La notizia del giorno: lo chef Marco Sacco, dopo quattro anni di iter processuali, è stato assolto da tutte le accuse. La Corte d’Appello di Torino ha rinosciuto la piena innocenza del cuoco.
Foto di copertina: Adriano Mauri
La decisione sarà stata accolta sicuramente con sollievo e soddisfazione dallo chef (il quale, contattato telefonicamente, ha preferito non rilasciare dichiarazioni) e dal suo team, che ha sempre sostenuto la sua estraneità ai fatti contestati.
Il caso giudiziario
All’origine della vicenda c’erano delle vongole servite (nel luglio 2021) in un risotto, durante un banchetto nuziale, nel locale sul lago di Mergozzo (Piccolo Lago, ** Stelle Michelin), che si concluse con circa cinquanta ospiti che accusarono sintomi d’intossicazione alimentare. Secondo le analisi dell’ASL Vco, quel mollusco crudo risultò contaminato dal norovirus, nonostante le cucine fossero state trovate in regola dai controlli dei NAS (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dei Carabinieri).

In primo grado, nel marzo 2024, lo chef Marco Sacco, insieme alla moglie e socia nel ristorante Piccolo Lago, erano stati condannati a due mesi e venti giorni per lesioni colpose e commercio di sostanze alimentari nocive. La loro difesa aveva sostenuto che il prodotto era giunto già contaminato, confezione sigillata alla mano, e che lo chef aveva acquistato l’ingrediente ritenendolo idoneo al consumo crudo, come indicato in etichetta.
L’assoluzione e le sue implicazioni
Con la decisione della Corte d’Appello, la posizione di Sacco è stata interamente riabilitata: la Procura generale ha richiesto la riforma della condanna «in quanto il fatto non costituisce reato». Questo esito ha un significato importante non solo sul piano personale e professionale per lo chef, ma anche per la reputazione del suo ristorante, che aveva subito un duro colpo d’immagine. Infatti, in occasione della pubblicazione della Guida Michelin Italia 2025 il ristorante “Piccolo Lago” perse entrambe le sue stelle e non fu inserito nella guida. Lo stesso chef Sacco dichiarò che la decisione non fu per un declassamento tecnico legato alla qualità della cucina, ma “a monte” legata alla vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto.

Qualche riflessione
Pur non avendo accesso al testo integrale depositato, dalla ricostruzione appare che la Corte abbia ritenuto: insufficiente la prova della colpa o della responsabilità penale diretta dello chef/ristorante nella contaminazione, ovvero che non fossero state dimostrate le condizioni di dolo o colpa grave tali da configurare il reato, che il procedimento d’acquisto e la tracciabilità fossero tali da rendere ragionevole – secondo la Corte – il comportamento dello chef nel contesto in cui operava e che la condizione della materia prima (le vongole) e la loro contaminazione fossero eventi non imputabili direttamente all’imputato, o quantomeno che il nesso causale non fosse stato accertato in modo tale da giustificare la condanna penale.

L’episodio mette in evidenza come anche strutture d’eccellenza possano trovarsi coinvolte in vicende imprevedibili, e come la catena di responsabilità nel settore alimentare sia complessa: dalla fonte del prodotto fino alla somministrazione. L’assoluzione, d’altro canto, stabilisce un precedente rilevante: non è sufficiente che si verifichi un danno (qui, intossicazione collettiva), perché si configuri un reato penale, se non è dimostrata una condotta colposa del ristoratore oltre la semplice possibilità dell’evento. Lo chef ha formalmente visto riabilitata la propria posizione penale, resta da vedere se, oltre alla piena riabilitazione giudiziaria, arriverà anche il riconoscimento simbolico della critica gastronomica.