All’alba, la Sierra de Guadarrama si risveglia tra pini, cervi e il profilo maestoso del monastero di San Lorenzo de El Escorial. È qui che si trova Montia, un ristorante che ha trasformato la montagna in dispensa e il passare delle stagioni in dogma gastronomico. Tutto dopo una fase di difficoltà affrontata dallo chef Dani Ochoa, ripartito da zero e premiato dalla critica.
Niente orpelli o formalità: Montia è un rifugio intimo, più simile a una baita di montagna che a un ristorante stellato. Eppure, tra le sue pareti in legno e le erbe aromatiche che crescono nell’orto esterno, si cela una delle esperienze culinarie più autentiche e radicali di Spagna.

La filosofia di Dani Ochoa: alta cucina, spirito contadino
Il cuore pulsante di Montia è Dani Ochoa, chef dalla visione netta: dimostrare che l’alta cucina può parlare in dialetto rurale, con accenti di orto, selvaggina e sottobosco. Dopo l’incendio che nel 2021 distrusse il primo locale, come Ochoa ha raccontato a La Vanguardia, lo chef ha ricostruito Montia con tenacia e convinzione. Oggi il ristorante vanta una stella Michelin e due Soles Repsol, riconoscimenti conquistati senza tradire la propria anima. La sua è una cucina che rifugge l’effetto e ricerca la sostanza: nessuna retorica sulla sostenibilità, ma un legame reale con produttori, allevatori e contadini della Sierra.


Il territorio come carta dei sapori
A Montia non esiste un menu fisso, perché la vera carta è la montagna. Il ritmo delle piogge, le nascite spontanee dei funghi, l’umore di chi coltiva o raccoglie: tutto influenza la proposta del giorno. Il pranzo inizia con pani rustici e burro di capra, serviti senza tovaglia su un tavolo di legno segnato dal tempo — un gesto che annuncia un’idea precisa di lusso: artigianale, sincero, terreno. Seguono piccoli bocconi serviti su una pietra di fiume — una tortilla di scalogni con maionese al tartufo, una tosta di granchio, una galletta di piccione — preludio a un viaggio sensoriale dove la natura detta legge.

Una cucina viva e mutevole
La cucina di Montia è una conversazione continua con l’ambiente. Molte delle erbe e dei germogli utilizzati vengono raccolti personalmente dal team, che trascorre ore tra i boschi alla ricerca di corujas, montia fontana, asparagi selvatici o erbe spontanee. Ogni piatto è una pagina del diario botanico della Sierra: pomodoro di Los Molinos con erbe di riva, ostra marinata al sambuco e prugna, triglia con champignon e gallinaccio al burro e zafferano. Perfino la carta dei vini riflette questa filosofia: fermentati naturali, a volte quasi domestici, scelti non per compiacere ma per sfidare il palato.

Radicalità, poesia e territorio
Il percorso prosegue con piatti intensi e profondamente identitari: terrina di coniglio selvatico con limone e santoreggia, raviolo di frattaglie al pino, agnello da latte con il suo fondo, fino ai celebri callos — trippa e frattaglie cucinate con un rispetto quasi liturgico. Ogni portata è un atto di fedeltà alla terra, ogni sorso un tributo alla convivialità serrana. Anche il dessert segue la stessa logica: spinaci con gelato al formaggio, pastel ruso con orzata di ghiande, fragole con vino rancio e meringa di mandorla amara. Un percorso che ribalta i canoni della dolcezza, chiudendosi con un tocco audace: cordyceps al whisky con gelato al pinolo.

Montia, un’esperienza che si vive
Montia non è solo un ristorante: è un ecosistema gastronomico. Ochoa e il suo team organizzano escursioni, raccolte di funghi, visite ai produttori, esperienze di pesca sostenibile e un Club Montia con box stagionali che portano la Sierra a casa dei clienti. Qui la cucina non è spettacolo, ma rituale. Un rito che unisce il comensale al territorio, lo costringe a rallentare, ad ascoltare, a respirare il bosco. All’uscita, il contrasto è potente: il silenzio austero del monastero da un lato, il calore vivo della cucina dall’altro. Dentro Montia, la vita pulsa, imprevedibile e sincera — come il vento che corre tra gli alberi della Sierra.