Sulle Alpi di Siusi, dentro un teatro di vetro per soli otto spettatori, la chef greca mette in scena un rito intimo: ogni piatto è un frammento della sua storia, ogni sapore è un colpo al senso del gusto.
Arrivare al Paradiso Pure.Living non è semplice, né casuale. Tornanti su tornanti, ma Ia bellezza all’arrivo vale la pena anche per chi soffre, come me, il mal d’auto a certe altezze. Ci si arrampica, una curva dietro l’altra, fino a che si rimane circondati dal verde e dalla natura, si superano abbondantemente i 2000 metri, dentro un paesaggio da cartolina: l’Alpe di Siusi, Dolomiti, patrimonio UNESCO e il Parco Naturale dello Sciliar-Catinaccio, incorniciano l’hotel vegano più particolare d’Italia.


È un’ascesa, un rituale. In inverno si sale con il gatto delle nevi. D’estate il fiato diventa corto con l’alta pressione. E già dal vialetto d’ingresso si capisce che non si è arrivati in un luogo qualunque. La facciata dell’hotel è una dichiarazione, e se un libro non va giudicato dalla copertina, forse in questo caso una piccola idea possiamo iniziare a farcela.


Grandi lumache blu si arrampicano sulle pareti esterne dell’hotel, è tutto surreale, magico, fuori luogo? No, direi inaspettato, fiabesco. Ad aggiungere sorpresa è la grande statua di Aurora, braccia conserte, il vestito è rosa, come il colore delle vette qui su alle prime luci della giornata - l’aurora appunto. Vicino la sua lumaca blu a farle compagnia. Anche la vista dalle camere pare urlare silenziosa, “benvenuti in Paradiso”. E il grigiore che ci accoglie non dà dispiacere, anzi, compete con tutto il resto per creare quell’atmosfera di lucido sogno.


Paradiso Pure.Living è indubbiamente l’hotel (vegano) più particolare d’Italia. Paradiso non è un luogo come gli altri. È una dichiarazione di libertà di Alexander e Maximilian Spögler, viaggiatori, sognatori, collezionisti. Di bellezza. Tanta bellezza. Si nutrono d’arte i due fratelli. Ne è disseminato l’hotel, le sue pareti, i suoi spazi comuni. Insolita, punk, informale, non convenzionale, sorridente e riflessiva. A loro immagine e somiglianza.


La famiglia Spögler – pionieri del veganismo nell’hotellerie di lusso – qui ha costruito un mondo coerente e visionario. Dopo LA VIMEA, il primo hotel vegano d’Italia, e I Pini, organic farmhouse vegana in Toscana, ecco il gioiello altoatesino dove tutto è pensato per ridurre l’impatto e amplificare la bellezza.



OMNIA Plant-Based, la stanza segreta dei ricordi
Il cuore dell’hotel è OMNIA Plant-Based: sei tavoli, una sala a vetri affacciata sulle cime e un braciere acceso che brilla fuori, nel silenzio. Si entra attraversando tende rosse, come sipari. Dentro, luci basse e fermentazioni in mostra: radici e verdure che si trasformano nel colore e nel gusto.

Al centro della scena c’è Aggeliki Charami, classe 1990, nata a Sparta e cresciuta a Elea, un piccolo villaggio nel sud della Grecia. C’era sempre una pentola sul fuoco con la quale la madre cucinava preparazioni semplici, il suo modo per dire “sono qui per te”. Da bambina avrebbe voluto fare la veterinaria, la sua rabbia nel vedere immagini di animali maltrattati ha trovato espressione - e che espressione - nella sua cucina.

Ha iniziato la sua carriera come cuoca ad Atene ed è arrivata sulle Dolomiti a fine 2024, dopo diverse esperienze e il passaggio al veganismo, proposto con successo anche al Koukoumi, un vegan-resort di lusso di Mykonos; al Daios Cove di Creta e al Comptoir 102 di Dubai. Una giovane chef, che dietro la tempra di chi ne ha vissute più di quanto avrebbe dovuto viverne, nasconde un cuore buono e una capacità - probabilmente innata, se non altro ben allenata - di trasformare gli ingredienti, far emergere i sapori più inaspettati e sorprendere. Continuamente.

