Scelta estrema o segreto del successo? “Con 1 stella da 45 anni dormo ancora sotto il ristorante”. Leggete la testimonianza di Pepe Solla, erede di una grande insegna iberica.
“Parlo più con il mio pescivendolo che con la mia ragazza.” Con questa battuta, lo chef Pepe Solla ha sintetizzato un’intera filosofia in occasione di un'intervista recentemente rilasciata a El Paìs: per lui la cucina non si costruisce nei libri di ricette, ma nel dialogo quotidiano con chi estrae i tesori dal mare. Da questo filo diretto, fatto di confidenze e squilli di telefono tra un’alba e l’altra, nascono i piatti che hanno reso Casa Solla, a Poio (Pontevedra), il ristorante con la stella Michelin più longeva della Galizia. Una stella conquistata dai suoi genitori nel 1980 e da allora mai scivolata via.

Le radici della sua storia affondano in un bar di famiglia, aperto dai nonni proprio di fronte all’attuale ristorante. Lui vendeva vino, lei preparava tortillas e piatti semplici: era l’inizio di una tradizione che nel 1961, grazie ai genitori di Pepe, prese forma con l’apertura del ristorante. Oggi lo chef, 59 anni, vive letteralmente sopra le cucine: come in passato, quando l’osteria era anche casa, Solla dorme sotto il suo locale. Un dettaglio che dice molto: la sua vita e quella di Casa Solla non si separano mai. Paradossalmente, Pepe non nasce cuoco. Nei primi anni aiutava in sala, servendo i clienti come cameriere. Poi l’incontro con il vino, proprio mentre nasceva la DO Rías Baixas, gli aprì un orizzonte nuovo. Con Alfredo Álvarez fondò persino la prima associazione di sommelier della Galizia, l’AGASU. Ma la rivoluzione era dietro l’angolo: affascinato dal fermento della nuova cucina basca e desideroso di cambiare le cose, decise di sporcarsi le mani con la cucina vera. Entrò dietro i fornelli “partendo dai dolci, poi dal salato”, come racconta sorridendo, ricordando la diffidenza di cuochi temprati e spesso rudi.

L’incontro con Arzak e soprattutto con Ferran Adrià a elBulli lo trasformò definitivamente. “Ho perso tutte le ricette che ci diedero, ma non mi importava: ho imparato a pensare”, ricorda. La vera lezione, per lui, non furono le spume o le sferificazioni, ma la libertà di condividere il sapere e osare, anche sbagliando. Le prime innovazioni non furono accolte con applausi. Quando negli anni Novanta servì il tradizionale lacón con grelos dentro un bicchiere da cocktail, rischiò quasi la scomunica gastronomica. “All’epoca era un’eresia”, ammette con ironia. Eppure, proprio da quelle provocazioni nacque una cucina che oggi sembra naturale. Nel menù attuale non mancano omaggi alla famiglia, come la salsa alla mugnaia che accompagnava la celebre sogliola di Casa Solla dei tempi dei genitori. Se c’è un punto fermo nella sua cucina, è l’alleanza con i pescatori artigianali della zona. Da oltre 15 anni Solla lavora fianco a fianco con loro, studiando pratiche che oggi appaiono visionarie: dall’abbandono delle ghiacciaie alla dissanguatura del pesce direttamente sulle barche, tecnica presa a prestito dal Giappone. “Il mare è come una campagna libera – spiega –. Ma come non si stressa il bestiame prima della macellazione, così il pesce va trattato con rispetto: altrimenti il sapore diventa metallico”.

L’ultima creatura dello chef è una taverna ricavata all’interno di Casa Solla, nello stesso spazio dove i nonni avevano iniziato. Qui si respira un’atmosfera diversa: undici posti al bancone, un vecchio camino trasformato in braciere a legna di quercia, piatti semplici come empanadas, polpette e sgombro marinato. Ma la magia sta nei dettagli: i vinili che Solla colleziona da anni suonano uno dopo l’altro, scelti insieme ai commensali. Non playlist anonime, ma dischi che girano fino alla fine, con Depedro o Iván Ferreiro che fanno da colonna sonora a una cena intima. La taverna condivide i fornitori con il ristorante gourmet, ma ha una marcia in più: la cantina. “Ho la migliore carta dei vini di tutta la Spagna”, afferma senza falsa modestia. Più di 2.000 etichette, molte introvabili sul mercato, annate rare e una selezione di vini naturali che in Galizia non ha eguali. Non stupisce che qui si possano aprire bottiglie da 200 euro con naturalezza, senza il peso del protocollo gastronomico. L’approccio è volutamente spiazzante: niente caffè (“per 22 anni avete avuto tempo per ordinarlo, ora non più”), e per l’acqua basta una brocca da prendere in autonomia. Tutto ruota intorno al vino, tanto che la lavagna dei piatti del giorno inizia con una frase programmatica: “Per accompagnare il vino, abbiamo…”.

Nei suoi menù degustazione – che partono da 153 euro – si trovano piatti che raccontano il mare, l’orto e il tempo. Fossili di crostacei, tonno marinato su crema di anacardi e tomatillo verde (battezzato “Bello, molto bello”), e altre creazioni che uniscono rispetto per la tradizione e voglia di spingersi oltre. Così, Casa Solla continua a essere un laboratorio vivo, dove il rigore tecnico si intreccia con una libertà quasi musicale. Perché Solla, più che uno chef, sembra un direttore d’orchestra: ascolta i pescatori, accorda il tempo dei piatti, lascia che siano i vini a dettare il ritmo e infine regala al cliente un concerto che non si ripete mai uguale.