“Se un chilo di gamberi costa 45 euro, ma una porzione di paella ne costa 12, da qualche parte in alto mare ci sono persone sottopagate”. Lo chef invita a riflettere sui prezzi e il valore del lavoro.
L'opinione
Il profumo del riso che cuoce, il suono leggero delle code di gambero che sfrigolano in padella e, dietro ogni ingrediente, una rete invisibile di mani, mare e fatica. Quique Dacosta, chef pluristellato, non parla solo di cucina quando solleva il tema dei prezzi e delle condizioni di lavoro nel mondo gastronomico: parla di etica, sostenibilità e responsabilità. Durante una recente visita al Mercat Central di Valencia, ha trasformato una passeggiata tra banchi di frutti di mare e ortaggi in un’osservazione lucida e pungente sulle contraddizioni del cibo contemporaneo. Originario dell’Estremadura ma profondamente radicato nel Levante spagnolo, Dacosta ha costruito la sua fama internazionale proprio grazie a una cucina che celebra il territorio e la stagionalità, con il riso come punto focale. I gamberi di Dénia, per esempio, non sono semplici ingredienti: sono protagonisti, storia liquida di mare e mani che li hanno pescati, selezionati e custoditi con cura dal 1988, anno in cui Dacosta entrò al ristorante che oggi porta il suo nome come chef.

«Oggi, un gambero rosso di alta qualità non scende sotto i 200 euro», ha spiegato durante l’intervista a Cadena SER. E non è una lamentela sul costo: è una presa di coscienza. «Cosa vogliamo? Cosa c’è dietro la scelta di un prodotto? Sostenibilità ambientale, impegno verso il mio produttore…». Dietro ogni prezzo c’è la dignità di chi lavora, di chi passa ore in mare o tra le vigne, e lo chef lo sa bene: pagare di più non è una spesa, è un investimento. La visione di Dacosta mette in luce un paradosso che molti consumatori ignorano: un piatto di paella a dodici euro può sembrare accessibile, ma molto probabilmente nasconde sfruttamento e lavoro sottopagato. «Quando vedo una porzione a quel prezzo, penso automaticamente: chi è stato sfruttato? Chi c’è dietro? Se un chilo di gamberi costa 45 euro, ma una porzione di paella ne costa dodici, da qualche parte in alto mare ci sono persone sottopagate», riflette lo chef. Non è solo un commento morale, ma una valutazione pratica del legame diretto tra prezzo e condizioni di lavoro.


Per Dacosta, il valore di un ingrediente passa anche dai rapporti che coltiva personalmente con i fornitori. «Ho la capacità di moltiplicare il valore, di nobilitarlo», racconta. Qui il prezzo non è negoziabile: si cerca un accordo che rispetti le dimensioni del prodotto e l’impegno di chi lo produce. Non si tratta di una generosità teorica, ma di una filosofia concreta: ingredienti di qualità si ottengono solo quando chi li produce riceve un trattamento equo. E la riflessione dello chef si estende a tutta la filiera gastronomica. Nella sua cucina, alta o meno alta che sia, ogni euro speso conta. «Nell’economia nazionale siamo tutti più indigenti, ma in un ristorante come il mio, o in tanti altri, sappiamo che pagare 1 euro in più per un prodotto significa un salario più dignitoso per quel pescatore, quell’agricoltore, quell’allevatore… una vita migliore, tutto sommato», dice. La trasparenza, il rispetto e la sostenibilità non sono concetti astratti: influenzano concretamente la vita di persone e comunità. Questa attenzione al valore reale degli ingredienti si lega a un approccio gastronomico profondamente radicato nel territorio: non solo il gusto, ma la storia di chi coltiva, pesca e alleva.

Dacosta ricorda che ogni prodotto porta con sé il lavoro umano e il rispetto per l’ambiente. «Cosa scegliamo quando scegliamo un prodotto? Quale prezzo siamo disposti a pagare per garantire che la produzione sia etica e sostenibile?», chiede, invitando consumatori e colleghi a riflettere sul senso del mangiare. La sfida, dunque, non è solo culinaria: è politica, sociale e morale. L’alta cucina diventa così una lente d’ingrandimento sulla società, un osservatorio privilegiato dove il prezzo di un piatto diventa misura di equità, dignità e attenzione all’ambiente. Quando Dacosta osserva il mercato di Valencia, non vede solo gamberi o riso, ma storie di mare, mani e impegno che meritano riconoscimento. La lezione è chiara: scegliere bene gli ingredienti non significa solo elevare un piatto, ma onorare chi lo rende possibile. In un’epoca di fast food e prezzi stracciati, l’appello di Quique Dacosta suona come un monito prezioso: ogni euro speso con consapevolezza è un voto a favore della qualità, della giustizia e della sostenibilità.