Dove mangiare in Italia

Lasagne? Sì, ma gourmet: dove mangiare le migliori d’Italia secondo la Guida Michelin

di:
Elisa Erriu
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copertina lasagne michelin

Come dichiarato da Massimo Spigaroli alla Guida Michelin, “la lasagna è un piatto difficile, forse uno dei più difficili”. Ma c’è chi ne ha fatto un’arte senza tempo con la sua interpretazione gourmet: alla scoperta degli indirizzi per mangiare le migliori della Penisola.

In copertina le lasagne di Amerigo

La lasagna entra in scena come una cantante sul palco. D’altronde è un’opera a sipari sovrapposti, una partitura di sfoglie verdi e rossi profondi, una grammatica che si concede solo a chi conosce l’ordine delle cose: pasta, ragù, besciamella, Parmigiano Reggiano—e di nuovo, per sette volte, come un rosario di cucina. Chi la tratta da piatto “semplice” non ha mai assistito alla sua costruzione: è architettura domestica, chimica lenta, esattezza contadina. Ecco perché, nonostante la fama planetaria, trovarla eseguita come si deve nei ristoranti di qualità resta una rarità: la tradizione la vuole preparata, composta, cotta e lasciata riposare, mai riscaldata, mai riassestata a metà cottura. «La lasagna è un piatto difficile, forse uno dei più difficili» racconta Massimo Spigaroli, come riportato da Michelin nel bellissimo speciale di Matteo Morichini. «Richiede tanti ingredienti e dunque tante ricette che poi dovranno convivere, ordinate, nella stessa teglia». Il risultato memorabile ha una misura etica prima ancora che tecnica: mai stracarica, mai asciutta, sempre in equilibrio.

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Origini: dalla mensa antica alla codifica emiliana

Prima di diventare emblema emiliano, la lasagna ha attraversato secoli e dialetti. Il nome inciampa nel laganum romano (una sfoglia grezza di acqua e farina), poi si affina nel Medioevo: veli di pasta cotti nel brodo di cappone, formaggio e spezie a finitura. Nel Trecento, Fra Salimbene de Adam annota la voracità di un monaco davanti a strati coperti di cacio; il “Liber de coquina” alla corte angioina di Napoli ne testimonia la presenza.

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Unsplash

Il Rinascimento aggiunge uova all’impasto (e—secondo alcuni resoconti—le prime forme di mozzarella), mentre la besciamella dalla Francia entra in scena intorno al ’700. L’ultimo tassello del canone moderno arriva nell’Ottocento: 1881, area partenopea, Francesco Palma pubblica nel Principe dei cuochi o la vera cucina napoletana il primo resoconto sulle lasagne al pomodoro. La leggenda è pronta; l’Emilia, nel tempo, le darà il metodo.

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Trattoria Da Amerigo

Variazioni sul tema: l’Italia che si legge in teglia

Se oggi celebriamo la lasagna emiliana—e, in particolare, la ricetta “depositata” a Bologna—non possiamo ignorare il suo talento per l’interpretazione. A Napoli la generosità è dichiarata: polpette, sugo di carne, ricotta, caciocavallo. Nelle Marche i Vincisgrassi amano le rigaglie di pollo. A Genova il verde si fa pesto; in Veneto il radicchio di Treviso sostituisce gli spinaci nell’impasto; la milanese settecentesca stratifica tartufo, burro, Parmigiano, cannella, filetti di pollo e funghi. Storie parallele di un desiderio unico: tenere insieme sapori e famiglie.

Trattoria da Amerigo (Savigno) – Una stella MICHELIN

Trattoria da Amerigo lasagna
 

Nell’insegna di Savigno, sui primi colli bolognesi, Trattoria da Amerigo trasforma la lasagna in atlante di stagione. Gli ispettori MICHELIN parlano di un’“idea di trattoria all’italiana” che porta i commensali in un viaggio nostalgico: non malinconico, ma consapevole. Alberto Bettini ne fa un repertorio raffinato: alle classiche al ragù affianca le “lasagne come a Bologna a fine ’800”, più antiche, con spinaci tra gli strati invece che nell’impasto.
Il calendario, poi, detta il resto: funghi galletti con patate e ricotta; ragù bianco e tartufo nero pregiato; ragù bianco e tartufo nero scorzone; asparagi verdi della Valsamoggia. La lasagna smette di essere “la domenica” ed entra nelle stagioni.

La Porta Restaurant (Bologna)

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Nel capoluogo, Guglielmo Araldi riafferma la liturgia: sfoglia all’uovo verde con spinaci, besciamella fatta in casa, ragù di carni miste—soffritto, concentrato di pomodoro, vino rosso, pancetta, salsiccia, suino tritato, polpa di manzo—e Parmigiano Reggiano. Prima della composizione, le sfoglie si sbollentano, poi passano in acqua e ghiaccio. La teglia si avvia con besciamella, quindi sette strati—ognuno condito con crema, ragù “a poggia”, Parmigiano. Cottura a 165°C per circa 75 minuti, riposo e taglio a quadrati. La cucina, qui, parla con la chiarezza delle regole ben spiegate.

La Nuova Roma (Sasso Marconi) – Bib Gourmand

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Quarta generazione, una sala che sa di famiglia. Omar—in sala con mamma Marinella; ai fuochi Elvina, zia Patrizia e lo chef Luca—spiega la scelta: solo su ordinazione. «La lasagna è un’istituzione da rispettare: si toglie dal forno e si lascia riposare per 30 minuti. Non va mai riscaldata e non si ferma a metà cottura per comodità». La ricetta prevede sette strati con ragù bolognese e besciamella, pasta verde agli spinaci, sfoglia tirata al matterello. L’insegnamento delle nonne, tradotto in prassi.

