Attualità enogastronomica

Austria, costretto a licenziarsi perché ha chiesto la malattia: chef perde il lavoro

di:
Silvia Morstabilini
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copertina chef licenziato malattia

Cosa accade se un dipendente viene licenziato o firma una risoluzione consensuale del contratto durante un periodo di malattia? La vicenda di un cuoco del Mühlviertel, in Alta Austria (riportata qui da Rolling Pin), mette in luce un tema cruciale per molti lavoratori. Dopo essersi messo in malattia, l’uomo è stato convocato in azienda e, nonostante fosse in stampelle, è stato spinto dal datore di lavoro a firmare l’accordo di risoluzione del rapporto. Una scelta che, tuttavia, non ha annullato i suoi diritti alla retribuzione per malattia.

La pressione del datore di lavoro

Il cuoco aveva alle spalle circa quattro mesi di lavoro come sous chef. Due settimane dopo la malattia, il datore di lavoro lo ha chiamato a presentarsi in sede. Nonostante le difficoltà fisiche evidenti, il lavoratore ha rispettato la convocazione, presentandosi con le stampelle. In quella circostanza, l’azienda lo ha spinto a firmare la risoluzione consensuale del contratto. Una volta concluso il rapporto, il datore di lavoro si è però rifiutato di corrispondere la retribuzione dovuta per il periodo di malattia.

L’intervento della Camera del Lavoro

Di fronte al mancato pagamento, il cuoco si è rivolto alla Camera del Lavoro dell’Alta Austria (AK OÖ). L’istituzione ha subito fatto chiarezza: anche se il rapporto di lavoro si interrompe durante la malattia, il dipendente mantiene comunque il diritto alla retribuzione per un periodo definito dalla legge. In questo caso, al cuoco spettavano sei settimane di paga piena a partire dal primo giorno di malattia, seguite da quattro settimane al 50% della retribuzione.

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Le scuse del datore di lavoro

Inizialmente, l’azienda ha cercato di giustificarsi sostenendo che il dipendente, al momento della firma, si sentisse in salute. Un’affermazione difficilmente credibile, considerando che l’uomo si muoveva con l’aiuto delle stampelle. Inoltre, il lavoratore aveva informato il datore di lavoro della diagnosi e dell’operazione imminente, anche se non era tenuto a farlo. Solo dopo un secondo sollecito formale da parte della Camera del Lavoro, l’azienda ha ceduto e ha versato quanto dovuto: una somma pari a quasi 3.800 euro.

Perché conoscere i propri diritti è fondamentale

Il presidente dell’AK, Andreas Stangel, ha sottolineato l’importanza del caso: “Meglio una domanda in più che rinunciare ai propri diritti”. Troppo spesso, infatti, i lavoratori rinunciano a tutele fondamentali per mancanza di informazioni o per timore delle conseguenze. Questo caso dimostra che vale sempre la pena rivolgersi agli organi competenti per fare chiarezza e rivendicare ciò che spetta di diritto.

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Le basi legali del licenziamento in malattia

Dal punto di vista giuridico, in Austria non esiste un divieto assoluto di licenziamento durante il periodo di malattia. Tuttavia, il diritto alla retribuzione resta valido indipendentemente dalla modalità di cessazione del rapporto: sia in caso di licenziamento unilaterale, sia in caso di risoluzione consensuale. Nei primi dodici mesi di lavoro, il dipendente ha diritto a sei settimane di stipendio pieno e quattro a metà paga. Con l’aumentare dell’anzianità, questo periodo si estende fino a dodici settimane di retribuzione piena e quattro ridotte, dal 26° anno di servizio in poi.

Quando il diritto decade

Ci sono però delle eccezioni. Il lavoratore non ha diritto alla retribuzione per malattia se si dimette volontariamente, se il contratto scade naturalmente, se la cessazione avviene durante il periodo di prova o in caso di licenziamento per giusta causa. In tutti gli altri casi, invece, l’azienda non può sottrarsi al pagamento, né delegarlo agli enti assicurativi.

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Una lezione per tutti i lavoratori

Il caso del cuoco del Mühlviertel non è isolato e rappresenta un monito per molti. La conoscenza dei propri diritti e la disponibilità a farsi assistere da istituzioni come la Camera del Lavoro possono fare la differenza. A fronte di quasi 3.800 euro recuperati, questo episodio dimostra che tutelarsi non solo è possibile, ma necessario.

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