Non si tratta di un ristorante qualunque, ma di una faccenda di comunità: un luogo che ha dato a San Piero in Bagno un motivo di resilienza e identità, qualcosa che qui difendono e raccontano come fosse parte del loro stesso incedere quotidiano.
Foto di Nicolò Brunelli
Il ristorante
Io, uno di tre gastronauti in cerca d’aperitivo, mica di gloria. Seduti al tavolino storto d’un bar di San Piero in Bagno, con una pinsa farcita di coppa che sa vagamente di rancido e un cremantino che quasi fa rimpiangere lo spritz, ci guardiamo intorno in attesa che l’ora si faccia propizia. Ci accorgiamo presto di un fatto singolare: la gente del paese, se individua un gruppo di forestieri, non discute del meteo, né di calcio, né del prezzo del gasolio. No, qui parlano tutti di un ristorante. “Da Gorini”, scandiscono con devozione.

«Ma cos’ha questo ristorante che vi rende così orgogliosi?» domando a bassa voce, osservando la barista che ci serve con aria fiera. La donna smette un attimo di versare, si raddrizza e risponde senza esitazioni: «Da Gorini non è solo un posto dove si mangia. È il nostro biglietto da visita, la prova che anche un borgo di montagna sperduto può diventare un punto di riferimento.» Noi tre ci scambiamo un mezzo sorriso. Intuiamo che non si tratta di un ristorante qualunque, ma di una faccenda di comunità: un luogo che ha dato a San Piero in Bagno un motivo di resilienza e identità, qualcosa che qui difendono e raccontano come fosse parte del loro stesso incedere quotidiano.

Un avamposto dove la comunità intera si specchia nel talento di un ragazzo che ha scelto di restare, di cucinare la sua terra e di offrirla in tavola come fosse poesia. Salutiamo e in pochi minuti siamo davanti a una porta semplice, discreta, quasi timida. Sopra, una scritta sobria: Da Gorini. Un vero affare di famiglia.

Nessuna ostentazione, nessun lusso da cartolina: c’è calore. Un camino pronto a vegliare sulle lunghe giornate invernali, un ambiente sobrio, tavoli ben distanziati. Nell’aria profumo di pietra, di resina e di erbe aromatiche. Ad accoglierci un personale giovane, sorridente, preparato senza essere invadente. Nessun inchino forzato, nessuna pantomima da locale stellato, pur essendolo: soltanto la naturalezza di chi sa che il proprio lavoro parla da sé.



I piatti
Prima ancora che arrivino i panificati, ecco l’aperitivo: un prologo che è già dichiarazione d’intenti. Un Scarlet bitter, sorprendentemente delicato, accenna appena alla sua verve amaricante: non graffia, non stanca, ma preannuncia una delle linee sottili che guideranno l’intero percorso gastronomico. Lo stesso respiro ritorna nel piccolo fritto di erbe spontanee, leggero e croccante, accompagnato da una maionese elegante che spalanca allo stomaco un’apertura appetitosa. È un rito d’ingresso, discreto e misurato: non un colpo di teatro, ma il varco rispettoso al menu, alle sue suggestioni e alle sue promesse. Non occorrono spiegazioni complicate: Gorini prende la Romagna più autentica e la porta in tavola, con rispetto e con coraggio.

Il suo menu è un’opera compiuta, senza sbavature. Una tensione equilibrata che ricorda le Tre Grazie del Canova: tre figure che si sostengono a vicenda, distinte eppure inseparabili. Così, nei piatti, si muovono tre anime ben caratterizzate: l’acidità, che rinfresca e accende; il piccante, che dà nerbo e profondità; e l’amaro, che accompagna con discrezione e lega il tutto. Un gioco calibrato, talvolta impercettibile, che regge l’intero percorso e lo rende armonico, necessario, memorabile. Il viaggio gustativo si apre con la trota marinata, servita con le sue uova, lo zafferano e un tocco di limone salato: un avvio che profuma di acqua dolce e di sole, fondato sull’equilibrio tra sapidità e freschezza.

Poi i funghi galletti, accostati con albicocca, mandorla e nepetella: un piatto che racconta insieme bosco e frutteto, con un gioco di dolcezze e note verdi che sorprende e conquista. L’animella fritta non ammette esitazioni: croccante e vigorosa, ma alleggerita dall’aceto e dal finocchio di mare, mentre le cozze la riportano al respiro del litorale adriatico. Le mezze maniche tiepide con pecorino di fossa, fichi e pepe verde stupiscono per temperatura e intensità: non il classico piatto fumante, ma un equilibrio raffinato tra cremosità, dolcezza e speziatura. Il risotto alla lavanda con concentrato di pomodoro grigliato è poesia pura: floreale e mediterraneo al tempo stesso, un piatto che sembra inventare un nuovo alfabeto dei sapori senza tradire le radici.

Poi l’anatroccolo in due servizi: prima il petto, arrostito con uva fragola e garofano, profumato e avvolgente; poi la coscia, fondente al vino rosso, che porta in tavola profondità e calore. Il fegato di cinghiale alla pizzaiola di rosa canina è forse il piatto più audace: selvatico e delicato insieme, con la rosa che addolcisce e rilancia la sua forza. Lo Spaghetto Tonico è un lampo di energia: essenziale e diretto, tra innovazione e vitalità contemporanea.


Infine, il carpaccio di cocomero con pompelmo rosa, fragoline di bosco e cioccolato chiude il percorso con leggerezza e ironia: un dolce che sembra estate liquida, capace di dissetare e sorprendere senza gravare. Nella descrizione del menu ho scelto di restare volutamente sul vago. Ho accennato solo ai tratti essenziali, senza rivelare come i tre fili conduttori — acidità, piccante e amaro — si intreccino e si rincorrano in ogni portata. Ho preferito lasciare intatto il piacere della scoperta, perché è nel susseguirsi dei piatti che il disegno si compone: un crescendo di audacia e misura, fino a culminare in un reset palatale balsamico, capace di dissolvere ogni preconcetto loprioristico e liberare i sensi. In quell’istante la mente si apre, nuda e disponibile, e il gusto diventa strumento di un volo inatteso, quasi metafisico, verso l’infinito ed oltre.

Contatti
Da Gorini
Aperti tutti i giorni a cena, tranne il Martedì.
Aperti a pranzo il Sabato, la Domenica e il Lunedì
Via Giuseppe Verdi 5, S. Piero in Bagno (FC)
Tel: 0543 1908056
Mail: info@dagorini.it