Francesco Capece e Mario Ventura sono i soci della pizzeria che da due anni ha rimescolato la geografia del piatto più nazionalpopolare che c’è. Trasformando l’idea stessa di locale popolare con l’adozione dei codici dell’alta cucina.
Anni fa, diciamo venti ma forse anche solo dieci, che Milano potesse ospitare una delle tre migliori pizzerie d’Italia (per qualcuno: la migliore) sarebbe stata un’idea balzana, una boutade. Si vabbè. Ora questa cosa la puoi tagliare a fette. E il merito è di due ragazzi salernitani, Capece Francesco e Ventura Mario, amici per la pelle tra di loro e ormai amici di tutti i milanesi.


La filosofia
I due nella tarda primavera del 2023 hanno aperto in centro a Milano, nella quieta piazza Massaia, tra il silenzio da acciottolato delle Cinque Vie e il fervore tranviario di via Torino, Confine. Ricordo ancora quando ci andai, una sera, poche settimane dopo il battesimo dell’insegna, ne avevano parlato in pochissimi. Fu un fulmine a ciel sereno, un’epifania. Mi fu chiaro subito: Milano stava per entrare nel Gotha dell’arte bianca e non per una delle tante dependance di marchi pizzaiuoli famosi di Napoli giunti a fare business all’ombra della Madunìna, non per l’ennesima consulenza di Franco Pepe, ma per un’insegna originale e autoctona. Bùm.

Sono passati due anni e poco più da quel giorno di giugno e Confine è stabilmente nel navigatore dei foodies meneghini, ma anche luogo di pellegrinaggio da parte degli amanti di qualsiasi provenienza della pizza, uno dei pochi mondi gastronomici in cui – almeno in Italia - ha ancora senso parlare di avanguardia e in cui l’eccellenza assoluta è ancora alla portata di quasi tutti i portafogli. Prima di tutto vediamo chi sono i due colpevoli di questa sedizione, entrambi attorno ai trentacinque anni. Francesco Capece è il pizzaiolo. Viene da Filetta di San Cipriano Picentino, nell’entroterra salernitano, dove si è messo in luce nella Locanda dei Feudi, un locale nato per l’asporto ma poi visto il consenso di pubblico e critica concentratosi sul consumo in loco, che è poi l’unico modo per proporre un prodotto di qualità. Mario Ventura è il maître e sommelier. Salernitano, si è fatto le ossa nei bar di famiglia, dove si è appassionato alla mixology e all’ospitalità, poi ha gestito un’ottima hamburgeria.

Due buoni curriculum, per carità, ma alla fine niente di così speciale. Francesco e Mario sono come due calciatori che, promossi dalla serie B alla serie A, si scoprono campioni e prendono sicurezza nei loro mezzi entrando in lizza alla fine per il Pallone d’Oro. Il successo (meritato) di Confine, di recente classificatasi al secondo posto della classifica italiana di 50 Top Pizza, guida di riferimento del settore, appena dietro Francesco Martucci de I Masanielli di Caserta e a pari merito con Diego Vitagliano a Napoli, è spiegabile secondo me con l’essere il locale che attualmente meglio concilia i canoni della tradizione “pizzaiuola” campana con i codici stringenti del fine dining e le sue liturgie. Confine spettina e rimodula entrambi in modo convincente. ‘’Il nostro obiettivo – dicono i due - era ed è quello di cambiare il concetto di pizzeria. Non un posto dove si mangia una pizza, bensì un posto dove si vive un’esperienza’’. Ok, la parola esperienza è decisamente sovraesposta, ma in questo caso non sapremmo chiamare altrimenti una cena da Confine.

Il menu
Partiamo dalla pizza. Francesco lavora con cura sugli impasti, sulle lievitazioni, sulle farine, sulle diverse cotture: la pizza classica, qui in una versione “salernitana”, che utilizza farina al cento per cento tipo 1 (meno raffinata e più “integrale” rispetto alla 0 e alla 00) e da un punto di vista stilistico rispetta i canoni campani ma evita gli eccessi di turgore del cornicione e una esagerata “mollezza”, poi la pizza in doppia cottura, fritta e poi ripassata a bocca di forno (“metodo Starita”), quella in padellino alla torinese, quella friabile fatta con farine con un tenore proteico basso.

Per una simile varietà di proposte naturalmente la soluzione migliore è quella di ordinare un menu degustazione: ce ne sono di tre taglie: 4 portate a 40 euro, cinque a 45 e sei a 50. Si parte da un fritto, si chiude (volendo) con un dolce, in mezzo ci sono alcuni assaggi di pizze con cotture e topping differenti. “Chi mangia mezzo chilo di una sola cosa?”, chiede Francesco, facendo crollare le fondamenta dell’intero mondo pizza. Naturalmente la quasi totalità dei clienti (“il 95 per cento”, garantisce Mario) sceglie il percorso degustativo, anche se alla fine costa di più rispetto a una pizza intera. Ma il piacere della scoperta non ha prezzo e la clientela che prenota spesso con settimane di anticipo qui è consapevole e motivata. Poi c’è l’aspetto ambientale. Confine sbianchetta completamente l’idea della pizzeria spartana e/o condannato all’oleografia napoletana tutta Totò/Eduardo/Maradona. E’ un locale molto elegante, perfettamente milanese per eleganza e décor. Nasce dalla completa ristrutturazione di uno storico ferramenta di quartiere di cinquecento metri quadri, i cui interni nono stati disegnati da De.Tales con Studio DelleraBonforte. All’ingresso c’è una bellissima cucina a vista, a sinistra ci sono due sale moderniste, sotto una cantina con un grande tavolo sociale per eventi o per clienti in cerca di privacy.