Clinica Gastronomica Arnaldo (Rubiera) – Una stella MICHELIN

Clinica Gastronomica Arnaldo spugnolata
 

Nel più longevo stellato d’Italia (macaron dal 1957), le tradizioni sono fondamenta. Brilla la “Spugnolata Mignon”: pasta al forno bianca con besciamella, ripieno di carne e sugo di funghi spugnole dell’Appennino. La inventarono Arnaldo e la figlia Anna negli anni ’60; oggi la realizzano lo chef Roberto Bottero e la moglie Ramona.
 Filosofia di casa: non si butta via nulla. Il ripieno di carne nasce dalle rimanenze del carrello dei bolliti. Sfoglia tirata a mano, strati conditi, stampi infornati. «Questa preparazione—dice Bottero—conserva il dolce ricordo delle accortezze quotidiane: sapore di casa e famiglia».

La Lumira (Castelfranco Emilia)

La Lumira lasagne
 

Per Carlo Alberto Borsarini, la lasagna “come una volta” si fa al momento e si propone solo la domenica e nei menu festivi. Le versioni dei nonni erano asciutte, sobrie, rigorose: besciamella in quantità parsimoniose, e sopra un solaio di sfoglia nudo con fiocchi di burro per increspare la superficie e ottenere quella croccantezza oggi tanto celebrata e, paradossalmente, scomparsa. Il “degrado”—dice—arriva quando la teglia passa dalle cucine alle rosticcerie: coperture eccessive di ragù, besciamella abbondante. Ne nascono lasagne morbide e fondenti, rassicuranti ma povere di complessità. Una critica che è, in fondo, un invito alla misura.

Bottega Aleotti (Crevalcore)

Lasagne agnello e asparagi Bottega Aleotti
 

Il salernitano Demis Aleotti firma una lasagna da “approccio quasi rinascimentale”: ragù di agnello (dalla macelleria Rizzieri di Ferrara), lavorato per ingentilirne il carattere; besciamella arricchita con un tuorlo per setosità; punte di asparagi dell’orto Barbieri a portare croccantezza e amaricante freschezza. È una variazione che rispetta la grammatica e gioca con le sfumature.

Antica Corte Pallavicina (Polesine Parmense) – Stella MICHELIN

507273f94abf414a9aaf9a0d46898283 Lasagna della Zia Emilia Antica Corte Pallavicina Lasagne 1
 

Costruita dai Marchesi Pallavicino nel 1320 accanto al Po, Antica Corte Pallavicina—membro di Teritoria—è luogo di storia (gli stessi culatelli che il bisnonno di Spigaroli produceva fino al 1882 per Giuseppe Verdi). Qui, lo chef firma la lasagna “della Zia Emilia”: pasta all’uovo tirata sottile a mano, 10 uova per 1 kg di farina. Le sfoglie si sbollentano per non più di un minuto, poi acqua e ghiaccio, quindi nuova scolatura—delicatezza come regola.
 «È la ricetta che ho visto fare fin dall’inizio, quella vera. La preparo per rispetto alla mia famiglia e alla mia storia. Non è un piatto “vecchio”: è riconoscenza al territorio». Parole che pesano quanto un mestolo di ragù.

Essentia (Castrocaro Terme)

Lasagne rivisitate Ristorante Essencia
 

Le icone, per restare vive, accettano il duello con il presente. All’Essentia, lo chef Andrea Giacchini firma la “Lasagna di sfoglia di riso, gamberi rosa e bietole”—liberamente ispirata alla cucina vietnamita e mantecata con burro alle foglie di limone. Si serve tiepida; la farcia unisce gamberi rosa e bietole macerate con olio e sale; completano un pesto di bietole e panna ridotta che dà quella golosa rotondità tipica della teglia. Il colpo di scena è tattile: la sfoglia di riso è morbida ed elastica, in contrasto con la freschezza del crudo. Una rilettura contemporanea che non rinnega: dialoga.

Le regole non scritte: sette strati e un tempo di riposo

La composizione a sette strati—prima della cottura—è, paradossalmente, la parte più “semplice”: se tutte le ricette di base sono centrate, la sovrapposizione diventa geometria. La differenza, spesso, la fa il tempo di riposo: lasciar assestare la teglia è concederle il diritto di finirsi da sola. È qui che la lasagna guadagna profilo, succulenza, taglio netto. È qui che si capisce perché la Guida MICHELIN la cerchi di rado e la celebri con giudizio: è logistica complessa, cultura materiale, coerenza.

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Un itinerario emiliano, una grammatica nazionale

Da Savigno a Bologna, da Sasso Marconi a Rubiera, da Castelfranco Emilia a Crevalcore, fino al Polesine Parmense e a Castrocaro Terme, la lasagna disegna una mappa dell’Emilia-Romagna che parla all’Italia intera. Lì dove Trattoria da Amerigo allena la memoria con varianti colte; La Porta Restaurant custodisce la classica con disciplina; La Nuova Roma difende il tempo giusto; Clinica Gastronomica Arnaldo celebra la via bianca; La Lumira richiama all’essenzialità; Bottega Aleotti apre al Rinascimento dei sapori; Antica Corte Pallavicina dedica la lasagna alla famiglia; Essentia la spinge oltre, senza bestemmie. La lasagna, in fondo, è l’arte di tenere tutto insieme senza sbracare: memoria, stagione, tecnica, temperanza. E quando, sulla forchetta, i piani restano composti e il morso è unico, capisci perché questo piatto, più di altri, non si concede ai compromessi. Serve mano, misura, pazienza. Serve un’idea di cucina che non rincorra l’ansia di piacere, ma la serenità di durare.

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