Attualità enogastronomica

Corea del Sud, ristoratore dice basta agli ospiti con i PC: “Occupano il locale per ore”

di:
Elisa Erriu
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copertina clienti al pc

A Jeonju, un caffè ha introdotto il cartello “No Study Zone”: massimo due ore per chi usa lo spazio come aula o ufficio. «Due persone finivano per occupare spazio quanto dieci clienti normali», spiega il titolare.

La notizia

Un cavo che striscia tra i tavoli, un power strip con sei prese che sembra un polipo tecnologico e due portatili accesi a occupare la stessa scrivania improvvisata: più che un bar di quartiere, certi caffè di Seul assomigliano ormai a coworking low cost. In Corea del Sud questo fenomeno ha un nome preciso – cagongjok – e una reputazione controversa. Sono soprattutto giovani studenti e lavoratori che trasformano le caffetterie in biblioteche, spazi di studio e, in casi estremi, in uffici personali. Hyun Sung-joo, gestore di un locale a Daechi, quartiere noto per le sue scuole private e gli affitti stellari, ricorda l’episodio con un misto di ironia e frustrazione ai microfoni di BBC «Un cliente si è presentato con due laptop e una ciabatta multipla. È rimasto lì l’intera giornata. Alla fine ho dovuto bloccare le prese della corrente». Per un esercente che paga affitti esorbitanti, avere un tavolo occupato per dieci ore da un solo caffè ordinato non è certo sostenibile. La scena non è isolata. Starbucks Corea, il colosso che più di altri ha saputo intercettare questa clientela, ha recentemente introdotto linee guida per arginare gli “abusi”: niente monitor esterni, stampanti o scrivanie improvvisate lasciate deserte per ore. L’azienda parla di “casi estremi” ma riconosce che il problema esiste, anche per ragioni di sicurezza: non è raro che zaini e computer abbandonati diventino bersaglio di furti. Il fenomeno dei cagongjok non può essere separato dall’esplosione del settore.

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Negli ultimi cinque anni, secondo il National Tax Service, i caffè in Corea del Sud sono aumentati del 48%, sfiorando quota centomila. Una cifra impressionante che racconta di un paese in cui il consumo di caffè non è più solo un’abitudine, ma un vero rito sociale ed economico. Quasi il 70% della Gen Z sudcoreana – secondo un sondaggio Jinhaksa Catch su oltre duemila aspiranti lavoratori – dichiara di studiare almeno una volta a settimana in un bar. Una percentuale che, confrontata con i dati europei, mette in luce quanto questa pratica sia radicata nella vita quotidiana. I proprietari reagiscono in modi diversi. Hyun, con quindici anni di esperienza, si dice tollerante verso chi resta a lungo purché ordini qualcosa in più: «La maggior parte è rispettosa. È forse il due o tre per cento a esagerare». Altri, invece, preferiscono regole rigide. A Jeonju, un caffè ha introdotto il cartello “No Study Zone”: massimo due ore per chi usa lo spazio come aula o ufficio. «Due persone finivano per occupare spazio quanto dieci clienti normali», spiega il titolare. Non è una guerra ai giovani, sottolinea, ma un tentativo di evitare conflitti tra clienti che desiderano semplicemente bere un caffè e chi considera la caffetteria un’estensione della propria stanza.

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C’è anche chi ha scelto l’approccio opposto, attrezzando i locali con prese elettriche a ogni tavolo, scrivanie singole e orari più permissivi. Perché, se gestito bene, il cagongjok rappresenta anche un bacino di clientela fedele. Per la professoressa Choi Ra-young dell’Università di Ansan, il cagongjok è figlio diretto del contesto culturale. «È una cultura giovanile plasmata da una società iper-competitiva», spiega. Studenti e aspiranti lavoratori vivono sotto la pressione costante degli esami, della precarietà professionale e di abitazioni spesso piccole e soffocanti. Non sorprende, allora, che cerchino nel bar quell’equilibrio impossibile da trovare altrove. Un tavolo condiviso, un sottofondo musicale, una tazza che si raffredda lentamente: dettagli che creano una cornice psicologica di stabilità. «Sono visti come un fastidio, ma sono in realtà il prodotto di una struttura sociale che non offre spazi pubblici adeguati», osserva Choi. Resta da capire se questa cultura sia destinata a stabilizzarsi o a dissolversi. Starbucks e altre catene provano a regolarla senza stroncarla, mentre i piccoli caffè oscillano tra la necessità di sopravvivere e quella di accogliere. Il cagongjok racconta meglio di mille saggi il volto della Corea del Sud contemporanea: giovani sospesi tra l’ansia di prestazione e la ricerca di un luogo in cui sentirsi, almeno per qualche ora, al riparo. Nel rumore discreto delle macchine da espresso, la loro storia continua a scriversi, laptop dopo laptop, tazza dopo tazza.

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