Non so se la cucina possa essere elevata ad arte, ma alcuni elementi in comune possono esserci: c’è la fantasia, il pensiero e c’è la sua realizzazione. C’è l’astrazione e poi la concretizzazione visiva, olfattiva e gustativa. C’è poi chi è in grado di aggiungere un ulteriore elemento, quello che fa smuovere l’animo, i sentimenti, le emozioni. E così capita che durante la cena, nel tavolo accanto al mio, scorrano discrete sul volto di un commensale alcune lacrime. Non mi era mai capitato.

OMNIA Plant-Based è il diario di Aggeliki. Qui la cucina si fa racconto, poesia. Il ricordo viene trasportato nel presente tramite il gusto. I piatti vanno oltre la forma, rivelano emozioni forti, ricordi, amore, sofferenza. Ti basta guardarla, sentire il suo timbro di voce, il suo modo sereno di raccontare i momenti difficili, che si trasformano in orgoglio, vanto, forza dirompente. Emerge tutta la sua voglia di portare la cucina plant-based a livelli alti, altissimi. Tanta ricerca, continua ricerca. Sembra inarrestabile nel suo entusiasmo, nel suo voler emergere, raccontare, sempre al limite dell’emozione, al limite del suo guscio emotivo.

Una cena, dieci ricordi
Prima di iniziare, Aggeliki accoglie gli ospiti in cucina. Mostra ingredienti, racconta. Fa assaggiare una kombucha di sette anni e un koji che profuma di cereale e umami. Poi comincia il rito. C’è tutta la sua vita in quei piatti, fin da quel primo momento che in lacrime la madre le disse: “Se ci devi provare fallo ora, non aspettare”. E allora inizia. La Thailandia, la Cambogia, i viaggi e i ricordi, le tecniche, il senso del gusto. Difficilmente si ritrova una così grande capacità di centrare il gusto e i sapori a questo livello. Intensità, profondità. Tutto.


Dieci portate, un unico menu. Ogni piatto ha un’anima, un’origine, una storia. Non è una degustazione, è una biografia, ma anche un urlo al mondo, un modo per esprimersi. Ogni piatto è introdotto dalla chef in persona. Entra in sala con la brigata, come in una processione - siamo pur sempre in Paradiso - un susseguirsi di silenziosi atti di solennità che raccontano la genesi del piatto prima di svelarne gli ingredienti. È questo contatto diretto, questa vulnerabilità non nascosta e condivisa, a rendere OMNIA Plant-Based qualcosa che va oltre la cucina. Qualcosa in grado di scatenare emozioni, sentimenti e generare nuovi ricordi.

La sala è guidata da Anna Giusti, campana con precedenti esperienze tra Roma e Grecia, e con un’ottima abilità nella creazione di cocktail principalmente analcolici in combinazione con i piatti. E capace di aggiungere altri elementi al racconto.

Si parte con un ricordo di un’ostrica, dove la carnosità è data da funghi e la salinità da un’acqua di mare; viene accompagnata da una piantina, che in realtà è un fiore di zucca. Un inizio tranquillo, di certo non banale, prima di un’opera andante con picchi ancora più profondi, intensi, puri.


L’omaggio al suo paese Aggeliki lo fa con un’insalata greca, essenziale e intensa, fatta di pomodori, cetrioli, olive, acqua di fermentati ed erbe selvatiche. Già qui, gli accostamenti volti al raggiungimento dell'intensità gustativa fanno riflettere sulle sue capacità. Il piatto viene accompagnato da un cocktail a base di gin (analcolico) al timo, rosmarino, cordial al cetriolo e affumicato con il timo in un “bicchiere” a forma di uccellino.


