualcosa da dire, ma pretende autenticità. E Davide Franco la porta nella forma più pura: una professionalità costruita sul campo, rinforzata dai fallimenti evitati con lungimiranza, lucidata dal tempo. La sua è una storia che insegna come quel che sembra un ritardo può essere, invece, il momento perfetto. Perché quando un sogno si realizza esattamente quando deve, non arriva da solo: porta con sé una famiglia intera. Ora, al suo fianco, oltre a una sala che lo osserva curiosa, ci sono Nadisha e il piccolo Cesare, pronto a scoprire l’America con gli occhi spalancati di chi sa che un cambiamento familiare può essere un regalo. «Con loro, tutto questo avrà ancora più senso», dice Franco. Una frase semplice che rivela la verità dei grandi professionisti: per brillare, serve radicarsi. Così, tra le luci soffuse di Quince, un nuovo direttore dell’ospitalità cammina con passo deciso. Osserva, ascolta, aggiusta la rotta con la finezza di chi non si accontenta del sufficiente. Non ha paura dei dettagli invisibili e delle richieste impossibili. Si prepara alla corsa lunga, quella che trasforma una dining room in un luogo di memoria.