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Simone Cantafio alla Stüa de Michil: la nuova cucina altoatesina che porta il mondo a Corvara

di:
Lucia Facchini
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Simone Cantafio si conferma un paesaggista delle alture, capace di ritrarre la montagna su tavola mettendo l'artigiano in primo piano. Così, alla Stüa de Michil il boccone prende quota col pensiero, in una pièce corale che sa di "karumi" -la profondità dell'essenza.

Foto dei nuovi piatti: crediti Michele Galluccio

Niente nasce in cucina, tutto inizia fuori. Una schiena curva sulle primizie lucide di brina, gli odori alpestri dell'animale svezzato in quota, il patto di fiducia col casaro che ha scelto di donare al cuoco la parte più intima del suo mestiere. Niente potrebbe nascere in uno spazio fumoso stretto fra quattro pareti, se non il ricordo maturo di quanto si è appreso all'esterno.

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Eppure, a guardare il brulichìo complice della brigata di Simone Cantafio nel bel mezzo del servizio, lo iato ambientale proprio non sussiste: il ritmo del gesto sembra incorporare in blocco quel sapere contadino grazie a cui si sta lavando delicatamente un germoglio appena colto o sistemando una corolla a guarnizione. L'esito sarà un'insalata di 51 elementi vegetali capaci di far comunella fino all'ultimo scatto di mandibola, a dimostrare che -sì- 'La Terra è Viva". Quattro termini per riassumere un menu dove l'etica sorvola la retorica, lasciando il palco libero a chi sta dietro (e non davanti) al simposio fotogenico dell'alta ristorazione.

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Team La Stua de Michil
 

L'hotel La Perla, dalla Stüa de Michil al Bistrot

1500 metri e un'ex pensione per sciatori convertita in rifugio 5 stelle: è nel "nido dolomitico" della Perla di Corvara che alberga la Stüa de Michil, insegna eretta sul pensiero di Michil Costa quale piedistallo naturale dell'ecosistema in vetta (ed oggi affidata totalmente alla direzione di Simone Cantafio, ndr). Ma avrebbe poco senso parlare di luxury travel & business plan: qui la chiave d'accesso sta nella calda e quieta aura di "Casa" -"ciasa", per dirlo in ladino- come se il senso stesso del viaggio fosse il transfer da una dimora all'altra. Sullo sfondo, i toni diffusi di un'eleganza che di squillante non ha nulla, eccetto forse il rosso dei drappi e dei salottini allestiti per arrotondare con vivacità i profili raw del legno.

La Stua de Michil
 

Verrebbe facile entrare in argomento partendo dalle oltre 30.000 bottiglie della cantina sotterranea, Mahatma Wine (preparatevi a veder scivolare giù da una botola i sommelier durante il servizio, sfruttando un piccolo passaggio segreto per raggiungerla); oppure, ancora, indugiare sul burro montato onnipresente da colazione a cena e sulla compilation della stube 1 stella Michelin, con un assortimento di hits variabile di sera in sera (nel nostro caso, difficile scegliere fra Aretha Franklin ed Ella Fitzgerald).

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Tuttavia, a marcare lo stacco col solito complesso di lusso dai formalismi facili è un ricamo di rapporti che ammanta di umanità l'intero soggiorno: l'acqua aromatizzata di montagna e il "Bun dé" incluso nel sorriso al check-in; le cartoline maison scelte con cura per ridipingere un "presente d'epoca" in suite; le dritte sui sentieri giusti da collezionare una ad una la mattina seguente, con tanto di bastoncini da trekking e zainetto procurati al risveglio da Matthias Costa (custode, insieme al fratello Michil, di immemori rituali d'accoglienza).

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Così, d'un tratto, il nucleo madre ingloba gli ultimi arrivati, spandendo ovunque le premure di chi pratica l'empatia quale esercizio quotidiano. E allora, il tempo appare diluito nella sua medesima estensione: alle finestre le creste millenarie, all'interno una timeline decennale che sfiora ogni fase evolutiva del minimondo Costa.

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Del resto, proprio il tempo dà nome (e corpo) alla carta di Antonio Virili, bar manager del Bistrot: "Quest'anno abbiamo voluto articolare un percorso che passa in rassegna il ciclo vitale della mixology, dagli albori del bancone alle tendenze di domani". Dunque, è subito effetto revival con gli intramontabili Lucien Gaudin e Old Cuban, mentre l'attualità sterza sul sentiero delle sperimentazioni analcoliche e la sezione "Timeless" aggiunge punti col Casa Costa Martini: "La riedizione di un best seller, poiché vi impieghiamo il nostro gin, frutto di uno studio meticoloso sulle botaniche condotto insieme alla Tripstillery di Flavio Angiolillo".

