Alta cucina

Heston Blumenthal: "Nel mio 3 stelle riduco le porzioni”. La reazione social

di:
Elisa Erriu
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copertina blumenthal menu ridotto

«Milioni di persone stanno mangiando molto meno, bevendo meno, perdendo interesse nei ristoranti, persino nel cibo stesso», ha spiegato Blumenthal, che utilizza personalmente farmaci dimagranti per contrastare l’aumento di peso. E allora, via alle porzioni ridotte fino al 50%- con qualche critica ragionata sui potenziali rischi dell'operazione, che alcuni network hanno esposto nei giorni scorsi.

Il paradosso della nostra epoca si consuma a tavola: milioni di persone cercano nei farmaci il modo per liberarsi dall’appetito, mentre l’alta cucina ha sempre vissuto di desiderio, di attesa, di piacere che si trasforma in rito. A raccogliere questa sfida quasi filosofica è Heston Blumenthal, uno dei più radicali innovatori della gastronomia contemporanea, che ha appena presentato un nuovo menù pensato per chi utilizza farmaci soppressori dell’appetito come Mounjaro o Wegovy.

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Il progetto, battezzato The Mindful Experience, rappresenta molto più di un semplice ridimensionamento delle porzioni: è un tentativo di dialogare con un pubblico che mangia meno, spesso con meno entusiasmo, ma che non vuole rinunciare al valore culturale e sensoriale dell’esperienza al ristorante.

Dal Fat Duck a una nuova “esperienza consapevole”

Il celebre Fat Duck, ristorante tre stelle Michelin che ha fatto la storia della cucina molecolare, rimane il palcoscenico in cui questo nuovo menù prende vita. Rispetto al colossale percorso degustazione chiamato Journey, noto per i suoi continui rimandi alla memoria e all’infanzia, The Mindful Experience, secondo quanto riportato da fruitnet.com, si propone come una versione “scalata”, in cui texture e sapori restano protagonisti, ma calibrati su un pubblico che non vuole sentirsi sopraffatto dal cibo. Quindi, via a riduzioni del 20-30% sul totale della portata intera, con picchi che toccano quota 50%.

heston blumenthal menu ridotto
 

«Milioni di persone stanno mangiando molto meno, bevendo meno, perdendo interesse nei ristoranti, persino nel cibo stesso», ha spiegato Blumenthal, che utilizza personalmente farmaci dimagranti per contrastare l’aumento di peso dovuto alle terapie per il disturbo bipolare. «Uno degli effetti inattesi dell’assunzione di Mounjaro è che sono diventato ancora più consapevole delle mie papille gustative e di come funziona la fame. Mangio in modo più attento, più mirato».

La rivoluzione silenziosa delle diete farmacologiche

Il fenomeno non è marginale. Nel Regno Unito circa il 4% della popolazione adulta utilizza farmaci di nuova generazione per perdere peso, disponibili anche tramite il sistema sanitario. Un ulteriore 28% ha dichiarato di volerli provare in futuro. Si tratta di numeri che descrivono un cambiamento radicale nelle abitudini di consumo e che potrebbero avere ricadute profonde sulla ristorazione e sull’industria alimentare. Chi assume questi farmaci non solo riduce la quantità di cibo ingerito, ma tende a modificare anche la qualità delle scelte: meno alimenti indulgenti, più prodotti freschi, porzioni ridotte, un nuovo equilibrio che mette in crisi i modelli tradizionali del “piacere di mangiare”.

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Lo stesso Blumenthal lo riconosce con un tocco ironico: «Un tempo si scherzava sul fatto che le porzioni di un menù degustazione fossero talmente piccole da costringere a fermarsi per un burger sulla via di casa. Ora, invece, mentre bisogni, aspettative e appetiti cambiano, forse un menù costruito con questa attenzione è proprio la risposta che molti cercano».

Una sfida al concetto di ristorante

Se l’industria americana ha già iniziato ad adattarsi con kit pasto “funzionali” e calibrati su fibre e proteine, la proposta di Blumenthal porta la questione sul piano dell’alta cucina. Non si tratta solo di ridurre calorie, ma di reinventare la narrazione gastronomica per chi non trova più lo stesso piacere nell’atto di mangiare.

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Con The Mindful Experience, il Fat Duck si interroga sul valore del tempo, del ritmo e dell’intensità sensoriale in un’epoca in cui la sazietà è farmacologicamente indotta. La sfida non è più stupire con effetti speciali, ma modulare sapori e consistenze per creare un’esperienza che non soffochi il commensale, anzi lo accompagni in un percorso più intimo e riflessivo. D'altra parte, le criticità a livello comunicativo e psicologico non mancano; si rischia infatti di trasmettere un messaggio distorto, quando l'esperienza gastronomica d'alta cucina è sempre stata correlata al piacere intrinseco della scoperta. Il fine dining è ricerca del gusto consapevole, non restrizione e conteggio calorico. Segnaliamo in tal senso la bellissima riflessione del giornalista di Food&Wine Leonardo Ciccarelli, che potete leggere qui.

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Il nuovo percorso costa 275 sterline a persona, una cifra che riflette non solo la complessità dei piatti, ma anche il modello quasi teatrale di servizio: al Fat Duck i cuochi e i camerieri sono quasi tanti quanti gli ospiti in sala, un’architettura umana che rende possibile l’altissima precisione del rito gastronomico. Blumenthal non rinnega il fasto della sua cucina: piuttosto, lo modula in un contesto storico in cui la tavola deve confrontarsi con un pubblico che chiede meno quantità e più consapevolezza. Quella che oggi sembra una sperimentazione di nicchia potrebbe presto diventare la norma. Se davvero milioni di persone ridurranno drasticamente l’appetito, ristoranti e produttori dovranno inventarsi un nuovo linguaggio del cibo. E in questo scenario Heston Blumenthal, con la sua vocazione pionieristica, ancora una volta apre la strada, trasformando il vincolo in possibilità creativa. Con qualche legittima critica di contorno.

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