Attualità enogastronomica

José Carlos Fuentes: "L'unico premio che conta sono i clienti che tornano”

di:
Elisa Erriu
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“Se ami cucinare, cucini tanto le lenticchie quanto fai una sferificazione”, dice Fuentes con un sorriso che lascia intuire il sollievo di non dover più dimostrare nulla. L’unica cosa che conta è il cliente.

Lo chef

Madrid ha un nuovo indirizzo da segnare in agenda, e non solo per chi vive di guide e di classifiche. Si chiama Barbudo, e dietro questo nome semplice e diretto c’è José Carlos Fuentes, uno chef che ha collezionato riconoscimenti, cucinato in Spagna e in Giappone, diretto cucine premiate e attraversato crisi, ma che oggi sembra aver trovato la sua dimensione più autentica. Non quella fatta di trofei da esibire, ma di clienti che tornano, piatto dopo piatto. “La vera stella è quando la gente vuole tornare”, dice Fuentes nelle dchiarazioni riportate da Info Bae, seduto al bancone del suo nuovo progetto, un locale doppio che unisce bar e ristorante sotto lo stesso tetto, nel cuore del quartiere di Salamanca. Sopra, tapas e calici da bere senza prenotazione; sotto, tovaglie, porzioni generose e stufati che richiedono ore di fuoco lento.

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Se c’è un cuoco che non ha paura di ricominciare, quello è Fuentes. La sua traiettoria professionale si legge come un romanzo di mare: porti sicuri, tempeste improvvise, approdi lontani e ripartenze. Ha imparato da Carme Ruscalleda al Sant Pau, ha viaggiato fino a Tokyo, ha portato il suo tocco in Castilla-La Mancha e a Toledo, ha guidato cucine che hanno meritato stelle Michelin (due al Club Allard), è stato incoronato Miglior Chef dell’Anno. Oggi, dopo 34 anni di mestiere, confessa di non inseguire più medaglie. Gli resta però il gusto della sfida, quello che l’ha spinto a lanciarsi in questo nuovo capitolo. E lo fa con la serenità di chi ha già provato tutto: “Se ami cucinare, cucini tanto le lenticchie quanto fai una sferificazione”, dice con un sorriso che lascia intuire il sollievo di non dover più dimostrare nulla. La struttura di Barbudo riflette bene questa nuova filosofia. Al piano terra, il bar: luminoso, diretto, senza prenotazione. Qui si entra per uno spuntino, un calice, un piatto che mescola semplicità e tecnica. Non mancano i classici intramontabili, come l’insalata russa che Fuentes trasforma in una raffinata marinera murciana (4,90 €), o l’empanada di tonno che sa di ricordi d’infanzia ma viene servita con una fettina di salmone stile nigiri (5,50 €).

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Accanto a loro, tapas più contemporanee: i bikini preparati con coda di bue (10 €), la brioche alla tartara di manzo (14 €), i formaggi premiati e le acciughe di L’Escala e Santoña. Il tutto annaffiato da una selezione di oltre 20 vini al bicchiere, una rarità in città. È una carta che parla di rapporti personali, perché i fornitori – racconta lo chef – “sono diventati amici, dopo tanti anni”. Scendendo le scale, cambia il tono. Si entra nella sala da pranzo del ristorante, uno spazio più intimo e raccolto, con una decina di tavoli e piatti che hanno il respiro dei grandi pranzi domenicali. Qui dominano le cotture lente, gli stufati che non hanno paura di prendersi il loro tempo. Il menù del piano inferiore è un viaggio nella cucina tradizionale rivista con eleganza, con piatti che rievocano la memoria ma parlano la lingua contemporanea. La guancia di maiale alla borgognona (28 €) cuoce per più di sei ore, lenta e tenace, fino a diventare burro sotto i denti. I ceci con coda di bue e foie gras (24 €) sono la dimostrazione che comfort food e raffinatezza non devono escludersi.

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Non mancano gli accenti asiatici, eredità delle esperienze giapponesi di Fuentes: l’uso della kombu, alga capace di esaltare la sapidità in maniera naturale, entra quasi ovunque, anche dove non te lo aspetti. Si ritrova nell’insalata di gamberi di Sanlúcar in tempura con maionese al kimchi (22 €) o nei fagioli con seppie, impreziositi da cipollotto giapponese e germogli di coriandolo (22 €). Persino nei cannelloni XXL di fagiano con duxelles di funghi e Manchego (24 €), un piatto che mescola memoria castigliana e tecnica francese. Ad accompagnare i piatti, una carta dei vini che è quasi un manifesto: più di 150 etichette, curate dal capo sala Juan Lizarraga, con l’80% della proposta che resta fra i 30 e i 60 euro. Grande spazio ai produttori spagnoli, senza dimenticare etichette internazionali. Una filosofia inclusiva, che punta a dare accessibilità senza rinunciare alla qualità. In un quartiere come Salamanca, dove spesso il luccichio delle insegne si confonde con il rumore di fondo delle mode, Barbudo sceglie un’altra via: niente artifici, niente rincorsa al riconoscimento esterno. “Ho perso la voglia di stelle”, ammette Fuentes. “Ora la vera stella è sedersi accanto a un cliente e sentirsi dire: ‘Che buono’. E sapere che tornerà”. Non è un addio alla cucina d’autore, ma un ritorno all’essenza: il piacere di cucinare per chi ha fame, non per una giuria. Un lusso raro, oggi.

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