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Ne risalta il sigillo in ceralacca, spia di un'enfasi sui particolari che investe pure i mini-drink illustrati con le sagome dei membri della famiglia, dal Negroni Aged all'Old Fashioned. A proposito di richiami visivi, in menu ciascun bicchiere viene ritratto accanto al cocktail corrispondente facilitando il colpo d'occhio (novizi all'ascolto, non temiate di smarrirvi nei labirinti del beverage d'autore). "Sotto la voce 'Future'", spiega ancora Antonio, "abbiamo radunato quattro ricette tendenti al vegetale". Fra queste, lo shiso, che segue a ruota le influenze orientali dello chef Cantafio -"servito in stile Vesper Martini dentro una ciotolina giapponese con ghiaccio e relativa foglia". Poi, peperone e salvia. "Né manca il cappero, a mo' di whisky sour". La regia integra il sorso a dovere, ed ecco spianata la strada a una degustazione "liquida" che -vuotati i bicchieri- ci conduce dritti in Stüa.

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Il nuovo menu di Simone Cantafio: La Terra è viva

Alla luce pacata delle candele che indorano la stube, Simone Cantafio si conferma un vero paesaggista delle alture, capace di affrescare la montagna su tavola ponendo l'artigiano in primo piano. Ed è proprio la connessione umana il punto cardine di un itinerario dove, nel giro di un cambio di posate, la squadra riesce abilmente ad orientarsi tra la biodiversità "camouflage" dei prati e gli inquilini nascosti dei laghi alpini, fino alle profondità baritonali del sottobosco.

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A rompere il ghiaccio dei rilievi corvaresi è un Bao fritto, pane fluffy di scuola asiatica farcito con una spuma di mortadella di mangaliza. "Si tratta di un maialino allevato dal nostro amico Gunther", racconta Simone con Matteo Terranova e Alessio Ferraro, giovani assi di brigata. "Non un venditore, né un fornitore, ma un pozzo di scienza botanica della Val di Funes che ci consegna sempre una scintilla di sapere assieme al raccolto". Perché, in fondo, "La Terra è Viva" significa questo: stringere il nodo invisibile che va dal suolo al paniere, dalle braccia in campo al boccone in embrione. Non a caso, giungono dalla Calabria (precisamente da "Come un tempo", azienda del cugino dello chef Agostino Nanci) i pomodorini freschi dell'orto tradotti in una solare quenelle tardo-estiva, che a sua volta precede il Pinzimonio all'italiana con verdure leggermente scottate e rinforzo tattico di 'nduja; una virgola spicy è esattamente quanto basta ad archiviare nella memoria il trastullo del Cubo di pandolce fritto, peperone crusco e tartare di manzo di zona. 

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L'ingresso del pane a passo felpato -quello di Nicoleta, mâitre con un raro talento di narrazione in sala- mette in caldo un'idea che diventerà via via il tema passepartout delle corse successive. Non riusciremmo a trovare un termine migliore di Karumi -"levità", coniato dal grande poeta giapponese Matsuo Bashō- per condensare in sei lettere il flusso della degustazione, introdotta da una sfornata che abbraccia i continenti. Vicino al Buchteln (specialità tipica altoatesina, stavolta in una controfigura salata a base di farina di farro e patate) compare infatti il Lavash, street food mediorientale di farina di mais che alla Stüa ricalca i contorni dei versanti dolomitici. L'imprinting (accelerato non poco dal burro della Val di Vizze!) è uno sguardo aereo sul valore dell'alimento principe; uno scrocchio sonoro e una soffice mollica a riempire le guance contemporaneamente in ogni singola "ciasa" del globo. Di colpo la semplicità del pane porta i sensi in ascesa, così come la "leggerezza" di Bashō invita a cogliere la ricchezza dell'essenza.

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Il profumo inonda le narici qualche secondo prima di focalizzare il girotondo "a tutte spore" di Una passeggiata nel bosco: la purezza del brodo, il richiamo della foresta. Davanti a noi, un "mangia e bevi" denso di aromi che risalgono una scala d'intensità progressiva, enfatizzando l'indole decisa dei funghi selvatici della Val Badia. La mordenza viene da un curioso "tofu all'italiana".