Ecco, la prenotazione. Confine è un locale molto gettonato. E’ aperto soltanto la sera (solo il sabato e la domenica apre anche a pranzo) e è utile prenotare con un certo anticipo. Ci sono due servizi, uno alle 19,15/19,30 e uno alle 21,15/21,30, ma un po’ di tolleranza è richiesta. Al momento della prenotazione andrà specificato quale tipo di esperienza si prenota, se si vuole il menu degustazione o quello speciale Guscio. Ecco, il menu Guscio. Inaugurato qualche mese fa e inizialmente concepito come una installazione temporanea affiancata alla proposta base, ha avuto un tale successo che sembra destinato a proseguire la sua esistenza. E’ composto da cinque assaggi che rendono plastico l’ennesimo salto di qualità dei due ragazzi salernitani, ormai sorretti da una tale self-confidence da poter proporre un percorso a 85 euro in una pizzeria e vederlo andare a ruba. Si parte con un Risotto alla pescatora, che è un finto supplì omaggio all’idea molto napoletana (e romana) di iniziare sempre una cena in pizzeria con un fritto.

Ma qui è un’illusione: la sfera di riso contiene al suo interno un ragù bianco di pesci di scoglio e crostacei ed è destinata, aprendosi, a mischiarsi a una bouillabaisse cruda/cotta (crudi mazzancolle e gambero rosso, cotte vongole e cozze) con aneto fresco e olio all’aneto, creando un risotto di altissima scuola. Che inizio. Altra idea, altro esercizio di mimetismo: il Calgyoza, che si ispira al raviolo giapponese ma utilizza il linguaggio del calzone, in questo caso riempito di pancia di maiale cotta a bassa temperatura e marinata con salsa di soia e poi arrostita, verza, gambero rosso di Mazara in forma cruda bagnato nella sua bisque, fiocchi di sale Maldon e polvere di lime bruciato.

Ecco poi il Lobster roll. Un astice cotto al vapore condito con la sua maionese leggera, sedano cotto in giaccio e caviale di aringa affumicata, contenuto in un impasto da brioche salata, magnificamente aereo. Ormai in estasi ecco il quarto episodio: il Ricordo di una linguina di scampi, che potremmo definire “fuiuta”. “Ci siamo ispirati – racconta Francesco - a una pentola in cui la linguina è terminata ma è rimasto un po’ di quel sugo di scampi, sapidissimo, perfetto per farci la scarpetta”. In definitiva si tratta di un sugo potente agli scampi, scampo arrosto e rucoletta wasabi, contenuto in una pizza fritta che serve a dare l’effetto oleoso della linguina, che così c’è anche se non c’è.


Infine la Zia Maria, “la nostra versione di tonno e cipolle” ispirata alla zia di Francesco, così importante nella sua formazione culinaria (e per fortuna stavolta non è una nonna). Alla base c’è un porro arrostito totalmente reidratato con un fondo di tonno, poi fior di latte, ventresca di tonno rosso in conserva, maionese allo yuzu, patè di olive verdi e cucunci, capperi sciroppati, aneto e peperoncino. Una meraviglia.

Naturalmente ci sono anche le pizze tonde, per chi vuol spendere meno o per chi non ama la condivisione (ce ne sono ancora). La lista comprende otto proposte, dalla comunque magnifica Margherita a 12 euro alle pizze “signature” (a 20 o 25 euro) come la Zucchina alla Capece con crema di zucchine, provola affumicata, fiore di zucca a crudo, maionese alla menta, aceto balsamico invecchiato 18 anni, zucchine fritte, pepe nero macinato, olio extravergine di oliva monocultivar rotondella; come la Botox con fonduta di caciocavallo stagionato in grotta, fiordilatte, blue a latte crudo di bufala, confettura di fichi bianchi del Cilento, chips di Parmigiano Reggiano, basilico, olio extravergine di oliva monocultivar Leccino. Per i dolci si attinge alla carta: un inevitabile Tiramisù, un Cioccolato caramello e passion fruti, una Cheesecake ai frutti di bosco, una Tarte au citron meringué. Alta scuola anche se un minor tasso di inventiva. Ma è mai stato il dolce il punto forte di una pizzeria per quanto 3.0?


Un capitolo a parte va impiegato per la cantina, curata da Ventira. La carta è di una vastità e di una profondità che nel campionato delle pizzerie abbiamo visto solo alla Piedigrotta di Varese. Chi vuole può ordinare una bottiglia importante, o una bottiglia battagliera, può anche farsi un giro per la cantina nel sotterraneo o per la bottiglieria dal décor montenapoleonico. Ma chi è pur sempre in pizzeria e vuol tenere basso lo scontrino non abbia timori: ci sono etichette accessibili o birre artigianali che fanno onestissimamente il loro lavoro. Il servizio è affidato a un manipolo di giovani svelti e concentrati, anche se è quando entrano in scena Mario e talora anche Francesco che parte lo show.

Contatti
Confine
Piazza Cardinal Guglielmo Massaia, Milano.
Tel. 3755426086.
Chiuso la domenica. Aperto solo la sera, sabato e domenica anche a pranzo.