Astro nascente di una gastronomia arrembante, il peruviano Jaime Pesaque, che quest’anno si è piazzato trentaduesimo ai 50 Best con il ristorante Mayta, ha fatto del paiche, gigantesco pesce preistorico dell’Amazzonia, un autentico feticcio.
La notizia
Da quando il Perù, non troppo tempo fa, è entrato nelle mappe dei gourmet, i cuochi del paese si sono convertiti in un “prodotto da esportazione”. Ne va orgoglioso Jaime Pesaque, che si rallegra ogniqualvolta in giro per il mondo trova interpretazioni del ceviche al ristorante. “Questa è una cosa emozionante. Dimostra che abbiamo lasciato una piccola impronta culturale. Mi sforzo di non essere troppo critico, ma è vero che a volte si riscontrano incongruenze e viene voglia di invitare la gente a fare un salto in Perù. C’è chi usa pepe al posto dell’aji o chi ricorre ad agrumi che non hanno niente a che vedere con il limone; noi in ogni caso apprezziamo l’intenzione. Ciò che conta, alla fine, è il gusto e che noi peruviani continuiamo a rispettare la ricetta, che è un modo per sventolare la bandiera”.Il merito, a suo dire, va in gran parte a Gaston Acurio. “È riuscito a creare un punto di incontro e a farci sentire orgogliosi. Tanto lui che Virgilio Martinez sono amici, hanno un grande talento e hanno fatto un bel lavoro di promozione culturale. Ma oltre la cucina, la narrazione ha aiutato tutti, me compreso”. La popolarizzazione della cucina peruviana riguarda anche gli ingredienti, come la quinoa, le varietà di patata e peperoncino. Da Mayta, tuttavia, se ne trovano molti altri, in larga parte tuttora sconosciuti al pubblico gourmet, come il tucupì. “Alcuni si usano di più, ma abbiamo una dispensa così ricca e importante, che possiamo scegliere quelli che preferiamo. È emozionante servire alle persone qualcosa di sconosciuto”.
Un posto d’onore occupa in cella il paiche dell’Amazzonia peruviana, pesce selvaggio d’acqua dolce che Pesaque sfrutta interamente, compresa l’ossatura. Le dimensioni sono ragguardevoli: la lunghezza può superare i tre metri, per un peso di oltre 200 chili. E di fatto i fossili rinvenuti, risalenti a 5 milioni di anni fa, dimostrano che ha origini preistoriche. Fra le sue peculiarità, anche il fatto che può respirare fuor d’acqua e cibarsi addirittura di frutti dagli alberi.
“Lo cuciniamo interamente: i filetti, la coda, le guance… Ogni pezzo ha una diversa testura. Con le squame si fanno gioielli e con la pelle borsellini. Noi la disidratiamo e ne ricaviamo stoviglie. La lingua poi, che è un osso con spine, tipo felini, serve per grattugiare, come abbiamo imparato nella foresta. La carne si può fare alla plancha, confit, in molte forme. Cerchiamo di sfruttare interamente anche i vegetali, disidratandoli e ricavandone polveri, che usiamo per intensificare i sapori. Forse non si può arrivare al 100%, ma perché non usare l’osso della testa come recipiente? Ora compriamo solo qualche pezzo di appoggio. Ci stimola usare la dispensa impressionante di cui disponiamo”.
Fonte: cadenaser.com
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