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"Al posto dei fagiolini di soia, utilizziamo una cagliata di latte di ceci di montagna, che trattiamo al pari di una 'ricottina' e a seguire friggiamo con farina di riso", spiega Simone. Senonché, Günther fa nuovamente capolino col suo speck solubile in bocca, adagiato sul side di sfoglia e crema ai funghi. Un velo di eleganza nipponica completa l'outfit di stoffa locale. 

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Scaldati i toni e gli umori si è davvero pronti per L'uomo e la terra, l'insalata "a 51 voci" citata qualche riga sopra; qui il coretto erbaceo schiude una dedica a Michel Bras, "mentore che ha segnato la mia formazione in modo indelebile", ricorda lo chef. In bocca ciascuna componente passa il testimone all'altra col veicolo di un dressing comune: "Per accentuare la freschezza, sono partito dalle reminescenze dell'insalata di finocchi di mia mamma", confessa. Centra il bersaglio l'aggiunta di limone e di un'ombra d'ostrica "quasi impalpabile, per allungare la percezione complessiva senza distrarre dalle sfumature cangianti del bouquet".

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Nondimeno, sembrano cesellati i Cajinci di segale, portagioie "al cucchiaio" con un piccolo-grande segreto nascosto nella sfoglia: "Abbiamo conosciuto i Franz, ultima famiglia di pescatori rimasta a perpetuare la propria arte centenaria sul Lago di Garda: continuano a calar le reti dopo generazioni e generazioni, tollerando il sacrificio e la fatica. Con i loro agoni al naturale ed affumicati andiamo a farcire l'impasto di farina di segale di Günther, plasmando un raviolo autoctono (i Cajinci, appunto) che accorpa secoli di esperienza in pochi centimetri di pasta fresca". Il metodo rimodella dolcemente l'uso casalingo grazie all'emulsione di patate, le sfere di cetriolo e il caviale di aringa in uscita: un balletto emozionale tra sapido, succoso e smoky.

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Parla da solo il nome della triglia: "28 ore e 50 secondi". Timer alla mano, occorre oltre un giorno di cottura (e non un minuto di meno) per replicare fedelmente la salsa ai pomodori calabresi della nonna dello chef, vero elemento clou della preparazione in luogo del pesce. Scorciatoie "meccaniche"? Non pervenute: "Procediamo con un passino armandoci di pazienza, sino ad ottenere una polpa finissima. Il liquido decanta e quel che resta è la crème de la crème del pomodoro maturo". L'intingolo vermiglio dà contrasto ad una proteina animale appena accarezzata dalla fiamma. Torna il "Karumi" ed è un elogio alla materia assoluta, un green deal inatteso.

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Il "Trancio di felicità" ha la fibra burrosa del maialino di Vipiteno, più un cadeaux olfattivo in assonanza: "Dai sentori percepiti durante le visite agli allevamenti è scaturita l'idea di inserire nel piatto una pelle di latte leggermente fumé". Ne deriva la medesima scia odorosa del brodo di funghi, traslata sulla proteina animale per stimolare in primis il naso. Momento goduria con la salsa di senape francese e colza, leggermente spinta sulla tostatura, e il pane naan per un secondo round di lievitati dal mondo. Dallo stock delle meraviglie di Mahatma Wine esce allo scoperto un Barolo DOCG 'Villero' 2017 di Oddero, proposto dal team di sommelier Erika, Andrea e Francesco a coronamento di un pairing che scocca bene le sue frecce.

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Il dessert scavalla il recinto della mera teoria applicata per lasciare una fresca impressione d'alpeggio. Non si dimentica, Floreale, col suo tris di melitoto, camomilla e regina dei prati ad evocare le passaggiate domenicali dello chef in famiglia. Popcorn e gelato al caramello salato coprono una confettura di amarene selvatiche che reincolla pezzi di memoria dimenticata.

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Sulla stessa scorta, i dolcetti del saluto, a punteggiare di nostalgia il cestino di vimini poggiato sulla tovaglia. Si va dall'Orsetto gommoso a base di fragole e aceto balsamico ai Ricciarelli di pasta di mandorle e confettura di albicocca, per concludere con un Simil-Mikado "scoppiettante", ispirato alle caramelle Frizzy Pazzy. La copertina di Linus che chiunque vorrebbe per scivolare in un dolce sonno a fine cena: se il "Karumi" ha un gusto, è questo.

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Indirizzo

La Stüa de Michil – Simone Cantafio

Str. Col Alt, 105, 39033 Corvara in Badia BZ

Tel: 0471 831000

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