Inés Páez Nin — per tutti Chef Tita — è oggi la più grande ambasciatrice culinaria della Repubblica Dominicana. Ma la sua storia non è solo quella di una chef premiata con il Champions of Change Award dei Latin America’s 50 Best Restaurants 2025: è la storia di una donna che ha trasformato la cucina in uno strumento di riscatto sociale. Vent’anni fa, quando decise di lavorare con i prodotti locali, i colleghi la deridevano. Oggi, le sue ostriche di Cabrera e la radice di guayiga sono simboli di un Paese che ha imparato a guardarsi dentro e a riconoscere la propria ricchezza.
Dal territorio alla comunità
Convinta che la forza del suo Paese risiedesse nella terra, Tita ha iniziato a viaggiare per le zone rurali, incontrando agricoltori e raccoglitori. Da quell’esperienza è nata, nel 2015, la Fundación IMA, che in lingua taína significa “cibo”. L’obiettivo è semplice e rivoluzionario insieme: aiutare le comunità contadine a vivere del proprio lavoro, dando loro visibilità, strumenti e contatti con ristoranti e supermercati. “Non vogliono lasciare le loro terre, vogliono solo poter vivere di ciò che coltivano,” racconta la chef proprio a 50 Best. Oggi, grazie al premio ricevuto, potrà continuare a finanziare sementi e attrezzature agricole, sostenendo una rete di produttori che rappresentano l’anima più autentica della cucina dominicana.

Cucinare per cambiare
Dietro i progetti di Chef Tita c’è una convinzione profonda: il cibo è un linguaggio universale e uno strumento di cambiamento. Attraverso la fondazione, la chef non solo promuove i prodotti locali, ma crea opportunità. “Quando vedi che una comunità può restare unita grazie al cibo, capisci che tutto questo ha senso,” dice. La sua emozione è genuina, quasi commovente: “Mi riempie il cuore. Cucinare mi rende felice, ma cambiare vite attraverso il cibo mi rende ancora più felice.” Un’eredità che le arriva dalle sue nonne, donne generose che cucinavano per chiunque avesse fame. Da loro ha ereditato il principio che nutrire è un atto d’amore.

Un’identità da raccontare
Dopo aver aperto ristoranti come Travesías e Morisoñando a Santo Domingo, Tita ha trovato la sua espressione più compiuta in Aguají, il ristorante di fine dining aperto nel 2023 a Puerto Plata. Qui la cucina è racconto, memoria e riscoperta della cultura taíno-arawak, popolazione indigena che ha plasmato le radici del Paese. Tutto ruota attorno ai prodotti locali e al recupero di ingredienti dimenticati, come la guayiga, una radice trasformata in farina dai Taíno per fare il pane. Ogni piatto è un atto politico e poetico insieme: un invito a conoscere la Repubblica Dominicana oltre i cliché del sole e delle spiagge. "Quando ho iniziato a lavorare con i prodotti locali, i miei amici chef mi prendevano in giro. Dicevano: 'Perché comprare ostriche da Cabrera quando puoi importare quelle francesi?'" Ho detto loro che adoro le nostre ostriche locali: forse non hanno la stessa polpa, ma il sapore è incredibile."

Oltre il paradiso turistico
Chef Tita sa che il suo Paese è spesso associato solo ai resort e alle acque turchesi, ma lei vuole spostare l’attenzione su ciò che davvero lo rende unico: la sua gastronomia meticcia. La cucina dominicana è un caleidoscopio di influenze — taína, africana, spagnola, libanese, italiana, asiatica — che convivono in un equilibrio perfetto. “Ogni piatto racconta chi siamo,” spiega. “Quando le persone assaggiano la nostra cucina, restano sorprese: non si aspettano tanta ricchezza e personalità.” Per Tita, però, essere chef significa molto più che cucinare. È una missione collettiva: “Gli chef non devono restare chiusi nelle loro quattro mura. Devono uscire, conoscere, aiutare. Siamo agenti del cambiamento.”

Cibo come rivoluzione
Nel suo modo di intendere la cucina c’è una visione limpida: il cibo è una forma di connessione. Attraverso il gusto si raccontano storie, si danno volti, si creano ponti. E in quei ponti passa il futuro della Repubblica Dominicana. Il riconoscimento internazionale è importante, certo, ma per Tita la vera vittoria è vedere il suo Paese crescere, orgoglioso della propria cultura gastronomica. “È sempre stato il mio sogno mettere la Repubblica Dominicana sulla mappa del mondo,” dice. “E ora che ci siamo… quasi non ci credo.”
