Il richiamo della Sicilia non è stato improvviso. Dopo anni a Londra – lui chef, lei nel mondo della moda – la nostalgia è diventata irresistibile.
Foto di copertina: crediti @andresjuansuarez
Foto nell'articolo tratte dalla pagina Instagram di Via delle Palme
La storia
«‘U livàmu e ci mittemu ‘i patati… a nuatri ‘u baccalà non ci deve fregare…»: il baccalà non è mai stato così sacro come nelle mani di Licia Cannarella, che scandisce così, muovendo le mani con una sicurezza che solo gli anni possono dare. Il soffritto, “lo strattu”, la passata di pomodoro: tutto ha il suo tempo e la sua misura, insegnati con naturalezza, senza orologio né bilancia, seguendo l’istinto che guida le vere “mastre” della cucina siciliana. A osservare e imparare ci sono Buccio Cappello e Giuliana Pucci, chef privati e sommelier, coppia nella vita e nel lavoro, tornati in Sicilia dopo esperienze londinesi per riscoprire e custodire i sapori delle loro radici.

Il progetto si chiama Via delle Palme, dal nome della loro base a Santa Maria del Focallo, ma non è solo un nome: è una missione. Ogni giorno, tra un impegno come chef privati e sommelier e le loro attività sul territorio, Buccio e Giuliana attraversano borghi, campagne e mercati, bussando letteralmente alle porte delle nonne per cucinare insieme, raccogliere ricette e, soprattutto, emozioni. Ogni incontro diventa un piccolo rituale di memoria e convivialità, una testimonianza vivente di una tradizione culinaria che rischia di perdersi nell’era delle gastropescherie e dei prontocuoci. «Io li ho conosciuti a una fiera del dolce», racconta su “La Sicilia.it” Felicia “Licia” Cannarella , la nonna di Portopalo di Capo Passero. «All’inizio, quando li ho visti con tutti questi tatuaggi, mi sono detta “Mah”» ride, e la risata scioglie subito ogni diffidenza. Poi, tra una olive arrustute e le arance appena raccolte dall’albero per una torta, l’amicizia si è consolidata davanti ai fornelli. Licia è solo una delle tante nonne che Buccio e Giuliana hanno contattato nel loro girovagare: ogni donna custodisce un patrimonio di saperi, odori e gesti che loro desiderano condividere con chi ancora vuole ascoltare.

«Dipende dall’incontro», spiega Buccio, raccontando la loro metodologia quasi antropologica. «A Palazzolo Acreide ho visto una nonna con una borsa della spesa pesante, ci siamo offerti di aiutarla e da lì è nato tutto. “Signora, oggi che cucina?”, “Possiamo venire con lei?”». Giuliana aggiunge: «Altre volte ci guidiamo semplicemente dall’odore che proviene dalle finestre. Al supermercato, invece, serve più pazienza: ci presentiamo e spieghiamo quello che facciamo». Non è un sì immediato: «C’è sempre un po’ di timore, poi parte l’effetto “coccolone”», sorride Buccio, «diventiamo i nipoti acquisiti». Giuliana osserva: «Durante la preparazione si instaurano relazioni: ci raccontano aneddoti, termini dialettali, modi di dire. Alla fine è naturale sedersi a tavola con loro». Il processo è al tempo stesso ricerca e celebrazione: loro stessi si definiscono «cacciatori ed eredi». «Cacciatori», spiega Giuliana, «perché andiamo a riscoprire ciò che sembrava perso; eredi, perché è un patrimonio che rischia di scomparire».

Il richiamo della Sicilia non è stato improvviso. Dopo anni a Londra – lui chef, lei nel mondo della moda – la nostalgia è diventata irresistibile. Giuliana ammette: «Il suo bisogno di tornare è nato prima del mio. Quando me l’ha detto, non ero pronta, abbiamo aspettato due anni». Buccio conferma: «Ogni volta che finivo le vacanze, ero in crisi. Io che ero fuggito, una volta tornato non riuscivo a staccarmi. Guardavo mia nonna cucinare, vedevo la magia nelle sue mani. Io, circondato da chef stellati, pensavo: queste sono le vere mastre». Quelle mani non pesano, non misurano, non consultano ricette scritte: sanno, sentono, trasformano gli ingredienti in comunità.

Le nonne dei due protagonisti hanno plasmato il loro rapporto con il cibo e con la convivialità. Buccio ricorda la nonna “Razietta” (Grazia), Giuliana il nonno Sal e la nonna Giovanna, ma è il nonno a cucinare di più, costruendo addirittura un braciere in muratura, il celebre “’u casotto”, dove ogni domenica arrostisce pollo per tavolate intere. Quelle tavolate, con pentoloni portati da tutte le donne della famiglia, erano il teatro di un’armonia complessa, fatta di sapori e risate, di gesti condivisi e di storie raccontate mentre il cibo cuoceva. Ci sono profumi che diventano memoria: «Il basilico – confessa Buccio – mi fa quasi piangere. Mi riporta all’infanzia, alla campagna, alla mia nonna». Giuliana sceglie invece il profumo delle scacce nel forno: «Quando lo senti, significa che siamo tutti insieme, che la famiglia è riunita, che è un giorno di festa». Sono odori che trasformano il cibo in tempo sospeso, in memoria, in legame, in radice.

Nonostante la tradizione antica, Buccio e Giuliana non rinunciano agli strumenti moderni: social, video, trasmissioni televisive. Ma la tecnologia è solo mezzo, non fine. Ogni mattina comincia con l’orto, il forno a brace, la cura della campagna costruita pietra dopo pietra in Via delle Palme. La routine è laboriosa ma autentica, e l’autenticità è la chiave per trasmettere un messaggio senza compromessi. Il loro sogno non è solo professionale, è umano. La tradizione, la memoria, la cucina autentica si mescolano così alla contemporaneità: il patrimonio delle nonne non è più confinato alla cucina domestica, ma diventa esperienza condivisa, racconto visivo e gustativo, incontro tra generazioni e culture. Buccio e Giuliana hanno trasformato la nostalgia in progetto, il ricordo in laboratorio e il gesto di cucinare in un atto di civiltà. Con ogni baccalà, ogni scaccia, ogni arancia raccolta dall’albero, restituiscono alla Sicilia un pezzo della sua anima più vera. E lo fanno senza artifici, con il rispetto del tempo, del sapore e della storia.