Poi arriva un ricordo da bambina: uova e patate fritte. Ecco allora uno dei piatti più scenografici con la riproduzione di uovo servito all’interno di un uovo-fienile, con un tè salato di patate arrostite. Caldo, corroborante, umami. Servito all’interno di un bicchiere in cemento a ricordare il forno che veniva utilizzato per la cottura dei tuberi. Un sapore intenso, profondo che pulisce il palato, resettandolo dal finto tuorlo e bussando alla porta dei ricordi di ognuno di noi, con quella sensazione unica ma che appartiene a tutti, di quel piatto caldo quando fuori è freddo.


La brioche “flambé” parla di piacere puro, di mani che spezzano il pane caldo. Un capolavoro, ci si dimentica che è completamente plant-based, con una copertura leggera di cipolle. Viene accesa al tavolo, tra stupore, e la caramellizzazione della parte alcolica. E poi via con la scarpetta in una spuma di limone, origano e sale dalla consistenza soffice e burrosa. Il cocktail abbinato è rum (analcolico) infuso con funghi shiitake, liquore al caffè, cordial di shiitake, gocce di funghi fermentati e terminato con un’affumicatura al rosmarino




Red Silence è poesia pura: un ricordo del padre quando era ancora in vita, che portava gli animali della fattoria di famiglia in spiaggia a cercare refrigerio nei giorni più caldi. Lei lo accompagnava e poi restava sola mangiando anguria e guardando il mare. Questa immagine diventa così una zuppa di anguria servita con una spuma di acqua di mare.

Una delle portate più complesse per gusto e storia è il calamaro, presentato in una scatoletta di metallo, quella delle sardine in scatola per intenderci. Il mollusco è riletto con la pelle di scoby di kombucha. Il piatto viene abbinato a un cocktail di gin infuso all’alga kombu, cordial di dashi e kombu e un alga wakame. Con fierezza e commozione la chef ci racconta il perché di questo piatto: prima di iniziare a lavorare - intorno ai 13 anni - la Aggeliki ha vissuto un momento di difficoltà economica insieme alla mamma e al fratello.

Il cibo in scatola era la loro principale e monotona fonte di nutrimento. “Mangiavamo cibo in scatola, in particolare mi ricordo una volta che dissi che non volevo mangiare sempre le stesse cose. E così, non so come, mia mamma con solo 2-3 ingredienti preparò un risotto con il calamaro. Mi è rimasto questo concetto, insieme all’idea che sia sufficiente l’amore e la voglia di fare qualcosa per le persone che ami”.

C’è spazio anche per la leggerezza: noodles fai-da-te, con brodo di funghi e sacchetti di carta di riso da immergere e far sciogliere. “È ciò che mangio quando torno a casa”, dice Aggeliki. È anche un tributo ai suoi viaggi in Asia.

Piatto profondo, intenso, speziato, piccante. Il gran finale è un’ode alla Grecia: il souvlaki di funghi, e il “pollo” vegetale che è in realtà un altro fungo - il Chicken of the woods (Laetiporus sulphureus). Un insieme di tecniche di cucina tra oriente e occidente, ricerca degli ingredienti, cotture e culture, consistenze, memorie e ricordi, estetica, poesia e gusto. Dirompente, complesso, con il palato continuamente sollecitato da improvvisi scambi di sensazioni gustative, così familiari e così distanti nello stesso momento. Un sali-scendi tra acidità, tendenze dolci e profondo umami. Tutto in accordo. Tutto.



Si termina con la parte dolce, il riso al “latte” (koji) al caramello e un baklava, ripensato nella sostanza ma non nel gusto. Nulla è come sembra, ma tutto è profondamente vero. Non è solo il gusto. Presente e intenso. Ma è anche emozione, sentimento, omaggio ai vecchi ricordi e un’apertura di spazio ai nuovi.


Contatti
OMNIA Plant-Based Restaurant
Joch, 17, 39040 Castelrotto BZ
Telefono: 0471 727905