I focolai di maggiore rischio sono la lavorazione delle carni (41,1%), la produzione di prodotti da forno (32,1%) e l'industria lattiero-casearia (8,2%), dove mansioni come panificazione e pasticceria, o il trattamento della carne e del pesce, risultano le più esposte.
Il prezzo nascosto del successo: industria alimentare, crescita a rischio
L'industria alimentare italiana si conferma un motore inarrestabile dell'economia, con oltre 444 mila addetti e più di 51 mila imprese che dimostrano una resilienza notevole, persino in periodi di crisi. Eppure, dietro i numeri della crescita si cela un trend allarmante. L'ultimo focus INAIL (agosto 2025) rivela un costo umano inaccettabile: a fronte della prosperità economica, il settore registra un significativo e preoccupante aumento di infortuni sul lavoro e malattie professionali. Il fronte più critico è quello delle malattie professionali. Le denunce del 2024 hanno raggiunto quota 2.107, con un balzo del 30% rispetto all'anno precedente. Questo dato colloca l'industria alimentare al secondo posto nel manifatturiero, subito dopo la fabbricazione di prodotti in metallo. La natura delle patologie riflette l'usura fisica e la ripetitività dei compiti: il 77% dei casi riguarda disturbi del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo (come dorsopatie e tendiniti), patologie legate a posture scorrette e sforzi ripetuti che sono più che raddoppiate nell'ultimo quinquennio. Due lavoratori su tre colpiti si trovano nella fascia d'età 50-64 anni, a testimonianza degli anni di esposizione a rischi ergonomici.

I focolai di maggiore rischio sono la lavorazione delle carni (41,1%), la produzione di prodotti da forno (32,1%) e l'industria lattiero-casearia (8,2%), dove mansioni come panificazione e pasticceria, o la lavorazione della carne e del pesce, risultano le più esposte. Anche il quadro infortunistico è in netta progressione. Nel quinquennio 2020-2024, le denunce sono aumentate di quasi il 20%, passando da 9.422 a 11.281. Colpisce l'impennata dei casi "in itinere", che ora rappresentano oltre il 16% del totale, un indicatore della pressione sui tempi e ritmi di vita dei lavoratori. I segmenti della lavorazione e conservazione delle carni e della produzione di prodotti da forno concentrano oltre la metà degli infortuni. I professionisti più colpiti sono macellai, panettieri, addetti alle macchine confezionatrici e commessi, figure sottoposte a rischi elevati di taglio, schiacciamento e sforzi intensi. Le mani (36,1%) e la colonna vertebrale sono le parti del corpo più coinvolte.

Un dato socio-demografico rilevante è l'alta incidenza tra i lavoratori stranieri (circa il 15% delle denunce), molti dei quali impiegati nelle mansioni manuali e ad alta intensità fisica dei settori più rischiosi (lavorazione delle carni e panificazione). Il dossier INAIL dipinge chiaramente le due facce dell'industria alimentare: una potenza economica che cresce, ma che contemporaneamente sacrifica la salute dei suoi dipendenti. Per le organizzazioni del settore, il messaggio è inequivocabile: la prevenzione non può più essere considerata un mero adempimento burocratico. È imperativo integrarla come elemento strutturale della strategia aziendale. Innovazione tecnologica, ergonomia dei processi, formazione continua e una scrupolosa sorveglianza sanitaria devono essere percepiti come investimenti strategici capaci di generare ritorni in termini di maggiore produttività e riduzione dei costi sociali e aziendali derivanti da assenze e inabilità. L'industria alimentare ha la responsabilità di garantire che la sua crescita sia sostenibile non solo economicamente, ma soprattutto umanamente.